Verso il Pride

Giovane gay pesantemente discriminato. Ma i diritti Lgbt non contano se si profila un conflitto d'interesse

di Gloria Riva   12 giugno 2024

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Un lavoratore bullizzato sul luogo di lavoro si rivolge al Tribunale di Milano. Ma perde la causa. Perché la giudice potrebbe essersi ritrovata in una posizione di forte incompatibilità

Tornano gli anni Ottanta. E il riferimento non è ai jeans a vita alta. No. Il riferimento va al ricordo di quell’officina meccanica in cui, oltre al grasso e al rumore del compressione, c’è il gagliardetto di calcio appeso storto, accanto al sexy calendario – ogni mese l’esposizione di un diverso quarto di carne – e poco più in là il poster di Linda che esce dall’acqua senza costume, e quello di Pamela in posa scomoda. Nuda. Oggi diremmo che si tratta di immagini volgari e lesive della dignità della donna. Immagini che pensavamo di avere lasciato nell’officina anni Ottanta. Invece il rigurgito machista torna per ricordarci che i diritti civili, freschi di conquista, possono anche perdersi per strada: e vanno difesi. Matteo, nome di fantasia, utile a tutelarne la privacy, si rivolge al Tribunale di Milano per rivendicare il suo diritto negato a un ambiente di lavoro dignitoso e scopre la fragilità di quel pavimento di cartapesta fatto di norme relativamente nuove che tutelano il diritto alla libertà di espressione sessuale e all’integrità psicofisica e morale sul luogo di lavoro.

 

Matteo ha 20 anni, è un perito, ha superato la selezione e conquistato un lavoro nell’officina meccanica della più importante azienda del trasporto pubblico di Milano, l’Atm. Il giovane entra nel grande deposito Atm – dove vengono aggiustati i treni della metro – e scopre che negli spogliatoi ci sono poster di ragazze in pose sexy alle ante degli armadietti; altre donne nude stanno appiccicate in angoli, i più disparati, dell’officina; più in là c’è la sagoma in legno di un corpo femminile con le setole di una scopa al posto del pube. Per Matteo, che è al suo primo lavoro ed è gay, non è esattamente una gioia andare al lavoro: «Gli altri colleghi parlano sempre e solo di sesso. E dalle 14 in poi si parlava solo di f…, mostravano porno e commentavano le poche donne che c’erano in officina, dicendo frasi del tipo: me la farei. E poi per mettermi alla gogna mi chiedevano: e tu, te la faresti? Io avevo paura di essere giudicato e all’inizio fingevo di ridere, ma dentro di me piangevo. Correvo in bagno e piangevo». La sentenza conferma la presenza delle foto oscene, e non esclude che in officina i lavoratori si intrattenessero in conversazioni o battute a sfondo sessuale. Eppure il Tribunale di Milano respinge la richiesta del dipendente e, con questa, anche il risarcimento da 290 mila euro. La respinge dopo solo due udienze, senza passare da un tentativo di conciliazione, senza approfondire troppo il caso, in controtendenza con la sensibilità del Tribunale di Milano per i diritti civili. La giudice della sezione Lavoro motiva così la sentenza: sebbene «la presenza delle immagini di cui è causa costituisca una molestia rilevante», tuttavia «non può farsi luogo al risarcimento del danno» perché il lavoratore non avrebbe provato l’intensità e la frequenza dell’esposizione alle foto oscene.

 

 

Secondo la giudice, Atm non ha colpe, perché non trattandosi di una piccola officina, bensì della più grande officina di Milano è difficile per Atm sorvegliare ogni angolo del reparto. Successivamente il direttore del personale di Atm emana una circolare per vietare l’esposizione di immagini porno nelle stazioni della metropolitana, negli uffici e nei depositi. Mentre l’avvocato del giovane elettromeccanico di Atm, preannuncia il ricorso in appello, spunta al Consiglio superiore della Magistratura, il Csm, un esposto nei confronti della giudice che ha rigettato l’istanza di Matteo perché, in base alle deduzioni dell’esposto, la magistrata potrebbe essersi ritrovata in una posizione di incompatibilità. Nell’esposto si racconta che la giudice è unita, con rito civile, a un’avvocata che collabora con lo studio legale Grimaldi Alliance, che ha assistito e assiste il Comune di Milano, azionista al 100 per cento di Atm spa. Il fondatore dello studio Grimaldi ha ricevuto incarichi di patrocinio legale da Atac, azienda dei trasporti romana, nel cui consiglio di amministrazione siede Arrigo Giana, che è anche amministratore delegato e legale rappresentante di Atm. A denunciare il rischio di situazioni di conflitto d’interesse è stato, ancor prima, il consiglio giudiziario della Corte d’Appello di Milano che il 28 marzo 2023, all’unanimità, rilevava una situazione di incompatibilità per la giudice. Tuttavia le ipotesi di conflitto d’interesse si sono sciolte poco dopo di fronte ad alcuni chiarimenti della stessa togata, che specificava come il ruolo professionale della compagna vertesse su tematiche differenti da quelle da lei affrontate in Tribunale. La stessa presidente della sezione Lavoro dei Tribunale di Milano, ha escluso che l’unione tra la magistrata e l’avvocata, collaboratrice del noto studio legale, potesse «minimamente pregiudicare l’immagine di corretto e imparziale equilibrio della funzione giurisdizionale». Per evitare problemi di incompatibilità, il Tribunale di Milano ha deciso di assegnare automaticamente ad altro giudice tutte le cause patrocinate dallo studio legale Grimaldi Alliance. 

 

Problema risolto? Non proprio. Perché il Tribunale non si esprime rispetto ai casi in cui parti o controparti dei procedimenti affidati alla giudice siano legati, anche indirettamente, a quello studio legale, come è avvenuto nel caso di Atm. Così come i diritti civili sono diventati un caposaldo nella nostra società, anche la difesa del principio di giustizia è divenuta una bandiera del nostro tempo. Due principi da tutelare.

 

 

Aggiornamento del 14 giugno 2024. Il Presidente del tribunale di Milano Fabio Roia precisa che:

In relazione all'articolo a firma Gloria Riva apparso in data 12 giugno 2024 sul settimanale l'Espresso dal titolo “Magistrati conflitti e diritti negati” devo rappresentarle quanto segue. La costruzione dell'articolo crea un apparente ma irricevibile suggestione in relazione alla quale la giudice chiamata a decidere della controversia avrebbe sostanzialmente rigettato la richiesta risarcitoria perché in qualche modo legata ai difensori di Atm. Tale assunto va dcisamente respinto. La giudice ha infatti deciso, in una materia dove il Tribunale di Milano ha sempre mostrato sensibilità giudiziaria, applicando le risultanze istruttorie.

In particolare dall'attività giudiziaria sono emersi elementi contrari all'esposizione effettiva del lavoratore a situazioni obbiettivamente sessiste e discriminatorie, mancando anche un'adeguala allegazione in tal senso.

Devo poi evidenziare come il Consiglio Superiore della Magistratura con delibera in data 25 luglio 2023, dopo un'approfondita istruttoria, abbia escluso ogni situazione d'incompatibilità ex art. 18 Ordinamento Giudiziario per la giudice della vicenda rispetto al legame di convivenza con una persona che esercita la professione forense. Peraltro, nella controversia giudiziaria riportata nell'articolo, nessuno degli Avvocati facenti parte di quello studio legale è stato coinvolto, essendo l'Atm stata in giudizio con difensori di altro e diverso studio legale.

La prego pertanto, ai sensi della legge sulla stampa, di pubblicare tali precisazioni tese a tutelare l'alta professionalità della giudice della Sezione Lavoro e l'immagine del Tribunale di Milano la cui attività è sempre stata orientata a decisioni innovative sul piano della tutela di diritti nuovi e fragili nel pieno rispetto dell'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge.