Inchiesta
La magia di Daniela Santanchè: per i debiti delle sue società lei paga il 10%. Tutto il resto lo mette lo Stato
Concordati e piani di rientro, anche disattesi: ecco come le imprese della ministra scaricano perdite su Tesoro ed Erario. E intanto lei vuole 5 milioni da L’Espresso per la nostra inchiesta
Nella saga delle crisi delle imprese possedute e amministrate per lunghi anni dalla ministra del Turismo, Daniela Santanchè, va in scena un nuovo miracolo economico: se il debito è dieci, per uscire dai guai basta pagare uno. Gli altri nove li rimette lo Stato. Stavolta, al centro del caso, c’è Biofood Italia srl: holding di partecipazioni che sta in cima al gruppo Bioera e Ki Group, amministrata in tandem da Santanchè e dall’ex compagno, Canio Mazzaro. Lei è stata al vertice dal 2015 al 2019, lui c’era prima e le è subentrato subito dopo. Biofood Italia è a fine corsa: è piena di debiti, ha un amministratore chiamato solo a gestirne la crisi ed è sotto la tutela del tribunale fallimentare di Milano, che ha nominato un commissario giudiziario, Alfredo Imparato, per sorvegliare e autorizzare tutte le uscite. Dal 2022, ovvero da prima che Santanchè diventasse ministra, la Procura di Milano indaga su diverse società da lei gestite o amministrate in passato, e stavolta per Biofood ha chiesto la «liquidazione giudiziale», cioè il fallimento.
Per cercare di evitare il crac, il 26 febbraio l’avvocato della società ha presentato al tribunale un’istanza di «concordato in bianco»: un’ammissione che in cassa non è rimasto più niente, accompagnata dall’impegno a trattare con i creditori, per pagare almeno in parte i debiti. E, in sostanza, l’unico creditore è lo Stato.
La posta più importante sono i 6 milioni di debito che il duo Santanchè-Mazzaro non ha mai saldato nei confronti di Amco, società che si occupa di gestione di sofferenze bancarie e che fa capo al ministero del Tesoro, cioè allo stesso governo di cui fa parte la ministra. Amco si è accollata il vecchio credito mai rimborsato verso Monte dei Paschi di Siena. Si tratta di un prestito di 6 milioni risalente al 2011, concesso alla società operativa Bioera, specializzata in prodotti biologici, e girato a Biofood. La banca toscana, quei soldi, non li ha mai più rivisti. Santanchè nel 2019 aveva promesso di rimborsarlo con un piano di rientro rateizzato, ma nessuna rata è mai stata pagata. Così Mps ha messo i 6 milioni a sofferenza, per poi cederli alla società pubblica Amco, liberandosene. Anche Amco ha provato a recuperare il credito, senza riuscirci: del resto può vantare solo un pegno sul 51 per cento del capitale della società che controlla Biofood, la Clm, impresa personale di Mazzaro, che a sua volta non gode di buona salute. Dopo aver provato con le buone maniere, Amco aveva poi presentato istanza di liquidazione giudiziale, poi improvvisamente ritirata, in tempi recenti, con l’annuncio dell’avvio di un nuovo negoziato con Biofood.
Ora, nella proposta di concordato formalizzata dall’avvocato Fabio Cesare e visionata da L’Espresso, si legge la mossa a sorpresa di Biofood: punta a saldare il debito con Amco pagandone un decimo, 600 mila euro in tutto, in 22 comode rate mensili. Amco, se accettasse, dovrebbe mettere a bilancio una grossa perdita. Detto altrimenti, Biofood si salva, ma a spese dei contribuenti. Stesso copione per i debiti tributari. L’azienda deve 956 mila euro all’Erario e, anche in questo caso, la proposta prevede un rientro rateizzato e un accordo con l’Agenzia delle Entrate. La società ha ancora 60 giorni di tempo per realizzare con i creditori un accordo di ristrutturazione del debito, che dovrà poi essere approvato dal giudice per evitare il fallimento.
Ma chi ci metterà i soldi, se la società ha cumulato perdite copiose nel tempo e il patrimonio di Biofood, già a fine 2022, era inesistente, in rosso per oltre 6 milioni? Va inoltre detto che, se il 51 per cento delle quote è in pegno ad Amco, la restante parte è nelle mani di tale Anna Rita Mattia, ex insegnante in pensione, residente a Porto Cervo e moglie di Massimo Bianconi, banchiere che condusse Banca Marche a un disastroso crac. La pensionata nel 2015 prestò 3,2 milioni a Mazzaro per Biofood, ottenendo così il pegno. Ora il nuovo piano di salvataggio dell’azienda prevede che a metterci i quattrini saranno i famigliari di Canio Mazzaro.
Insomma, nelle società che in passato sono state gestite dalla ministra sembra ripetersi sempre lo stesso film, già descritto nella prima puntata di questa inchiesta giornalistica, dal titolo “Santacrac”, per la quale la ministra ha chiesto 5 milioni a L’Espresso: il fatturato scende, le prime perdite erodono l’intero capitale, evaporano i flussi di cassa e restano sul tappeto milioni di debiti mai pagati. Del resto, proprio la crisi di Biofood dipende fortemente dalle difficoltà delle sue controllate: Bioera e Ki Group. Le quali, a loro volta, hanno sommato a ingenti perdite l’erosione del capitale e fatto venir meno i flussi di denaro verso l’alto. La caduta di valore di Bioera e Ki group ha fatto il resto. Già nel 2018, quello di Bioera viene svalutato per 3 milioni su 9 cui era iscritta a bilancio. Da allora in poi tutto crolla e si arriva ad azzerare il valore sia di Bioera che di Ki Group. Santanchè potrà in teoria sostenere che, dal 2019, non ha più amministrato Biofood passando la mano a Mazzaro. E che ha dato le dimissioni da presidente di Bioera nel settembre del 2021. Ma è arduo negare che la crisi attuale affondi le sue radici nella gestione degli anni precedenti. E la storia di imprenditrice e gestore di aziende dice che ogni pianeta della sua galassia è finito in concordato fallimentare, o viene salvaguardato da misure protettive per tenere a bada i creditori o è affidato in una liquidazione giudiziale, come Ki Group.
Pure Bioera si è arroccata nelle misure protettive: entro il 26 aprile dovrà presentare un piano di risanamento e un accordo coi creditori. Questa società, che ha visto bocciare da Consob per irregolarità il bilancio 2022, ha chiuso il 2023 a livello consolidato con altre perdite per 3,5 milioni che portano il patrimonio netto in negativo per 22,5 milioni e con debiti finanziari per 13,9 milioni. Mentre a livello di spa ha zero ricavi, altri 2,9 milioni di perdite, un patrimonio netto negativo per 6,4 milioni e debiti finanziari da pagare per 3,1 milioni.
Anche in questo caso, per rimanere in piedi toccherà far pagare il prezzo ai creditori: la proposta, come si legge in un comunicato stampa della società, prevede il pagamento integrale dei crediti entro gennaio 2027 oppure il saldo e stralcio del 30 per cento entro giugno 2024 o in alternativa un taglio del credito del 50 per cento entro maggio 2025.
I giudici di Milano sembrano affrontare le società della ministra quasi come una matrioska: ogni impresa in crisi contiene, all’interno, un altro dissesto. Tra le altre indagini giudiziarie che gravano sull’imprenditrice, c’è infatti un altro fascicolo d’accusa con una serie di dettagli che creano un cortocircuito tra i suoi interessi privati e il suo ruolo pubblico di ministra. Santanchè è accusata di truffa ai danni dell’Inps come amministratrice di due società del gruppo editoriale Visibilia, assieme al suo attuale compagno Dimitri Kunz. Secondo le indagini della Guardia di Finanza e della Procura di Milano, la quotata Visibilia Editore spa e la Visibilia Concessionaria srl avrebbero incassato la cassa integrazione per tutto il biennio dell’emergenza Covid, da maggio 2020 a febbraio 2022, per tredici dipendenti: approfittando della pandemia, i loro stipendi venivano scaricati sulle casse dello Stato, come se l’azienda fosse ferma a causa dell’emergenza sanitaria, mentre i lavoratori «in realtà continuavano a svolgere le loro mansioni in smart working». Con questi «artifici e raggiri», secondo l’accusa, le due società del gruppo Visibilia avrebbero ottenuto «un ingiusto profitto per 126.468 euro, con corrispondente danno per l’Inps». Nel tentativo di assicurarsi il silenzio dei lavoratori (che poi invece hanno denunciato o confermato le accuse) lo stipendio sarebbe stato aumentato aggiungendo «finti rimborsi per “note spese” e “spese di viaggio”», che venivano «omesse nelle buste paga, al fine di occultare il fatto che i dipendenti continuano a lavorare anche nel periodo di cassa integrazione a zero ore».
Santanchè si è difesa sostenendo di non essersi occupata personalmente degli stipendi e della cassa integrazione. Come dire: poteva non sapere. A carico di Kunz pesano una serie di registrazioni (non intercettazioni giudiziarie, ma audio privati) realizzate da una dipendente che denunciò già nel 2022 la presunta truffa all’Inps. La Procura ha chiuso questa inchiesta e l’ha notificato a tutti gli indagati, che ora possono replicare alle accuse con le loro memorie difensive, nella speranza di evitare il rinvio a giudizio: un eventuale processo a una ministra imputata di truffa allo Stato potrebbe creare un serio problema di politica interna e d’immagine internazionale per il governo in carica.