I lavori guidati dalla meloniana Chiara Colosimo si concentreranno sul filone degli appalti legato a Via D'Amelio. «Ragionamento assurdo nel metodo e nella logica: il biennio 92-94 va valutato nel suo complesso» attacca Scarpinato (M5S). E ad affiancare la maggioranza spunta il generale Mario Mori

Parte con l’handicap la nuova Commissione antimafia di Chiara Colosimo, Fratelli d’Italia. L’avvio dei lavori è imminente ma già si sente odore di rinuncia sui buchi neri delle stragi 92-94. L’organismo parlamentare è intenzionato a concentrare la propria attività solo su via D'Amelio, ovvero sull’eccidio del procuratore aggiunto Paolo Borsellino e dei cinque agenti di scorta, avvenuta il 19 luglio del 1992. E, in particolare, sulla pista degli appalti per spiegare l’eccidio, ovvero sul filone che le procure siciliane non hanno mai ritenuto centrale per risalire alle ragioni che decretarono la fine del magistrato. La pista che conduce al nodo di interessi tra mafia e affari è legata al rapporto dei carabinieri del Ros al quale Borsellino intendeva lavorare dopo la morte di Giovanni Falcone, avvenuta il 23 maggio di quell’anno. Tanto più che, come sembra, a consigliare la maggioranza della commissione potrebbe essere Mario Mori, l’ex generale, processato e assolto per la trattativa Stato-mafia che di quel rapporto fu uno degli estensori.

 

In un documento di oltre 50 pagine, che L’Espresso ha potuto visionare in anteprima, è il senatore Roberto Scarpinato, ex procuratore generale a Palermo, oggi parlamentare dei Cinquestelle a tracciare l’orizzonte che la commissione dovrebbe prendere in considerazione, rispondendo direttamente a Chiara Colosimo che lo scorso 4 settembre ha informato ufficialmente i commissari sulle intenzioni che animeranno la nuova Commissione.

 

Secondo la presidente, infatti, l’elenco di priorità è decisamente contenuto. Al primo punto c’è via D’Amelio, «il cui seguito giudiziario – scrive nel documento che prospetta l’attività futura - è stato definito il più grande depistaggio della storia». Colosimo sostiene poi «l’esigenza, anche culturale, di fornire risposte agli interrogativi in merito alla lunga latitanza di Matteo Messina Denaro». 

 

Un controsenso, secondo Scarpinato, che invece mette in fila tutti i nervi scoperti che hanno costellato a esempio le indagini di Falcone a partire dall’omicidio Mattarella, da Gladio e dal fallito attentato all’Addaura, collegandolo alle ultime pagine declassificate - dopo l’applicazione della direttiva Draghi – su Gladio. E lo fa includendo oltre alle stragi anche gli stessi depistaggi sull’inchiesta di via D’Amelio fino a incorporare le più recenti risultanze del processo ‘ndrangheta stragista.

 

«Nell’ambito della istruttoria dibattimentale del processo per l’omicidio del giornalista Mauro Rostagno – recita la controagenda di Scarpinato - è stato acquisito dalla Corte di Assise di Trapani un dispaccio segreto del 19 giugno 1989 attestante che l’articolazione di Gladio a Trapani fu incaricata di eseguire nei giorni seguenti una operazione (denominata in codice DOMUS AUREA) coperta dalla massima segretezza in ambito Nato nei pressi di un Villino all’Addaura.  Il dispaccio conteneva l’ordine (per fortuna non eseguito dal destinatario) di distruggere immediatamente il documento dopo la lettura. Le coordinate del dispaccio consentono di identificare il villino in quello occupato dal dott. Falcone, dove il 21 giugno fu eseguito un attentato nei suoi confronti mediante esplosivo».

 

La rotta seguita da Scarpinato, però, non ha solo come riferimento la bussola del passato, visto che anche le nuove inchieste ad altre collegate fanno capolino. Come a esempio quella più recente di Caltanissetta sulla presenza di Stefano Delle Chiaie a Capaci prima della strage, che ha visto indagati, con ulteriori sviluppi più recenti, l’ex avvocato dell’estremista, Stefano Menicacci assieme a  Domenico Romeo, altro personaggio che entra nelle dinamiche precedenti alla strage, piene di opacità.

 

Su tutto, l’urgenza di continuare a indagare, come più volte scritto da L’Espresso, sulla presenza di elementi esterni agli attentati come sostenuto da varie procure, Firenze su tutte. Per questo, secondo Scarpinato, bisgna sentire i testimoni ancora in vita, acquisire carte vecchie e nuove non limitarsi alla semplice ricostruzione storica.

 

Il senatore 5S a L’Espresso parla chiaramente di una incomprensibile volontà di «vivisezionare» i fatti scollegandoli tra loro. Come se il biennio 92-94 non fosse figlio di un unico filo conduttore tessuto per convogliare gli interessi di varie provenienze: la criminalità organizzata nelle sue consorterie più occulte, la massoneria, i servizi segreti e l’estremismo politico, in particolare quello neofascista.

 

Sul controdocumento di Scarpinato è stata già espressa una linea negativa da parte della maggioranza del comitato di presidenza e dalla Colosimo stessa (FdI, FI e Lega in testa, escluso il Pd) come comunicato al gruppo parlamentare dei 5S. «Ho cercato di far capire alla Presidente l'importanza di dover mantenere necessariamente uniti, nelle more delle indagini, i fili che collegano la strage di Via D'Amelio e le altre stragi. Nonché tutti gli eventi che a quegli stessi eccidi sono a loro volta collegati», dice Scarpinato. «Se il voto dovesse rispecchiare la posizione già espressa – chiarisce- bisognerà allora trarre le conclusioni dovute e cioè che il disegno possa essere un altro, nonostante tutte le informazioni ricevute».

 

Come si muoverà la Commissione Antimafia in tema di filoni investigativi settoriali è ancora presto per dirlo. Sembra non ci sia la volontà di proseguire la strada già tracciata dalla Presidenza di Nicola Morra durante la quale i comitati per temi (dal caso Moro alla strage dei Via dei Georgofili passando per gli eventi di Alcamo Marina e l’omicidio di Pier Paolo Pasolini tra gli altri) hanno permesso un approfondimento utile anche alla magistratura.

 

Riecco Mario Mori
E le cose potrebbero complicarsi, inoltre, se come riferito all’Espresso da fonti interne alla Commissione, a sostenere i nuovi lavori su Via D’Amelio sarà anche l’ex generale Mario Mori forse non in maniera ufficiale, ma comunque in forza al lavoro d'inchiesta parlamentare.  È una voce da cui è difficile ricavarne la conferma, ma se si torna con la mente all’incontro che la stessa Colosimo ha avuto con l’ex Generale e l’avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli del giudice Borsellino, insieme a una delegazione del Partito Radicale, lo scorso giugno, allora unire i pezzi non è difficile. Nel documento steso da Scarpinato, Mori (assolto ad aprile insieme agli ufficiali dei carabinieri Antonio Subranni e Giuseppe De Donno nel processo trattativa Stato Mafia) è presente per la vicenda che lega Paolo Bellini, condannato come quinto esecutore della strage alla stazione di Bologna, e Antonino Gioè lo stragista di Capaci, anche uomo-cerniera tra servizi e mafia.

 

Si legge nel documento: «Della diretta interlocuzione instaurata da Bellini con gli stragisti, il generale Mori fu informato in tempo reale dal maresciallo dei carabinieri Tempesta che gli consegnò un manoscritto che il Bellini aveva ricevuto dai mafiosi, ma inspiegabilmente Mori di tale vicenda non solo non informò nessuno, non solo distrusse il manoscritto, ma ordinò a Tempesta di non redigere alcuna relazione scritta. La vicenda – continua il testo - è ricostruita nella motivazione della sentenza dalla Corte di Appello di Palermo del 23 settembre 2021», dove non è messa in discussione. Sono anche queste le «anomalie gestionali» rimaste da chiarire, secondo Scarpinato, nei lavori della Commissione. 

 

«Pensare di poter trattare i fatti come singoli episodi da chiarire – conclude infine l’ex magistrato- limitando poi alla sola strage di Via D'Amelio il focus dei lavori parlamentari, è assurdo nel metodo e nella logica. E farlo usando la forza politica dei numeri è poi oltremodo contrario ai principi democratici».