Il caldo, sappiamo, può giocare brutti scherzi. Sarà pure per questa ragione che alcune fra le migliori stravaganze burocratiche prendono forma sotto la canicola. L’ultima trovata del ministero della Giustizia, per dirne una. Ora, che sia un problema per la giustizia italiana il disordine nel modo in cui molti avvocati presentano i loro ricorsi al giudice, nessuno può negarlo. Ma era proprio necessario che il ministro Carlo Nordio facesse un decreto per stabilire come devono essere scritti e quanti caratteri possono avere?
Decreto 7 agosto 2023, numero 110: «Regolamento per la definizione dei criteri di redazione, dei limiti e degli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l’inserimento delle informazioni nei registri del processo». Si dirà che la cosa è funzionale alla digitalizzazione della giustizia, certamente in favore dell’agilità dei processi. E Dio solo sa se ne avrebbe bisogno il nostro polveroso sistema giudiziario. Che, nonostante le innovazioni informatiche introdotte nei tempi più recenti, è ancora lontano dagli standard accettabili per un Paese civile.
Diversamente, i finanziamenti europei dell’ormai famoso Pnrr non sarebbero condizionati a un drastico taglio dell’arretrato, che dovrebbe essere ridotto del 90 per cento entro l’orizzonte finale del programma comunitario, ossia il giugno del 2026. Con un passaggio intermedio al 31 dicembre 2024, quando le pendenze più vecchie di tre anni nei tribunali e di due anni nelle corti d’appello dovrebbero ridimensionarsi rispettivamente del 65 e del 55 per cento. Dopodomani, praticamente.
Sarebbe ingeneroso non ammettere che qualche progresso è stato fatto, ma siamo ancora decisamente lontani dall’obiettivo. Dicono le rilevazioni ufficiali pubblicate all’inizio di agosto che nel primo trimestre di quest’anno le «pendenze totali» nel settore della giustizia civile si sono ridotte dell’1,6 per cento. Ma il numero rimane esorbitante: le cause civili pendenti in Italia sono ancora due milioni 813 mila 983. Niente a che vedere con il record dei 5,7 milioni del 2009, certo. Sapere, però, che qui ci sia una causa civile aperta in tribunale ogni 20 abitanti, neonati compresi, fa una certa impressione. Soprattutto in confronto a ciò che accade negli altri Paesi. In Francia sono a meno della metà e in Germania addirittura a un quinto del nostro Paese, in rapporto alla popolazione.
Non tutti i tribunali, evidentemente, hanno gli stessi problemi. Uno studio del Sole 24 Ore, per esempio, ha accertato che sui 140 tribunali italiani i problemi più grossi delle liti giudiziarie con oltre tre anni di età riguardano 17 sedi. E che oltre il 40 per cento dell’arretrato civile con stagionatura ultrabiennale in corte d’appello è colpa di Roma e Napoli.
Quanto alla giustizia penale, le cose andrebbero un po’ meglio a giudicare dal fatto che nel primo trimestre di quest’anno il calo dei procedimenti pendenti è stato del 3,2 per cento. Anche in questo caso, tuttavia, i numeri lasciano interdetti. I procedimenti pendenti sono 1.387.080: esattamente come vent’anni fa, quando erano 1.397.928. Oggi, proprio come nel 2003, in media un cittadino italiano ogni 40 circa è invischiato in un procedimento penale di qualche tipo. Mentre tocca ascoltare le sacrosante lamentele del procuratore generale di Torino, Francesco Enrico Saluzzo, che dopo la strage di Brandizzo ha denunciato la situazione di «illegaltà», parole sue, nella quale versa la Procura di Ivrea, priva di uomini e risorse.
Ed è oggettivamente complicato non rilevare il contrasto fra la sua clamorosa denuncia e le ossessioni burocratiche del ministero. Leggetelo, quel decreto del 7 agosto. C’è scritto che gli atti di citazione e i ricorsi per le cause di valore inferiore a 500 mila euro non possono superare 80 mila caratteri; le memorie e le repliche non devono oltrepassare i 50 mila; invece le note si devono contenere entro i 10 mila. Spazi esclusi, ovviamente. Il tutto, inoltre, va scritto in corpo 12, con interlinea di 1,5 e margine orizzontale e verticale di 2,5 centimetri. Non uno di più, non uno di meno.
Va detto che in via Arenula, a Roma, dove ci sono gli uffici del ministro Nordio, non sono impazziti. Il decreto del 7 agosto è un atto dovuto: la conseguenza di un articolo, esattamente il numero 46, delle disposizioni per l’attuazione del Codice di procedura civile. L’articolo prevede che il ministero, dopo aver sentito il Csm e gli avvocati, definisca appunto con decreto «gli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l’inserimento delle informazioni nei registri del processo e stabilisca i limiti degli atti processuali, tenendo conto della tipologia, del valore, della complessità della controversia, del numero delle parti e della natura degli interessi coinvolti». Fondamentale, con i problemi della giustizia italiana.
E se finalmente lo stesso decreto del 7 agosto prescrive (articolo 7) che anche il giudice «redige i provvedimenti in modo chiaro e sintetico», non poteva mancare alla fine l’istituzione di un nuovo organismo a valle di tutto ciò. Un «Osservatorio permanente sulla funzionalità dei criteri redazionali e dei limiti dimensionali stabiliti dal presente decreto al rispetto del principio di chiarezza e sinteticità degli atti del processo». La nuova struttura sarà gestita dall’ufficio legislativo del ministero e avrà fra i componenti, «nominati dal ministro», anche «esperti di linguistica giudiziaria» e avvocati. Gratis, ovviamente. Ma sono pur sempre altri incarichi, per gli apparati di un ministero che mai come in passato sta accogliendo figure professionali esterne con ecumenica (e politica) disponibilità.
L’ultima nomina in ordine di tempo, quella di Paola Balducci nella commissione incaricata di riformare la procedura penale. Avvocata, ex deputata dei Verdi e successivamente componente laica del Consiglio superiore della magistratura, eletta dal Parlamento nel 2014 in quota Sinistra ecologia e libertà «durante la consiliatura – ha sottolineato il Riformista di Matteo Renzi – nella quale Luca Palamara spadroneggiava senza freni». Non l’unica, al ministero, in ottimi rapporti con l’ex presidente dell’Anm: al posto di vicecapo del dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, cuore del dicastero di via Arenula, Nordio ha collocato la presidente della Corte d’appello di Potenza, Rosa Patrizia Sinisi, che con Palamara condivideva una chat poi finita agli atti dell’inchiesta che ha travolto quel magistrato.
Ma di sicuro Balducci è la sola, fra i personaggi provenienti dalla politica ingaggiati da Nordio, come l’ex onorevole di Forza Italia, Giusi Bartolozzi, oggi suo vicecapo di gabinetto, ad averne percorso il firmamento da sinistra a destra. Da Sinistra ecologia e libertà, di cui è stata esponente negli anni di Nichi Vendola, ora è portavoce di “Verde è popolare”, movimento politico ecologista fondato da Gianfranco Rotondi: democristiano a trazione integrale, ex ministro dell’ultimo governo di Silvio Berlusconi e ora deputato di Fratelli d’Italia. Per inciso, “Verde è popolare” figura nell’elenco dei finanziatori del partito di Giorgia Meloni. Cinquemila euro appena, nel 2022. Ma è il gesto che conta. Spazi esclusi.