Misteri d'Italia

Cascina Spiotta e il caso Moro: i segreti dell’Inchiesta di Torino

di Simona Zecchi   19 marzo 2024

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I documenti mancanti dell’Aise in una inchiesta giornalistica. Le storiche falsità dei Br svelate nelle intercettazioni del Ros

“Erebo”, la dimora dei morti, è il nome mitologico che gli inquirenti, delegati dalla Procura di Torino, hanno assegnato all'indagine sulla Cascina Spiotta. Nata da un esposto del 2021 di Bruno D'Alfonso, figlio dell’appuntato Giovanni D’Alfonso, rimasto ucciso durante la sparatoria alla Cascina del 5 giugno 1975; aperta nel 2022 con le prime attività, e poi proseguita nel 2023, l'inchiesta ha chiuso le indagini preliminari a fine febbraio del 2024.

 

La sparatoria - in cui anche cadde la ex Br Margherita Cagol e rimasero feriti i due carabinieri Umberto Rocca e Rosario Cattafi - si verifica davanti alla cascina Spiotta di Arzello, nell’Alessandrino, dove il 4 giugno ‘75 le Brigate Rosse avevano portato l’imprenditore vinicolo Vittorio Vallarino Gancia. In quel giorno i carabinieri arrestano l’unico Br condannato finora, l'allora 22enne Massimo Maraschi. A essere indagati, oltre a Mario Moretti e Renato Curcio, anche l’ex Br Lauro Azzolini, milanese, e Pierluigi Zuffada che, secondo i magistrati, avrebbe partecipato al sequestro conducendo l’ostaggio alla cascina e consegnando all’azienda Gancia la lettera di riscatto. Né Curcio né Moretti sarebbero stati presenti alla sparatoria. Ma secondo la Dda furono loro a pianificare il rapimento, come anche indicato nei loro libri. Interrogato il 23 febbraio 2023, Curcio indica invece come “licenze letterarie” le affermazioni che lo accusano contenute nel libro “A viso aperto”. «Io non faccio il nome del brigatista fuggito perché non conosco quella persona – afferma -. Pur avendolo incontrato a Foppolo non so dirvi chi sia. Non lo conoscevo prima di incontrarlo e non l'ho mai più incontrato dopo». Moretti invece si è avvalso della facoltà di non rispondere.

 

Nella nostra inchiesta indicavamo come probabile altro indagato nella inchiesta sulla Cascina anche il capo della colonna romana che organizzò il sequestro Moro, Mario Moretti, come è poi avvenuto, pur se con un ruolo diverso da quello ipotizzato. Moretti, insieme a Curcio e alla Cagol, secondo la Procura, avrebbe «definito le modalità di gestione del sequestro», individuato «i soggetti che dovevano partecipare all'azione, coloro che dovevano recapitare la richiesta di riscatto, il luogo ove custodire l'ostaggio e chi doveva provvedere alla sua sorveglianza». Infine, dando «ai partecipanti all'azione la seguente direttiva: "se avvistate il nemico vi sganciate prima del suo arrivo, se venite colti di sorpresa ingaggiate un conflitto per rompere l'accerchiamento".

 

Enrico Fenzi smentisce Enrico Fenzi
Nel 2017, davanti al senatore Federico Fornaro della seconda Commissione Moro, l’ex Br Fenzi, docente e studioso di letteratura italiana, riferiva quanto a sua conoscenza in merito all’identità del fuggiasco: «Mi è stato fatto capire che era Moretti, di cui si elogiava la capacità, in quel caso, di fuggire attraverso il bosco, nascondersi, eccetera. Non so come sia andata, ovviamente, però lì si è radicata una spaccatura personale, che poi ha preso anche i colori, che per la sinistra sono sempre determinanti, di una scelta politica». Nell’interrogatorio ai magistrati torinesi del 18 gennaio 2023, invece, il professore smentisce sé stesso (e la Commissione guidata da Giuseppe Fioroni): «Mai mi è stato fatto il nome di Mario Moretti come soggetto che scappò dalla cascina Spiotta (…) credo si trattasse più che altro di una sensazione (quanto da lui detto in Commissione ndr)».

 

Le carte del Ros e l’incursione nel sequestro Moro
La novità dell’inchiesta della procura torinese sta tutta nelle intercettazioni ambientali che il Ros di Torino ha effettuato nei confronti degli indagati. Le conversazioni captate, come spiega nell’informativa il Reparto Anticrimine, sono servite anche a incrociare le dichiarazioni da loro e da altri rese durante gli interrogatori. Da lì a spuntare sono alcuni importanti riferimenti alla storia stessa delle Br e al sequestro Moro. Fatti che sconfessano molte delle linee ufficiali proclamate nel tempo e oggi. Il riferimento al caso Moro nelle carte della procura è breve ma significativo, visto che Azzolini - secondo quanto sintetizzato dal Ros – in una intercettazione, riferendosi alla strage di Via Fani del 16 marzo 1978 - indica un nome nuovo eventualmente facente parte del commando, un ex componente dell’Autonomia Operaia genovese che intervistato dal Fatto Quotidiano ha negato qualsiasi coinvolgimento. Di fatto l’uomo, oggi imprenditore stimato nel capoluogo ligure, non è mai stato coinvolto né indagato nel sequestro dello statista Dc, in nessuno dei 5 processi celebrati sulla vicenda, né dalle varie Commissioni d’Inchiesta Parlamentare che se ne sono occupate.

 

Le “confessioni” di Azzolini e il suo nome già in un sito on line archivistico
«Siamo tornati... che siamo ritornati ancora là... io ero dentro la macchina. Dentro la macchina, quando l'ho visto... to to to to (simula le raffiche ndr) ma dove è andata... lei è stata ferita ... a un certo punto... è venuta fuori!!! Io cado, nella "POTTA" (fonetico) ho perso la pistola...». E ancora, facendo riferimento alla fase finale del conflitto alla Spiotta, quando con Mara si trovano di fronte al militare Barberis: «con uno, con uno e noi due arresi». Sono le parole che scandiscono in prima persona il conflitto a fuoco del 5 giugno 75 dove, sempre Lauro Azzolini, definisce Mara Cagol una «Robin Hood», perché pur avendo il mitra non lo usava.

 

Di fatto, come scrivono i giornalisti Folegnani e Lupacchini nella loro inchiesta che ha fatto riaprire il caso, le sue impronte non compaiono sulle armi utilizzate nel conflitto. I due colleghi, più volte nelle conversazioni tra ex Br e non, vengono indicati con parole poco gentili. I militari del Ros mettono a confronto le parole di Azzolini con la relazione che il Br, rimasto sconosciuto per 49 anni, aveva redatto e consegnato a Curcio, e trovano delle corrispondenze che suonano al Ros come una confessione. Le sue impronte, come quelle di altri, sono state individuate sul reperto-relazione stesso. Durante altre conversazioni con interlocutori non indagati, si fa riferimento a un sito archivistico sulle brigate rosse L’Alba dei funerali di Stato.org, sito ricco di documentazione in cui il nome di Lauro Azzolini, come autore della relazione, era già indicato da tempo.

 

Le conversazioni più rilevanti sono quelle che intercorrono tra il 17 e il 18 marzo del 2023 (le stesse in cui compaiono i riferimenti a Via Fani) in cui Azzolini parla, con un altro ex Br, della sparatoria alla Spiotta e dove, facendo esempi di altre azioni, indica chiaramente l'impreparazione militare che limitava le loro azioni più decisive. Per la stessa Via Fani, infatti, è noto come tutti i mitra si fossero inceppati mentre cadevano giù i 5 uomini della scorta di Moro. La “geometrica potenza” sempre esaltata dagli ex Br, o comunque mai rinnegata ufficialmente, si annulla così di fronte alle parole scandite da Azzolini: «Se io fossi stato addestrato, secondo te? A la PIOTTA (fonetico)» e ancora: «Ma ci... ma ci hanno dato un emmeuno (MI ndr.) che non sparava... una SVIZZERA che non potevamo usarlo che se, contavi fino a cinque ti scoppiava in mano dopo il tre». Le bombe a mano SCRM di provenienza svizzera sono quelle rinvenute presso la Cascina, e 3 anni dopo anche in Via Gradoli 96, uno dei covi dei brigatisti durante il sequestro Moro.

 

L’informatore del Sid e le carte dell’Aise: Leonio Bozzato conferma il suo ruolo da infiltrato
Nella corposa informativa che compone buona parte delle carte torinesi c’è posto anche per Leonio Bozzato, di cui L’Espresso ha già scritto, rivelando nuova documentazione. L’allora servizio segreto italiano disponeva di una fonte denominata “Frillo”, un militante dell’Autonomia Operaia veneta che poi otterrà la fiducia dei vertici delle figure più note dei Br, come Franco Bonisoli e Nadia Mantovani. Frillo/Bozzato riesce a sventare alcune azioni e a far arrestare la prima volta Curcio (che poi evaderà con l’aiuto della Cagol). Bozzato, il cui ruolo e la cui identità sono stati rivelati nel lavoro d’inchiesta di Folegnani e Lupacchini, conferma in un interrogatorio la sua collaborazione con i servizi segreti italiani.

 

E l’Aise, grazie alle richieste inviate alla magistratura da uno dei legali delle parti civili, Nicola Brigida, invia alla Procura la documentazione che lo riguarda, ma mancante di quella più copiosa che l’inchiesta giornalistica invece riporta. Soprattutto, considerando la sua collaborazione durata 11 anni (1971-1982) mancano nelle carte dei nostri Servizi le date significative dei due eccidi Spiotta e Moro. Bozzato interrogato a marzo e a novembre del 2022 dice di non ricordare il nome del Br fuggito dalla cascina anche se ricorda chi glielo fece, la ex Br Nadia Mantovani.