Una spia saudita agganciò invano gli estremisti arabi in California per reclutarli. Poi li perse di vista fino all’attentato del 2001. Ecco l’ultima istruttoria Usa, senza omissis

Un incontro fortuito, una chiacchierata fra tre sauditi che per puro caso pranzano in tavoli vicini a un ristorante di cucina halal in California. È il primo febbraio del 2000. Omar Al Bayoumi, 42 anni, è seduto al “Middle Eastern Gourmet” di Venice Boulevard, a Culver City, nei pressi di Los Angeles. Sente gli altri due clienti parlare in arabo. Sono due studenti, Nawaf Al Hazmi e Khalid Al Mihdhar, arrivati negli Stati Uniti due settimane prima, che parlano male l'inglese e cercano casa. Lui decide di aiutarli. Li sistema in un alloggio della moschea più vicina, dove l’imam è un suo amico, e poi a San Diego, dove restano per mesi. Un anno e mezzo dopo, quei giovani sauditi si rivelano terroristi di Al Qaeda: sono due dei diciannove attentatori suicidi dell'11 settembre 2001. Fanno parte del commando che dirotta l'aereo AA77, partito da Washington e pilotato da un loro connazionale, Hani Hanjour, che alle 9.37 si schianta sul Pentagono, il quartier generale della difesa americana, mai violato prima di allora.

 

Interrogato più volte dopo l'attacco terroristico, Bayoumi ripete da anni la stessa versione: l'incontro casuale al ristorante, l'ospitalità nella moschea come semplice atto di solidarietà tra connazionali, la sua assoluta inconsapevolezza che fossero terroristi. I primi sospetti sui suoi legami con i servizi segreti sauditi vengono sollevati dallo scrittore americano Lawrence Wright nel libro-inchiesta “The Looming Tower” (pubblicato in Italia con il titolo “Le altissime torri”) che nel 2007 vince il premio Pulitzer. Oggi una serie di documenti de-classificati mostrano, con prove mai emerse prima, che in quel meeting al ristorante non c'era niente di casuale: Bayoumi era davvero un agente dei servizi sauditi, incaricato di reclutare i due giovani estremisti come informatori, per ottenere notizie dall'interno dell'organizzazione terroristica. Un tentativo di arruolamento eseguito, secondo testimonianze autorevoli, con il consenso e sotto la copertura della Cia. Le nuove informazioni rivelano, inoltre, che l'intelligence americana nasconde da anni «documenti su quell'operazione», con un dossier dedicato a Bayoumi, e che altre carte vengono tenute segrete anche dall'Fbi.

 

Le rivelazioni più esplosive sono contenute in un rapporto di rango giudiziario redatto nel 2021 a Guantanamo, la prigione militare dove oggi restano detenuti una trentina di cosiddetti combattenti nemici, tra cui spicca Khalid Sheik Mohammed, il presunto organizzatore delle stragi dell'11 settembre, catturato nel 2003. Per cinque anni, a partire dal 2016, un agente della Dea, Dan Canestraro, nominato «investigatore speciale» delle Commissioni militari, ha potuto interrogare numerosi agenti dell’Fbi, membri della Commissione parlamentare d'inchiesta sull'11 settembre e altri testimoni ed esperti. Il suo rapporto finale è stato pubblicato solo in una versione censurata quasi totalmente. Ora SpyTalk, un sito americano fondato dal giornalista Jeff Stein, ex Washington Post, ne ha ottenuto una copia integrale, senza omissis, analizzata dal cronista investigativo Seth Hettena, e l’ha condivisa con L’Espresso.

 

 

Le fonti interrogate da Canestraro sono protette dall'anonimato, per ragioni di sicurezza, e nel rapporto vengono identificate con un codice, da CS-1 a CS-23. La più importante è CS-23: un ex agente speciale dell’Fbi, con «esperienze di antiterrorismo e controspionaggio», di stanza a San Diego. In questa veste aveva lavorato proprio su Bayoumi ed era stato il primo a collegarlo ai servizi sauditi. A precisa domanda, l'ex poliziotto specifica che i responsabili dell'Fbi di San Diego avevano chiesto informazioni alla Cia, ma il comando di Langley rispose di non avere «nessuna notizia». Una menzogna, secondo CS-23: in realtà la Cia aveva «molti incartamenti su Bayoumi».

 

Il diniego ha una logica: la Cia opera all'estero e non è autorizzata a condurre operazioni sul suolo americano. Per questo avrebbe deciso di coinvolgere i servizi sauditi. CS-23 ne è sicuro: «Fu un'operazione gestita dalla Cia». Canestraro, interpellato da SpyTalk, riassume così la sua indagine: «La Cia non ha condiviso con l'Fbi tutto quello che sapeva su Bayoumi, sia prima sia dopo il massacro dell’11 settembre. E questo ha influito negativamente sulle indagini». È il più grave dei tanti «allarmi ignorati» sull’attacco di Al Qaeda negli Usa.

 

Canestraro ha raccolto anche la deposizione di Richard Clarke, che fu vice-consigliere per la sicurezza nazionale con due presidenti, Bill Clinton e George W. Bush, con il compito di coordinare polizia e servizi segreti. Oggi Clarke rivela che «Hazmi e Mihdhar disponevano di visti d’ingresso negli Stati Uniti», ma la Cia non trasmise quelle notizie neppure a lui: «Se le avessi avute, le avrei passate al capo dell’Fbi… Non è stato possibile, perché la Cia stava tentando di agganciarli». Clarke accusa anche la Commissione parlamentare d'inchiesta sull'11 settembre di non aver voluto approfondire il ruolo dei sauditi, per ragioni strategiche.

 

In effetti il rapporto finale della Commissione, pubblicato nel 2004, non fa alcun accenno ai servizi e descrive Bayoumi solo come «ingegnere di un'impresa appaltatrice dell'Aviazione civile saudita», che «frequentava e finanziava moschee integraliste in California», ma «non sono emersi indizi credibili di un suo appoggio a estremisti violenti». L'indagine parlamentare ha avuto esiti assolutori anche per Fahad Al Thumairy, l'imam della moschea che ospitò i due futuri terroristi. Oggi CS-23 collega anche lui agli apparati del regime: «Bayoumi era un agente dei servizi arabi ed è stato incaricato da Thumairy, proprio al consolato saudita di Los Angeles, davanti ad alcuni testimoni, di avvicinare Hazmi e Mihdhar». Anche l'imam, insomma, aveva un ruolo nello spionaggio saudita, con relativa copertura diplomatica. E proprio Thumairy, comportandosi da capo-struttura, ha ordinato a Bayoumi  di andare al ristorante per agganciare i due estremisti.

 

L’ingegnere e l’imam sono menzionati, ma solo marginalmente, anche in un altro rapporto dell'Fbi, reso pubblico dal presidente Joe Biden nel settembre 2021, su pressione dei familiari delle oltre tremila vittime. Anche quelle 16 pagine confermano i tentativi dei servizi sauditi di arruolare Hazmi e Mihdhar come infiltrati in Al Qaeda. In che modo? «Assistendoli nelle loro pratiche quotidiane e procurando anche un alloggio nella California del Sud». Il rapporto della polizia federale conferma il fallito reclutamento («operazione Encore») ma non ipotizza alcuna complicità saudita negli attentati: era solo una pista che fu sottovalutata e poi abbandonata.

 

Un'altra fonte importante è CS-3, un agente dell'Fbi che fu distaccato dal gennaio 1999 fino al maggio 2003 alla Alec Station, l'unità speciale creata dalla Cia per combattere Al Qaeda e dare la caccia a Osama Bin Laden. Quel poliziotto fu il primo a scoprire, con un collega, che Hazmi e Mihdhar disponevano di visti d’ingresso negli Stati Uniti, dove arrivarono il 15 gennaio 2000. I giornalisti di SpyTalk hanno identificato CS-3: è Mark Rossini, già intervistato da L'Espresso il 5 settembre 2021. Interrogato da Canestraro, Rossini conferma che un'analista della Cia, Michael Anne Casey, gli ordinò di non riferire all'Fbi dei due giovani sauditi, con questa giustificazione: «Il prossimo attacco di Al Qaeda avverrà nel Sudest asiatico. Quei visti per l'America sono solo un diversivo. Quindi l'Fbi non c'entra e non va informato».

 

Rossini precisa che il suo rapporto sul lungo soggiorno di Hazmi e Mihdhar a San Diego era «già pronto per essere inviato all’Fbi, ma non è mai uscito dalla Alec Station». Quindi la polizia non ha potuto controllare, pedinare e intercettare i due sospetti terroristi. Secondo CS-3, la vera ragione è inconfessabile: «La Cia non voleva che l’Fbi interferisse in una sua attività di spionaggio condotta sul territorio americano, in violazione della legge». Lo stesso Rossini giura di aver sentito uno sconcertante scambio di battute tra il direttore della Cia, George Tenet, e il capo delle operazioni segrete, James Pavitt. Questi si vanta di aver impedito che l'analista della Cia venisse chiamata a testimoniare alla Commissione parlamentare. Commento di Tenet: «È stata una buona idea». Rossini conclude che «Hazmi e Mihdhar hanno ottenuto i visti per gli Usa dal consolato americano di Gedda proprio per facilitare l’operazione congiunta tra i servizi sauditi e la Cia».Interpellata da SpyTalk, la Cia ha negato, attraverso un portavoce, di occultare informazioni sull’11 settembre. Dall’Fbi, nessuna dichiarazione.