L'inchiesta
Miliardi per nuove fregate e carri armati: l'Italia si impegna, ma i soldi non ci sono
Il nostro Paese continua ad avviare programmi di acquisto impegnandosi in spese a 9 zeri. Ma senza avere i fondi necessari per farlo. Il governo ordina, il Parlamento annuisce, ma i conti non tornano. A cominciare dalle navi per la Marina Militare
C’è una usanza italiana, sempre più accentuata in questa ordalia militarista, di aderire a programmi o attivare programmi per l’acquisto di armi senza avere soldi. Il ministero della Difesa, lo scorso mese, ha inviato alle Camere l’ossatura di un decreto non per aderire a un programma o attivare un programma, ma per riattizzare un programma in scadenza. È il programma per le fregate classe Fremm con le ultime consegne per la Marina militare italiana previste entro un paio di anni: il governo lo vuole estendere di appena tre lustri, quindici anni con molti asterischi e parecchie stime. A numeri fa più effetto: 2040.
Le norme prevedono che le commissioni parlamentari competenti esprimano un parere. Stavolta il parere positivo è stato espresso su un documento più che vago: con una spesa di 60 milioni di euro già stanziati se ne innesca una di circa 2 miliardi non stanziati per una coppia di Fremm denominata Evo di nuova (ci mancherebbe) generazione e vari imprecisati interventi di rinnovamento e manutenzione.
Vent’anni indietro e tanti salti in avanti, per capire. Fremm è un programma francese e italiano che ha più o meno vent’anni. Come venti, più o meno, erano le fregate da produrre assieme. Con i numeri forgiatesi col tempo: dodici fregate per la Francia, dieci esemplari per l’Italia al costo totale di 5,9 miliardi di euro. Il programma Fremm, per un periodo, è stato una sorta di amorevole convivenza tra Francia e Italia aspettando il conferimento dei siti Saint Nazaire (Loira Atlantica) in Fincantieri con gli italiani che, per una volta, si pavoneggiano con i francesi. Ovviamente non è successo. E ciascuno se n’è andato dove ha preferito pure col programma Fremm.
La società di ingegneria Orizzonte Sistemi Navali, controllata da Fincantieri (51%) e da Leonardo (49%), è il cosiddetto «integratore» o «sviluppatore» del programma Fremm per la Marina militare italiana. L’amministratore delegato di Orizzonte Sistemi Navali proviene da Fincantieri e si chiama Giovanni Sorrentino; il presidente è il condirettore generale di Leonardo e si chiama Lorenzo Mariani. Un illustre predecessore di Mariani è Guido Crosetto, l’attuale ministro della Difesa, presidente di Orizzonte Sistemi Navali da aprile ’20 a ottobre ’22, fino alla nomina nel governo di Giorgia Meloni. Orizzonte Sistemi Navali, da fornitore della Marina militare italiana, ha rispettato sempre la tabella per le Fremm. La nona fregata “Spartaco Schergat” e la decima fregata “Emilio Bianchi”, a chiusura di commessa, erano pronte per il varo nel ’20 e poi la messa in servizio per la Marina militare italiana. Però nei primi mesi del ’19, il governo italiano di Giuseppe Conte (alleato con la Lega) e Fincantieri del compianto Giuseppe Bono erano in trattativa per rivendere la “Schergat” e la “Bianchi” all’Egitto del generale Abdel Fattah al-Sisi, proprio all’Egitto colpevole dell’atroce uccisione del ricercatore Giulio Regeni. In un Consiglio dei ministri di agosto ’20, durante la pandemia, il presidente Conte (alleato col Pd) ha autorizzato la cessione agli amici egiziani di “Schergat” e “Bianchi”. Ha protestato la famiglia Regeni. Ha protestato un considerevole spicchio di Parlamento. Ha protestato la Marina militare italiana. Hanno protestato le associazioni per i diritti umani.
Per Fincantieri c’era una valida motivazione industriale: le dieci fregate diventavano dodici, e poi ci si infilava nel mercato egiziano (la Francia s’era già infilata, perché non farlo pure noi?). Per il governo era una obbligata decisione geopolitica (la Francia eccetera eccetera) e soprattutto in questa Terza o Quarta Repubblica i governi seguono le aziende di Stato, non viceversa (tranne alla vigilia delle nomine). Le fregate “Schergat” e “Bianchi”, letteralmente sottratte alla Marina militare italiana, hanno subito un costoso processo di conversione degli equipaggiamenti tecnici. Semplice, l’Egitto non è membro Nato. Gran parte di queste modifiche non è stata fatturata al generale al-Sisi, che anzi ha ottenuto uno sconto.
Superata ben presto l’indignazione, il ministero della Difesa, come peraltro necessario, ha ordinato un’altra coppia di fregate Fremm per la Marina in sostituzione di “Schergat” e “Bianchi”. Il danno è facile da individuare: la consegna di “Schergat” è prevista per il secondo trimestre ’25, quella di “Bianchi” per il quarto trimestre ’25. Quattro anni di ritardo. Di altri clienti per Fremm, nonostante le eccellenti recensioni e un patto più ampio con l’Indonesia, non c’è memoria. Allora è baluginata una bella idea di Fincantieri: riammodernare la piattaforma, non fermare le maestranze calando un «ponte» fra le generazioni di Fremm. La Marina militare italiana ne ha presto compresa la ghiotta occasione. Ne ha fatto cenno, un anno fa, in commissione parlamentare l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, il capo di Stato Maggiore della Difesa: «Per quanto riguarda il documento programmatico pluriennale ’23-’25, abbiamo ricevuto recentemente indicazioni dal ministro di mettere a calcolo la messa in cantiere di due nuove Fremm».
Il Documento programmatico pluriennale, abbreviato in Dpp, riassume le strategie del ministero della Difesa. E infatti la versione ’23-’25 ha citato le Fremm Evo e quel denaro che funge da «ponte»: «Il programma ha ricevuto una necessaria integrazione di 60 milioni attraverso risorse a fabbisogno recate dalla legge di Bilancio. Il programma gode di un anticipo risorse sul bilancio del ministero delle Imprese per complessivi 343,0 milioni». La stessa Fincantieri, in un documento depositato alle Camere a corredo dell’audizione informale dell’amministratore delegato Pierroberto Folgiero, ha reso onore alla lungimiranza del ministro Crosetto: «Il Dpp presentato dal ministro è in linea con gli investimenti programmati e attesi da Fincantieri e costituisce un documento strategico in merito ai programmi nuovi in fase di avvio, a quelli che saranno rifinanziati, a quelli che auspicabilmente saranno avviati nel prossimo futuro». Tutti d’accordo. Da qui è derivata l’esigenza di un decreto ministeriale per i 60 milioni e il conseguente innocuo passaggio nelle commissioni Difesa di Camera e Senato.
Questa legislatura ha una caratteristica specifica in tema di armi. Non soltanto perché attraversa due guerre visibili e terribili in Ucraina e in Medio Oriente. Lo spazio pacifista in purezza è molto ridotto e ognuno ha in carriera spedizioni di armi. Un governo a guida Cinque Stelle addirittura ha avallato le fregate all’Egitto. La contestazione più neutra, perciò, proviene dagli uffici studi di Camera e Senato che, in merito al decreto, scrivono: «Dal momento che il totale degli stanziamenti previsti nel profilo programmatico presentato nell’ultimo Dpp ammonta a 1.094 milioni di euro, a fronte di 2.000 milioni di euro stimati nella scheda tecnica afferente al programma in esame, si valuti l’opportunità di richiedere un chiarimento sull’onere complessivo del programma Fremm e in particolare sull’onere dell’acquisizione di ulteriori due fregate di nuova generazione Fremm Evo». Come a suggerire: scusate, ci siamo lasciati con le restanti Fremm, ci ritroviamo con quelle non terminate, ulteriori compiti e due Fremm Evo per un importo volubile di 2 miliardi. C’è anche la versione del senatore Maurizio Gasparri (FI), relatore a Palazzo Madama per quest’atto di governo: «L’onere complessivo del programma – si legge dal resoconto sommario – è stimato in 2.000 milioni di euro, con una durata complessiva ipotizzata fino all’anno 2040. La spesa relativa alla prima fase dell’impresa, tuttavia, quella riferibile al programma in esame, finalizzata all’integrazione delle nuove tecnologie e alla risoluzione delle obsolescenze per tutti i sistemi e gli impianti presenti sulle Fremm in servizio e che entreranno a far parte della configurazione delle due ulteriori piattaforme, ha un ammontare complessivo di 60 milioni di euro, con un impegno previsto sino al 2025. La scheda tecnica evidenzia come il completamento dell’intero programma, per il restante valore previsionale di 1.940 milioni di euro, sarà contrattualizzato in futuro, subordinatamente all’identificazione delle risorse necessarie». Per queste ragioni il deputato Andrea Tremaglia (FdI), relatore alla Camera, ha utilizzato abbondante prudenza: «Sia precisato che lo schema di decreto è circoscritto alla prima fase del programma e che il completamento del medesimo dovrà successivamente formare oggetto di uno o più schemi di decreto, da sottoporre all’esame delle Camere, una volta reperite le necessarie risorse finanziarie, al fine di consentire la verifica in sede parlamentare della relativa copertura».
Il parere favorevole per le Fremm, che non è mai stato in dubbio, è offerto sulla fiducia. Com’è avvenuto per i 272 carri armati Leopard di fabbricazione tedesca. Spiegano ancora gli uffici studi di Camera e Senato, integerrima opposizione che si ciba del nettare della realtà: «Nel Dpp lo stanziamento è distribuito nello stesso arco temporale previsto dallo schema in esame (2024-2037), ma con una previsione totale di spesa – riportata con identico ammontare (4.090 milioni di euro) sia nel cronoprogramma sia nel Dpp – inferiore al costo complessivo del programma (8.246 milioni di euro). Si valuti l’opportunità di richiedere chiarimenti sulla notevole differenza». Un miliardo che manca di là, quattro miliardi che mancano di qua. Sarà una prassi. La corsa alle armi e le due guerre visibili e terribili, ce ne sono altre meno visibili e ugualmente terribili, danno una spinta inarrestabile all’industria bellica.
Nessuno può negare che la sicurezza nazionale e continentale passi per la sorveglianza nel Mediterraneo, il Mediterraneo allargato come dicono quelli che alle scuole serali hanno divorato i bignami di geopolitica, e dunque che l’Italia debba immergersi nelle acque con i mezzi migliori come le migliori fregate Fremm. Non sfugge che le Fremm sono impiegate nel Mar Rosso contro le aggressioni alle navi merci degli Houthi. Per l’appunto le Fremm Evo avranno una capacità doppia di controllo con i radar, potranno scovare qualsiasi tipologia di sommergibile e avranno in pancia formidabili missili Aster 30. Esperti e novizi concordano: l’appartenenza all’Alleanza Atlantica comporta degli investimenti adeguati a soddisfare i livelli imposti dall’Alleanza Atlantica. Prima regola del club.
Quello che ci si permette di far notare è che segnalare il fortissimo bisogno di avere più carri armati con il fortissimo bisogno di avere più fregate è incoerente: o presidiamo il Mediterraneo con maggiore efficacia o incolonniamo carri armanti sul passo del Tarvisio per respingere gli invasori. Vero, il mondo è in fiamme e si comprano più estintori con pochi distinguo. Ma per le Fremm Evo ci vorranno almeno cinque anni e per i carri armati Leopard si arriva al ’37. Fonti della Difesa precisano: «I programmi possono mutare negli anni. A ogni modo, dal ’28 la nostra spesa militare sarà in linea con la Nato. Col due per cento del Prodotto interno lordo, avremo 10 miliardi di euro in più». Dice il senatore pentastellato Bruno Marton che ha un posto in commissione Difesa: «Noi siamo molto preoccupati per gli 8 miliardi di euro in carri corazzati che non verranno neanche prodotti in Italia e non servono alla difesa del suolo nazionale, ma bensì a missioni internazionali. Per quanto riguarda le Fremm sosteniamo il ripristino delle due che abbiamo dato all’Egitto, ma siamo contrari all’acquisto immediato di altre unità per la situazione economica dell’Italia. Non ha senso iniziare programmi da miliardi mettendo una manciata di milioni e lasciare il debito ai governi che seguiranno». Più che ai governi, all’Italia che seguirà. La speranza di chi non vede molta speranza in giro nel mondo, cioè di chi vende armi, è che l’Unione europea abbuoni le spese militari, non le conteggi. Il famoso debito buono. Buono finché non spara.