Inchiesta

Cosa c'entra Chiara Ferragni con le pensioni degli infermieri

di Gloria Riva   20 marzo 2024

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L'ente previdenziale della categoria, Enpapi, ha investito in titoli legati alla galassia degli influencer. Così ora il valore del brand dell'imprenditrice digitale è diventato fondamentale per consentire di continuare a pagare le pensioni

Mentre si deposita la polvere mediatica sollevata dalla copertina de L’Espresso dedicata all’imprenditrice Chiara Ferragni, si staglia all’orizzonte la sagoma dell’inchiesta giornalistica sulle società di Ferragni. In attesa che l’influencer torni da New York (dove si è recata per motivi di lavoro) e racconti a L’Espresso e ai suoi 29 milioni di follower qualcosa di più sulle sue società – ad esempio perché i due dipendenti di Sisterhood costano solo 30 mila euro – aggiungiamo qualche dettaglio.

 

Chiara non lesina foto, video e film sulla sua vita privata, mentre è sintetica sulle sue società, Sisterhood, Tbs Crew e Fenice. Perché? Perché la forma giuridica di srl lo consente. Attenzione, lo consente, ma non esclude che un'imprenditrice attenta alla trasparenza possa fornire dettagli importanti. Invece no, Ferragni, ostinatamente, prosegue nello spezzatino societario: a giugno 2023, Fenice srl genera Fenice Retail srl, amministrata da Ferragni stessa. E cosa fa Fenice Retail? Dice l’oggetto sociale: «Produzione, commercializzazione, distribuzione, import, export, confezionamento di prodotti, in particolare abiti e oggetti di moda». Quello che fa anche la controllante, Fenice srl. Insomma, un’altra scatola, fatta per frammentare il business e non arrivare mai alla creazione di una spa, che vorrebbe dire fornire un maggior numero di informazioni.

 

Ma il lato più oscuro di Chiara Ferragni si cela in Fenice srl, che, indirettamente, suo malgrado, sta mettendo a rischio le pensioni degli infermieri e relativa cassa previdenziale Enpapi: detto più chiaramente, le pensioni degli infermieri dipendono anche dalla tenuta di valore del marchio Chiara Ferragni. Quindi, proprio Ferragni ha tutto l’interesse affinché si faccia luce sulla vicenda, specialmente se si tratta di uno degli «errori di comunicazione» delle società dell’influencer, assieme ai pandori Balocco, alle uova di Pasqua e alle bambole Trudi, che in teoria dovevano sostenere progetti di beneficenza, anche a favore di bambini affetti da malattie oncologiche, in pratica chi li ha comprati ha soltanto contribuito a fare crescere il business di Chiara. «Spiacenti, c’è stato un fraintendimento», ha detto lei. Non la pensa così l’Antitrust che ha definito l’operazione «pubblicità ingannevole» e ha multato le sue società per un milione di euro.

 

Chiara Ferragni e il manager Damico

 

La cassa degli infermieri Enpapi ha sottoscritto dei bot emessi da Anthilia Holding srl (che ora si chiama Ah srl) per 15 milioni di euro. I soldi degli infermieri sono stati girati ad Alchimia, società che detiene le partecipazioni di Fenice e proprietaria del marchio Chiara Ferragni a seguito dell’emissione di altrettanti prestiti obbligazionari da parte di Alchimia. Raffrontando il bilancio 2018 di AH, che fa capo al finanziere Andrea Cuturi, con quello di Alchimia dell’'mmobiliarista Paolo Barletta le versioni non combaciano: Cuturi parla di una sola obbligazione da 10 milioni di euro sottoscritta dall’ente nazionale degli infermieri «e Ah ha sottoscritto, per il medesimo importo, in data 23 marzo 2018 le obbligazioni di Alchimia spa». Solo nel bilancio 2019 AH parla della seconda obbligazione. Mentre, nel bilancio 2018 di Alchimia si parla già di un bot da 15 milioni di euro: 10 milioni versati a marzo ’18, altri 5 milioni a febbraio ’19. Perché? «Perché, nonostante non fossero stati ancora pagati, erano già stati sottoscritti», rispondono da Alchimia. Quindi il motore dell’operazione sembra proprio essere Alchimia. 

 

Questo è l'ultimo atto di una lunga storia di malversazioni ai danni degli infermieri, culminata con arresti e relative condanne dei vertici dell'ente per averne «svenduto» il patrimonio, dice il gip Elvira Tamburelli. Ma mentre sugli affari sporchi di Enpapi la magistratura ha fatto piena luce, da chiarire sono le modalità con le quali il capitale sociale di Alchimia è passato da 10 mila a 25 milioni di euro, tali da garantire (almeno contabilmente) l’emissione del primo bond del 2018 di 10 milioni di euro; e poi quelle con cui nel 2019 il capitale aumenta fino a 34,5 milioni, supportando anche l’emissione del secondo bond da 5 milioni. La normativa, infatti, dice che per emettere un prestito obbligazionario è necessario aumentare il capitale almeno fino al doppio. L’aumento, però, non si può ottenere rivalutando i propri beni: ma nulla vieta di rivalutare beni altrui. E qui entra in scena il marchio Chiara Ferragni. Centrale è la perizia effettuata dal commercialista, deceduto nel 2020, Maurizio Dattilo che rivaluta magicamente il marchio Chiara Ferragni (e quindi anche le quote di Fenice), partendo dal piano di riorganizzazione aziendale «pensato e diretto dal socio promotore nonché ceo Paolo Barletta». Nel 2018 Fenice è una srl da 10 mila euro di capitale sociale, partecipata da Febo Holding di Paolo Barletta che, forse ispirato dal nome della società da lui controllata, cioè Alchimia srl, è riuscito a trasformare il ferro in oro. Alchimia significa «complesso di conoscenze pratiche, filosofiche ed esoteriche per trasmutare metalli vivi in oro». E già che ci siamo: la parola Fenice, e la sua drammatica rinascita dalle proprie ceneri, si rifà «al compimento della Trasmutazione Alchemica, processo misterico equivalente alla rigenerazione umana». Tanto che Fenice era il nome dato dagli alchimisti alla pietra filosofale. Nel 2018 Barletta decide di aumentare il capitale sociale di Alchimia attraverso una serie di operazioni tecnico-contabili che, se davvero non hanno consentito alla Febo di trasmutare il capitale di Alchimia in oro, rischiano di lasciare nelle mani degli infermieri i metalli vili. La trasmutazione del capitale ha come polvere magica la perizia di Dattilo, che valuta Fenice 32,5 milioni di euro. Dattilo non era esattamente un perito indipendente: mentre periziava Fenice, sedeva nel cda del Gruppo Barletta di Paolo Barletta e 12 giorni dopo la perizia viene nominato sindaco supplente di Alchimia. Il perito, nel prendere atto che la società è ancora in fase di sviluppo, la reputa manchevole di una serie storica di dati che consenta di «valutare in concreto la redditività che è al momento in parte potenziale», e che il suo valore si basa esclusivamente sul creative director, cioè Chiara Ferragni e sul numero di follower (all’epoca 11,8 milioni). Quindi, il perito dice che in quel momento era possibile soltanto fare delle previsioni, non analisi puntuali.

 

Chiara Ferragni e il suo marchio

 

E su cosa si basano le stime dei flussi economici e finanziari? Sulle vendite di Mofra, società che controlla una quota di minoranza di Fenice e che rivende gli abiti e accessori a marchio Chiara Ferragni. E chi calcola queste stime? Il board di Febo, cioè Paolo Barletta e i suoi manager. Quindi, di periti o analisti indipendenti neanche l’ombra. All’epoca, come adesso, l’aspettativa del rimborso dei prestiti, si basava interamente sulla scommessa della capacità di Ferragni di valorizzare il suo marchio che, secondo la perizia, significava stimare le vendite fatte da Mofra, società del pugliese Pasquale Morgese, cui è legata una royalty pari al 12 per cento che avrebbe dovuto versare a Fenice. Quindi, Mofra stima che nel 2021 le vendite del marchio Chiara Ferragni sarebbero arrivate a 5,4 milioni. E come arriva a tale risultato? Paragonando il marchio Chiara Ferragni a quello Versace, Cavalli e Valentino. Forse troppo. Infatti il bilancio 2021 conferma che le royalties di Fenice sono state inferiori di oltre due milioni rispetto alle previsioni di stima periziale. Alchimia, però, risponde: «Nel settore del venture capital quelle “super” valutazioni societarie sono una prassi di mercato». E anche sul fronte della perizia, conferma la bontà dell’operazione. Tuttavia, se il capitale di rischio è la normalità per un venture capital, non lo è l’emissione di capitale pagato con quote rivalutate su una presunzione.

 

Lo stesso gioco alchemico è stato usato da Barletta nel conferimento ad Alchimia delle quote della U-First e dei marchi “Don’t cry Milan” e “Don’t cry baby” di proprietà della Forus Holding, altra società a lui riconducibile. Stessa polvere magica: la perizia di Maurizio Dattilo consente a questi asset di aumentare il capitale sociale di Alchimia di altri 10,3 milioni. La rivalutazione dell’app U-first, che permette agli utenti di saltare la fila, deriva da un moltiplicatore di redditività ispirato, addirittura, a TripAdvisor e JustEat. Anche in questo caso, la previsione è stata ottimistica e Alchimia tra il 2018 e il 2022 accumula 3,8 milioni di perdite (nonostante 1,2 milioni di contributi pubblici sotto forma di crediti d’imposta per ricerca e sviluppo). Alchimia avrebbe quindi dovuto svalutare le partecipazioni, ma improvvisamente compare una nuova operazione di aumento del capitale sociale. Com’è avvento l’aumento di capitale? Altra polvere magica, con l’ennesimo conferimento, debitamente periziato, della società Qurami Srl: patrimonio netto di 21 mila euro, perdite per 93 mila euro, costi per duemila euro, valore periziale tre milioni.

 

Paolo Barletta

 

Ma torniamo al bot sottoscritto da Enpapi: la prima tranche da 10 milioni viene conferita al  comparto Tendercapital VI Multi Asset e così gli infermieri dicono addio anche agli interessi annui. Perché questa insensata scelta? Si legge nelle carte giudiziarie che, per l’acquisto dei fondi Tendercapital Ltd, i vertici di Enpapi ricevevano ricompense – escort, voli e biglietti per la Champions League – da Giovanni Conte, advisor esterno della londinese Tendercapital Ltd. Ma alla fine della sottoscrizione, nel 2025, gli infermieri rivedranno almeno i soldi investiti? Dice il bilancio 2022 di Enpapi che, secondo Tendercapital, c’è il concreto rischio che Alchimia (il cui valore è in gran parte costituito dal marchio Ferragni) non riesca a pagare AH, che questa non riesca a pagare Tendercapital e che questa non riesca a pagare Enpapi.

 

A questo punto, il rimborso dipende dalla resa degli investimenti di Alchimia e quindi dall’impiego dei soldi ricevuti. E come ha impiegato Alchimia questi 15 milioni? Ha investito 750 mila euro in un bond straniero «di una società estera del food and beverage», risponde l’azienda a L’Espresso. Il resto è stato investito in azioni di società quotate in Borsa e in partecipazioni estere, tra cui la Aloa Inc Santa Clara – che tradotto dal portoghese vuol dire “Ciao Santa Chiara” – pagata 1,27 milioni nel 2019, posta a bilancio a meno 1,5 milioni nel 2022 e quindi con una perdita di 2,7 milioni. Cos’è esattamente? «Una società che ha sviluppato un software di grafica 3D». Investe anche nella Leone Film Group: partecipazione pagata 3,2 milioni. Rispetto alle 22 società presenti nell’ultimo bilancio per un valore di 19 milioni, sei risultano iscritte in Camera di Commercio. E le altre? «Molte sono basate all’estero», risponde l’azienda di Barletta.

 

Alchimia dice a L’Espresso che neanche un centesimo degli infermieri è stato investito in Fenice e tiene a rassicurare che, grazie all’ampliamento del portfolio, Enpapi e Ah possono beneficiare di una ulteriore e progressiva riduzione del rischio del titolo stesso. Conferma quindi l’esistenza di un palese rischio. Alchimia dice anche che, grazie all’aumento del portfolio, gli infermieri possono dormire sonni tranquilli. Però nulla viene comunicato in merito alla costellazione di 22 società, di cui molte estere e sulle quali poco e niente si sa o nulla si dice nell’informativa societaria. Chissà se la pazienza, invocata da Alchimia, di attendere la exit investendo in venture capital, premierà gli infermieri, le cui pensioni sono legate alle aspettative delle plusvalenze «agganciate all’andamento auspicabilmente positivo delle società in portafoglio». Nel caso in cui l’auspicabilmente positivo andamento degli investimenti a elevata volatilità dovesse andare male, in cosa si trasformerà la pazienza degli infermieri?

 

La replica di Tendercapital
La società Tendercapital precisa che, in relazione agli sviluppi processuali afferenti le modalità e le finalità della gestione poste in essere dalla dirigenza dell’epoca dell’ente previdenziale e di alcuni fatti e notizie riportate allora in alcuni documenti (e da voi riportati nell’articolo in oggetto), sono già state pronunciate sentenze di primo grado rispettivamente dal Tribunale penale di Milano e dal Tribunale penale di Roma in cui Tendercapital è stata riconosciuta, costituitasi parte civile, titolare di un diritto risarcitorio per i danni subiti.

Per quanto riguarda poi la tipologia di investimenti e, in particolare, quelli relativi a società riconducibili alla signora Chiara Ferragni, si evidenzia che detti investimenti non sono stati decisi e attuati da Tendercapital, ma direttamente da Alchimia Srl e che, solo successivamente, con la sottoscrizione di un contratto fra l’ente previdenziale e Tendercapital, sono stati dalla prima conferiti alla seconda per l’ordinaria gestione amministrativa dell’investimento.

Va inoltre precisato che il sig. Giovanni Conte ha avuto soltanto un rapporto di carattere commerciale con Tendercapital, che si è esaurito nel 2018, in virtù di recesso operato dalla stessa Tendercapital.