Diritti negati

Limitare il diritto all'aborto Regione dopo Regione: ecco la strategia della Destra contro la 194

di Simone Alliva   14 marzo 2024

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Dal Piemonte al Lazio, le giunte guidate da Lega e Fdi minano i diritti delle donne infilando militanti anti-scelta negli ospedali e sottraendo soldi ai consultori. Così va avanti la crociata della ministra Eugenia Roccella

«Ero in sala d’attesa il primo giorno di ecografia, si avvicina questa donna in camice bianco e dice che mi aspetta in una stanzetta lì accanto. Vado, convinta che si trattasse di un medico. Entro. La stanza piena di lucine e santini. Penso: è molto credente. Dopo aver chiesto i motivi più intimi della mia decisione (alla quale ho risposto sempre convinta fosse un medico) si presenta come volontaria di un’associazione cattolica. Non ha fatto altro che cercare di convincermi a tenere il bambino, addirittura promettendomi un bonifico mensile per sostenere le spese. Mi sono sentita violata. Tutto sotto gli occhi di medici e infermieri». Non siamo in Texas ma a Napoli. Le stanze di ascolto, le proteste di fronte agli ospedali che effettuano l’interruzione volontaria di gravidanza, le marce Pro Vita, i disegni di legge presentati da Fratelli d’Italia e Lega per obbligare le donne ad ascoltare il battito del feto e dare diritti al concepito (scopo: bloccare la 194) sono niente in un Paese dove esiste per legge l’aborto ma non nella pratica: «Mi fa sdraiare sul lettino: ecografia, senza nessun preavviso. Inizio a sentire il battito, non mi giro neanche a guardare lo schermo, nonostante il dottore mi abbia invitato ben tre volte a farlo. Il mio ex era contrario a farmi abortire e lo fa presente. Il dottore gli stringe la mano: “Complimenti! Di solito sono gli uomini che non vogliono avere bambini invece qua è il contrario, complimenti!”. Ho subito violenza psicologica, a volte anche fisica, dal mio ex e il dottore si complimentava».

 

Succede un po’ ovunque. A quasi quarantasei anni dall’entrata in vigore della legge sull’aborto (22 maggio 1978) è cambiata la geografia culturale del Paese. I consultori diminuiscono, i presidi anti-abortisti si rafforzano dentro gli ospedali. Non è successo all’improvviso, il passo indietro è la conseguenza di altri: la fine di un cammino. Ci sono sono militanti anti-scelta che si mimetizzano con il personale medico sanitario, altri che ti mettono di fronte a una cattedra, sotto sguardi attenti e parole ferme, per impedirti di scegliere: «Ho scoperto di essere incinta l’8 marzo 2023. Sono corsa al Cardarelli per cominciare la procedura. Il mercoledì è l’unico giorno in cui puoi tentare la fortuna. Mi ha accolto un’assistente sociale in uno studio enorme. Lasciandomi però alla porta come se fossi interrogata a scuola. Mi ha chiesto le generalità e perché voglio abortire. Dopo questo primo contatto orribile, in cui mi sono sentita a metà tra un numero e una stronza, mi ha fatto aspettare». S. non era sola, c’era il suo compagno con lei: «Trattato malissimo, come se fosse fuori posto. Attendevo l’arrivo dell’unico non obiettore finché non mi ha avvicinato una ragazza. Ha sorriso, mi ha chiesto: “Devi fare l’Ivg?”. Pensavo mi avrebbe dato delle info su quali sono i modi per farlo, i tempi, ecc. Così l’ho seguita in una stanzetta con tre sedie. Oltre a lei c’era una suora, hanno cominciato così: “Sei sicura? Noi possiamo aiutarti”. L’ho lasciata parlare ma poi le ho detto che ero convinta. Mi ha guardato, mi ha chiesto: “Hai fratelli piccoli? Un rifiuto così è tipico di chi ha avuto fratelli piccoli da accudire. Dopo questa pandemia e una guerra in corso non vedo proprio motivi per mettere al mondo figli”». «Ma la violenza non è il nostro destino», dice Federica Di Martino, psicologa e psicoterapeuta che quotidianamente sulla piattaforma Instagram con l’account “Ivg e sto benissimo”, accoglie storie che sono il frammento di una storia sola.

Il tema, in fondo, è il diritto di decidere del proprio corpo. Sono pagine di vita, invocazioni, abusi, richieste di libertà. Non trovano un posto. Di Martino ascolta, indirizza le donne e le aiuta ad autodeterminarsi. «L’informazione pubblica sul tema – spiega Giulia Crivelli, fondatrice di Libere di Abortire e avvocata che sempre più spesso accompagna le donne che hanno bisogno di abortire – non c’è. Non sul sito del ministero né su quelli delle Regioni. Non c’è un elenco di strutture dove le donne possono andare per esercitare un diritto. O hai gli strumenti di tuo, una rete di conoscenze che ti informa su quali sono i passi da fare e i tempi, oppure sei persa. In questa situazione trovarsi di fronte a persone che ti dicono “ti diamo cinquemila euro per tenere il bambino” è una forma di violenza».

 

La strategia del Governo Meloni
E non è solo l’informazione a essere carente. Sei generazioni dopo quella che ha combattuto la battaglia finale e ha portato a casa il risultato, la politica sembra aver deciso che sia troppo questa fiducia nella capacità di decidere delle donne. Troppo che una donna possa decidere entro il terzo mese di non avere un figlio. Sono 11 le Regioni che hanno strutture ospedaliere con il 100% degli obiettori di coscienza. L’articolo 9 della legge 194 prevede: «La Regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale». Ma non solo non lo fa. Nel nostro Paese i consultori familiari sono sempre meno e con poco personale. Dovrebbero essere uno ogni 20 mila residenti ma in realtà sono uno ogni 32.325. Così carenti di personale che rispetto allo standard di riferimento il valore medio delle ore di lavoro settimanali è inferiore di 6 ore per la figura del ginecologo, di 11 ore per l’ostetrica, di un’ora per lo psicologo e di 25 ore per l’assistente sociale. Negli ultimi anni, le forze di centrodestra invece di rafforzali spingono per una colonizzazione degli ospedali con truppe anti-abortiste. La promessa del governo in carica è sempre stata: «La legge 194 sull’aborto non si tocca», come ha ripetuto più volte Giorgia Meloni. E infatti non serve farlo. «Purtroppo è un diritto», ha confessato la ministra alla Famiglia e alle Pari Opportunità Eugenia Roccella. Per limitarlo serve strategia. «Genia – spiegano dal suo ministero costruito intorno ai suoi storici collaboratori – è da sempre convinta che per ridurre gli aborti, fino a eliminarli, nella situazione attuale non sia opportuno esprimere contrarietà manifesta alla 194. Serve preparare un terreno affinché l’aborto sia contrastato senza un passaggio legislativo atto ad abrogarla, basta usare gli articoli a tutela del concepito».

 

L'attacco al diritto all'aborto nelle Regioni governate dalla Destra
Così si comincia. Da Nord a Sud, Fratelli d’Italia estende la sua visione del mondo attraverso delibere e iniziative che ostacolano il diritto alla donna di procedere con l’interruzione di gravidanza. Il Piemonte quest’anno ha deciso di destinare un milione di euro per “Vita Nascente”, il fondo della Regione destinato alle donne che decidono di non abortire. Un modo per finanziare le associazioni Pro Vita. L’assessore alle Politiche sociali Maurizio Marrone (Fratelli d’Italia), che da sempre rivendica la misura, ha concesso per la precisione 940 mila euro, la stessa cifra dello scorso anno, mentre all’esordio – autunno del 2022 – lo stanziamento era di 400 mila euro. Vanno alle donne che decidono di proseguire la gravidanza, assegnando loro contributi per le spese legate alla cura e al mantenimento del bambino, come l’acquisto di vestiti, cibo, farmaci, pannolini, carrozzine, lettini, oppure un supporto economico per i costi legati alla casa: affitto, mutui e bollette. Oltre ad offrire attività di ascolto e consulenza e un aiuto psicologico. Chi co-gestisce questi fondi? Le associazioni per la vita anti-abortiste, che ottengono le risorse attraverso la presentazione di progetti specifici. 

 

Stessa misura voluta dalla destra in Umbria: punta a prevenire le interruzioni volontarie di gravidanza attraverso interventi volti a rimuovere gli ostacoli di natura economica e sociale che impediscono la costituzione e lo sviluppo di nuove famiglie. Bisogna leggere bene l’atto approvato dal Consiglio regionale umbro: assenti temi quali contraccezione gratuita, educazione sessuale e affettiva, libera somministrazione di Ru486, campagne informative riguardo al parto in anonimato, assunzioni e potenziamenti strumentali nei consultori.

In Lombardia passa la mozione 112 proposta dalla Lega che ha con oggetto il “Sostegno alla vita e alle donne in stato di fragilità”. Dei 46 presenti in aula, unici a votare contro Luca Paladini e Michela Palestra di Patto Civico. Non hanno partecipato al voto Pd e Alleanza Verdi Sinistra. La proposta è quella di aumentare le “culle per la vita” all’esterno delle strutture ospedaliere lombarde, luoghi in cui madri o genitori in difficoltà possono lasciare neonati in anonimato. «Il non detto di questa mozione è un ennesimo attacco della legge 194 e con il dibattito in aula si sono confermati i nostri timori», spiega a Radio Onda d'Urto Luca Paladini «Una mozione che, invece di favorire il sostegno ai consultori pubblici sempre più depotenziati, promuove i CAV (Centri di Aiuto alla Vita) per valorizzare le cosiddette “culle per la vita”».

Nei municipi del Lazio si raccolgono firme per obbligare ad ascoltare il battito del feto. Qui, in base a un’inchiesta dello scorso giugno del “Coordinamento delle donne e delle libere soggettività dei consultori del Lazio”, l’obiezione di coscienza è praticata da ben il 64% di ginecologi e ginecologhe, il 29% del personale sanitario, mentre nei consultori la percentuale è del 14%. In Regione, la giunta di centrodestra guidata da Francesco Rocca ha approvato una delibera sul “Bonus Mamme” che apre alle associazioni Pro Vita ed esclude i consultori famigliari dall’assistenza alle donne per la presentazione delle domande per il voucher.«Un provvedimento che, di fatto, mina alle fondamenta la legge 194», racconta a L’Espresso Eleonora Mattia, consigliera regionale del Pd. «È un paradosso escludere dalla gestione del bonus i consultori famigliari, prioritari per la buona riuscita della misura, non solo per competenza, ma anche perché sono la rete più capillare presente sul territorio». Numeri alla mano «parliamo – prosegue Mattia – di 155 strutture nel Lazio (di cui 101 nella Città metropolitana di Roma, 19 in provincia di Frosinone, 17 a Viterbo, 12 a Latina e 6 a Rieti), istituzionalmente deputate al «servizio di assistenza alla famiglia e alla maternità» e a tutti i residenti in «condizioni di particolare vulnerabilità», a fronte delle poche decine di sportelli di altri soggetti come le associazioni Pro Vita». Per Mattia si tratta di «un attacco velato alla legge 194 che mina il diritto delle donne all’aborto e il principio di laicità dello Stato e riserva alle politiche per la natalità solo poche mancette». Così restano lettera morta altre misure. «Le destre – aggiunge Mattia – preferiscono interventi spot ma lasciano inapplicate misure strutturali come la legge 7/2020 sull’istruzione per l’infanzia 0-6 anni, primi in Italia ad approvare, che prevede, ad esempio, incentivi per gli asili nido aziendali e dei Comuni delle aree interne». Identico destino per un’altra legge la 7 del 2021 sulla parità salariale che, ricorda Mattia «ha introdotto strumenti come le premialità in avvisi e bandi pubblici per le imprese che attuano la parità retributiva e incentivi per le imprese che assumono donne».

 

La Liguria, invece, valuta una proposta di legge per inserire in ogni struttura ospedaliera in cui si pratica l’interruzione volontaria di gravidanza degli sportelli Pro Vita gestiti dalle associazioni di volontariato. La relazione della proposta di legge 71 rivela un nitido approdo: l’embrione è «figlio dalla vita nascosta» e il profilo delle donne che si affacciano alla scelta dell’aborto è quello di persone «minacciate dalla solitudine, dall’ignoranza, dalla povertà, dalla paura». Abbandonando feti di plastica e rosari, il movimento di neo-cattolici, dopo aver fagocitato il Movimento per la vita politicamente minoritario, soprattutto nell’era post-democristiana diventa una costola della nuova destra anti-scelta. Si muove come gruppo di pressione e circonda il Paese.

 

 

Jennifer Guerra, giornalista e attivista transfemminista ha mappato in occasione dell’ultima marcia “Scegliamo la vita” (rebrand della famosissima “Marcia per la vita” oggi assorbita dai neo-cattolici) i suoi partecipanti: 110 associazioni da tutta Italia, dai piccoli comitati di quartiere alle grandi reti nelle amministrazioni locali. «Questi gruppi – spiega Guerra – ostacolano l’accesso all’aborto, diffondono informazioni false sulle sue conseguenze, si oppongono all’educazione sessuale e affettiva nelle scuole, prelevano e seppelliscono feti senza consenso, creano panico morale e allarmismo sui temi Lgbt, fanno lobbying per far approvare leggi contro l’Ivg». 

 

Gruppi che Roccella che ha più volte ospitato tra le stanze del ministero. «In passato – ha detto la ministra – sono stata incoerente. Poi ho iniziato a pregare, sapevo di aver tradito e rinnegato come Pietro». E la redenzione parte dal controllo dei corpi femminili. Non l’unica crociata, certo. Eppure molto sottovalutata.