Sono 3,9 milioni, in crescita costante, ma nessuno si occupa di loro: sopravvivono fra i rincari delle Rsa e l’assenza di cure domiciliari. Per chi se lo può permettere c’è la badante, che in metà dei casi è in nero

Soli, stesi in un letto a fissare il soffitto con addosso lo stesso stracolmo pannolone. L’abbandono e la trascuratezza igienica sono il sottofondo di una sinfonia di degrado e irregolarità - fatta di abusi, urla, farmaci scaduti, soprusi di varia natura -, registrata dagli ispettori dei Nas in una recente indagine condotta su 607 residenze sociosanitarie per anziani, Rsa: irregolare una su quattro, sei sono state chiuse. Contemporaneamente le intercettazioni ambientali alla Rsa Don Uva di Foggia mettono in luce abusi e violenze su anziani indifesi, molti affetti da demenza: percosse, minacce del tipo «Ti infilo il coltello in gola», «Ti sparo», quotidiane molestie anche sessuali sui pazienti. E a Latina, la Procura di Velletri ha scoperto che la titolare di una Residenza Sanitaria Assistenziale, approfittando dell'infermità mentale di alcuni, riscuoteva per loro la pensione.

 

La terza età, per chi l’affronta non esattamente nel pieno delle proprie capacità fisiche e mentali, rischia di essere un calvario, per sé e per i “caregiver”, cioè per chi sta loro accanto. Nel silenzio più totale. Perché il tema fa rumore quando arrivano i Carabinieri a svelare maltrattamenti in casa di riposo, per poi scomparire dai radar, confinando l’argomento alle titaniche fatiche famigliari. Eppure il tema dei grandi anziani riguarda un terzo degli over 65, cioè 3,9 milioni di italiani non autosufficienti, e interessa il 17,4 per cento della popolazione, cioè otto milioni e mezzo di persone: tanti quanti sono i caregiver. Tocca anche 1,12 milioni di badanti, in crescita dell’11 per cento nell'ultimo biennio, la metà in nero: sono il più numeroso esercito di cura in Italia, essendo il doppio dei dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale (600mila fra medici e infermieri).

 

La silver age, l’età d’argento, è anche un grosso problema per gli ospedali, spiega Giovanni Migliore, direttore generale del Policlinico di Bari e presidente della Fiaso, Federazione delle Aziende Sanitarie Ospedaliere: «Qui al Policlinico, a fronte di una media di 70 ricoveri al giorno, non riusciamo a dimetterne quaranta perché manca l’assistenza domiciliare. Sono anziani che restano in carico all’ospedale perché manca un tessuto sociale, fatto di assistenti, operatori, strutture residenziali, centri diurni e cure domiciliari, verso cui indirizzare queste persone. Ciò incide negativamente sul boarding, cioè favorisce l’allungamento dell’attesa per un posto letto in reparto», che può arrivare anche a cinque giorni. Lo conferma la Fadoi, Federazione dei Medici Internisti, secondo cui ogni anno sono due milioni le giornate di degenza ospedaliera che si potrebbero evitare se i grandi anziani fossero assistiti altrove, con un risparmio per le casse pubbliche di 1,5 miliardi.

 

I dati pubblicati la settimana scorsa dall'Osservatorio Long Term Care dell'Università Bocconi scattano una fotografia impietosa del livello di disattenzione verso il fenomeno: lo 0,6 per cento degli anziani fragili si rivolge a un centro diurno e negli ultimi due anni, complice la pandemia, il loro numero si è ridotto del 24 per cento; un altro 6,3 per cento ha trovato risposta nelle case di riposo ma, anche in questo caso, gli assistiti sono diminuiti del 12 per cento; un quinto dei non autosufficienti viene curato a casa, attraverso l’assistenza domiciliare, che tuttavia offre non più di due visite al mese. E la gran parte del lavoro di cura è sulle spalle delle badanti.

 

Per quanto riguarda le residenze per anziani, se da un lato i famigliari lamentano aumenti delle rette da capogiro, più 15 euro al giorno per una media di 111 euro al dì (ma circa metà della tariffa è coperta dalla Regione), i gestori sostengono di lavorare in perdita, perché i pazienti sono sempre più anziani e gravi, perché il personale è in fuga e chi resta pretende aumenti salariali, mentre le bollette del gas zavorrano i fatturati, al punto che ogni settimana chiude una Rsa, riducendo ulteriormente il numero di posti letto, che oggi sono 19 ogni mille over 75, la metà della media europea.

Sul fronte badanti, c’è il problema di ridurre il ricorso al lavoro nero, reso ancora più appetibile dal recente aumento dei minimi contributivi stabiliti dall’Inps. Per far fronte all’inflazione, una circolare dell’Istituto previdenziale ha comunicato alle famiglie che gli stipendi dei lavoratori domestici devono aumentare dell’8,1 per cento, più dell’adeguamento pensionistico. Da tempo Andrea Zini, presidente dell’Associazione dei datori di lavoro domestico, rivendica il diritto ad agevolazioni fiscali che, se applicate, convincerebbero molte famiglie a regolarizzare il proprio collaboratore. Tuttavia nel mare magnum delle detrazioni sembra non esserci posto per le badanti, forse perché la nave delle agevolazioni è già piuttosto carica (di lobbisti): lo scorso anno sono stati censiti ben 626 provvedimenti per un costo erariale di 128 miliardi. «Manca la volontà di un riordino complessivo delle detrazioni, non è giusto tagliarci fuori», denuncia Zini, che fa notare come la partita delle badanti sia praticamente assente dallo schema di legge delega approvato a fine gennaio dal governo Meloni sulla Non Autosufficienza, che in larga parte ricalca quello già approvato dal governo Draghi: «È un grave sbaglio, perché il 97 per cento della gestione della non autosufficienza è domiciliare».

 

Il rapporto Domina dice che grazie a una spesa famigliare di quindici miliardi l’anno per le badanti - di cui sette pagati cash -, le casse pubbliche risparmiano ogni anno 10,1 miliardi di euro, «ovvero l’importo di cui lo Stato dovrebbe farsi carico se gli anziani accuditi in casa venissero ricoverati in struttura», per altro sorvolando sull’incapacità del Servizio Sanitario Nazionale di garantire una cura universale e gratuita a tutti: già oggi lo Stato spende circa 21 miliardi di euro per gli anziani e, volendo rispondere appieno ai bisogni dei più fragili, dovrebbe sganciarne altri nove.

 

Al contrario la riforma disegnata dalla viceministra al Lavoro e alle Politiche Sociali, Maria Teresa Bellucci, è a costo zero e usa le parole «razionalizzazione» e «vincoli di assunzione», lasciando presagire un contenimento delle risorse e il malcelato intento di soddisfare quanti pensano che sulla terza età si riversano troppi quattrini: nulla di più sbagliato, perché nelle tasche degli anziani più fragili finiscono solo le briciole, ovvero i 527 euro dell’assegno di accompagnamento, per un totale di 13 miliardi, che coprono il 70 per cento dei costi sociali per la Long Term Care e sono meno di un decimo dei 131 miliardi che ogni anno lo Stato versa all’Inps per le spese assistenziali. Per di più, conquistare l’indennità di accompagnamento può diventare una caccia al tesoro visto che serve passare attraverso quattro commissioni di valutazione - Inps, Regione, Asl e Comune - e la probabilità di accettazione varia a seconda dell’area geografica.

 

«L’innovazione più importante della riforma, che recepisce molte delle indicazioni della società civile e va nella giusta direzione, è il sistema di Accesso Unico, che prevede una sola valutazione, uguale per tutti», dice Cristiano Gori, coordinatore del Patto per la Non Autosufficienza, network di 57 realtà a contatto con questo mondo, che continua: «Il secondo importante obiettivo è l’introduzione di una prestazione progressiva e universale, che sostituisca i 527 euro dell’assegno di accompagnamento con i servizi utili alla persona». Insomma, meno soldi in tasca, ma più assistenza concreta. Ma per fare questo serve spingere forte sull’assistenza domiciliare e sulla capacità di comuni, Asl e residenze diurne di rispondere ai bisogni dei tre milioni di cittadini che chiedono di essere curati a casa: «Il Pnrr mette 2,7 miliardi per l’assistenza domiciliare, da usare soprattutto per l’assunzione di personale, con l’obiettivo di raggiungere una platea di 1,6 milioni di assistiti. Ma attenzione, il 60 per cento di quelle persone riceve una sola visita al mese, il 20 per cento tre controlli mensili. Sono una goccia nel mare», dice il geriatra Paolo Da Col. Insomma, nonostante tutte quelle risorse, qualcosa potrebbe andare storto perché c’è il rischio, come spiega Gori, «che mentre il Pnrr esercita una pressione enorme sulle Asl e sugli infermieri per raggiungere un numero altissimo di anziani, offrendo comunque un servizio estemporaneo, a Roma si scriva una bella riforma del welfare, con zero risorse, e quindi incapace di modificare lo stato delle cose».

 

Non basterà dirottare più risorse su questo settore, bisognerà anche inventarsi nuovi servizi e soprattutto puntare sull’innovazione e la tecnologia per ridurre i costi, che continueranno inesorabilmente a crescere. Perché a causa della bassa natalità l'Italia sta invecchiando velocemente: tra vent’anni gli anziani saranno 19 milioni, il 34 per cento della popolazione, e gli over sessantacinque saranno 293 per ogni bambino con meno di 15 anni.