La nota app di messaggistica, già al centro di inchieste sui contenuti illeciti che veicola, resta una delle piattaforme preferite per i criminali. Che guadagnano da un commercio che riguarda anche i minori

Su Telegram è possibile scambiare materiali estremi semplicemente accedendo a gruppi più o meno pubblici. E tutto ciò nonostante negli ultimi anni la app di messaggistica sia stata più volte al centro di polemiche e inchieste, tra cui un lavoro de L’Espresso sulle attività online dei neofascisti italiani e un’inchiesta di Wired nel 2020 sul porno non consensuale. In Italia di questi gruppi ne esistono più di 230 secondo il report “State of revenge porn” pubblicato nel 2022 da PermessoNegato, la più grande associazione europea per il contrasto al fenomeno. Tra i gruppi monitorati da L’Espresso appaiono community con titoli che fanno riferimento esplicito alla minore età delle persone rappresentate nei video porno. E non è un caso che alcuni vengano usati anche dai pedofili per adescare. Ma come funzionano? E chi guadagna dalla diffusione di questo materiale?

 

Chat e canali
In Italia dall’agosto del 2019 il revenge porn, cioè la condivisione non consensuale di materiale intimo, è un reato. Nonostante ciò alcuni dei gruppi monitorati permettono agli utenti di scambiarsi foto e video. Decine di migliaia di iscritti in ogni istante offrono o richiedono materiale estremo. «Mostro la mia ragazza», dichiara un utente. «Cerco pedo», chiede qualcun altro. C’è chi domanda: «Chi scambia foto di figlia?». E chi risponde: «Ti ho scritto».

 

A fronte di gruppi “interattivi” in cui poter chattare esistono anche canali a cui ci si può iscrivere per ricevere solo passivamente i contenuti postati dagli amministratori. Talvolta si tratta di materiale “pirata” destinato a essere venduto su piattaforme come OnlyFans. Ma spesso di immagini registrate di nascosto o comunque destinate a una circolazione privata.

 

L’ex tronista e la creator
Per monetizzare i gestori adottano un modello basato su forme di pubblicità come affiliazioni e sponsorizzazioni. Il 31 dicembre del 2022 in un gruppo appare un videoselfie girato da un famoso ex tronista del programma tv Uomini e Donne. Nel video promuove un gruppo Telegram in cui vengono condivisi video di revenge porn. L’auto-pubblicità è la formula scelta da Deva Romano, una creator di OnlyFans i cui video vengono promossi su alcuni canali.

 

Contattato da L’Espresso, l’ex tronista ha dichiarato di non aver mai guadagnato denaro da questa pubblicità e di non sapere quale fosse la natura di questi gruppi: il videoselfie gli è stato chiesto dal suo ex addetto alla comunicazione con l’obiettivo di portare nuovi follower sul canale personale dell’ex tronista. Deva Romano ha invece visualizzato la nostra richiesta ma non ha mai risposto.

 

Personaggi misteriosi e grandi aziende
Su questi gruppi appaiono anche pubblicità di aziende. Si tratta per lo più di siti di incontri online, di trading online o di scommesse sportive. Su un canale pieno di revenge porn che vanta più di 500mila iscritti si promuovono decine di altri canali che danno suggerimenti per investire o scommettere denaro. Consigli gratuiti, in teoria, ma chattando con alcuni gestori si scopre che non è così. Loro ti indicano alcune app o servizi online da usare, tu carichi su questi siti una cifra intorno ai 30 euro e poi segui i loro consigli. Tutte le transazioni avvengono su siti noti. Tra i suggerimenti spicca quello di creare profili su Sportaza e PlanetWin 365, due società di scommesse. PlanetWin 365 è stata sponsor di importanti squadre di calcio italiane tra cui Fiorentina, Lazio, Napoli, Genoa, Sampdoria e Udinese, e nel 2017 è stata il principale sponsor della Serie A di calcio a cinque.

 

Poiché il link mandato dai gruppi è affiliato, le aziende di scommesse dovrebbero essere tecnicamente in grado di tracciare la provenienza dei clic che arrivano dai canali. E sapere che alcuni dei propri servizi vengono indirettamente pubblicizzati su canali estremi.

 

Sportaza non ha risposto alla nostra richiesta di chiarimenti. PlanetWin 365 ha invece specificato che l’azienda sottopone chi vuole affiliarsi «a una rigorosa procedura di due diligence diretta a verificare la sussistenza dei requisiti di incensurabilità e onorabilità dei candidati affiliati» e che i potenziali affiliati «devono fornire le informazioni dettagliate in merito alle pagine web su cui verranno pubblicati i contenuti di Planetwin365, con espresso divieto di qualsiasi sito web il cui contenuto non sia conforme alla vigente normativa ovvero rechi o veicoli contenuti o messaggi diffamatori, discriminatori, politicamente schierati, osceni, pornografici o violenti». Inoltre - continuano da PlanetWin365 - «l’azienda effettua controlli quotidiani».

 

Ma com’è possibile allora che contenuti sottoposti a controlli così stringenti finiscano promossi su canali dedicati al revenge porn? «I sistemi tecnologici a disposizione non sono infallibili - fanno sapere dall’azienda - specialmente quando si tratta di piattaforme borderline e community web a gruppo chiuso non autorizzate né controllate”. L’azienda ha anche dichiarato di voler fare il possibile per identificare gli utenti e prendere provvedimenti per tutelare la propria immagine.

 

Vittime due volte
Secondo il report “State of revenge porn” le vittime di diffusione non consensuale di materiale intimo in Italia sono circa due milioni. Nel 70% dei casi sono donne. Nel corso del 2022 il Centro nazionale per il contrasto alla pedopornografia online della Polizia Postale ha coordinato oltre 4.500 attività investigative. Ma al di là dei numeri, si tratta di un insieme vastissimo di singole storie individuali traumatiche.

 

Lo ha spiegato a L’Espresso Paolo Capri, presidente dell’Associazione Italiana di Psicologia Giuridica e consulente della procura di Roma: «Le persone offese, soprattutto minorenni, hanno delle conseguenze significative sulla personalità, elementi di insicurezza e di blocco rispetto alle relazioni con l’esterno e la vita affettiva diventa più arida. Facilmente si può rivivere il trauma, contribuendo all’insorgere di pensieri distruttivi e di una visione di un futuro senza speranze».

 

La sociologa e attivista Silvia Semenzin spiega che «il problema non si è affatto risolto con la legge, che non considera l’importanza di guardare alle piattaforme digitali come mediatrici di violenza. La rete è ancora profondamente machista e la violenza continua a espandersi con l’evoluzione della tecnologia digitale».

 

«I social non vanno demonizzati. Bisogna insegnare ai minori a utilizzarli in modo critico, esattamente come altri mezzi: nessuno darebbe un motorino ai figli se non fosse sicuro delle loro capacità di guidarlo», conclude Sonia Valdesi, assistente sociale dell’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni di Salerno.

 

Sul tema del ruolo delle piattaforme si è espresso anche Ivano Gabrielli, direttore della Polizia Postale, secondo cui «tutte le piattaforme di messaggistica sono interessate dal fenomeno, ma quelle gestite da Meta (soprattutto Facebook, Instagram, WhatsApp, ndr), hanno all’interno degli strumenti di controllo di materiali con immagini sessualmente esplicite relative a minori. Altre piattaforme non hanno invece implementato, o solo in modo blando, sistemi di controllo interno. E si tratta inoltre - conclude Gabrielli - di piattaforme che offrono scarsa collaborazione con le forze dell’ordine».