Caccia all'Omo

«Poteva uccidermi, mi ha salvato una casa arcobaleno». Viaggio nei rifugi Lgbt che il Governo non vuole più finanziare

di Simone Alliva   1 luglio 2024

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Sono i centri che accolgono le vittime di omotransfobia. Qui trovano la salvezza persone aggredite, licenziate o rifiutate dalla famiglia per il loro orientamento sessuale. La vice della ministra Roccella: «Sono luoghi importanti ma con noi non ne nasceranno di nuovi»

Ci sono dei luoghi in Italia che aiutano a tracciare una mappa dell’omotransfobia nel nostro Paese. Le chiamano «case arcobaleno», sono attraversate da persone sopravvissute alle proprie famiglie e alla società. Centri che accolgono le persone Lgbt in condizioni di estrema vulnerabilità, cioè buttate fuori casa dai propri parenti, licenziate, aggredite. Persone che hanno perso tutto per via del proprio orientamento sessuale o della propria identità di genere. Qui, grazie a una squadra di professionisti e volontari, intraprendono un percorso di ripartenza scolastico o lavorativo. «Sono centri importanti», ha riconosciuto Assuntina Morresi, vice capo di Gabinetto della ministra alla Famiglia e alla Natalità Eugenia Roccella in un incontro a porte chiuse con le associazioni Lgbt giovedì 20 giugno: «Quelli esistenti continueranno a ricevere un’offerta da parte del governo. Ma sotto il nostro governo non nasceranno nuovi». È chiara la promotrice del Family Day 2007, oggi portavoce della ministra alla Famiglia. Le case di rifugio ormai sono nate. Un incidente di percorso. La legge approvata nel 2020 grazie a un emendamento del Movimento Cinque Stelle e inserito nel decreto rilancio, c’è. Non si può cancellare da qui al 2027. Ma oltre non si andrà. Eppure, servirebbero, fanno sapere le associazioni Lgbt. Soprattutto nei piccoli centri, lì dove l’omotransfobia è un’onda che non conosce l’argine delle associazioni, dei movimenti, dei progetti di sensibilizzazione.

 

Alex arriva proprio da un piccolo paese del profondo Sud. Dopo 27 anni prende tutto quello che ha e scappa, lasciandosi dietro una famiglia violenta e ostile al suo orientamento sessuale. Direzione Milano. Una città fatta di interni, la città casa che accoglie tutte e tutti, con la stazione di Porta Venezia arcobaleno e il suo sindaco Beppe Sala che partecipa ai Pride e si fa fotografare con dei calzini rainbow ai piedi. Ma niente è mai, veramente, come sembra. «Sono stato fortunato. Avrebbe potuto uccidermi, invece mi ha solo strozzato». Alex parla del suo coinquilino da cui è scappato, vivo per miracolo, a pochi mesi dalla sua prima fuga: «Sono arrivato a Milano con un lavoro già in tasca nel settore alberghiero. Ho trovato una casa. Una fortuna in una città come questa. Ero alla mia prima esperienza di convivenza. Ho sempre pensato che una volta arrivato qui avrei potuto vivere liberamente. Lontano dai miei genitori che non mi hanno mai accettato, neanche provato a capire. E invece è stato un inferno». Alex incontra un coinquilino, italiano, quarant’anni, anche lui del profondo Sud. Una all’apparenza convivenza pacifica. Tutto si incrina quando l’uomo scopre l’orientamento sessuale di Alex. «Mi aveva visto con un ragazzo. Non volevo nascondere nulla. Non pensavo di doverlo fare ancora. Anche qui, a Milano. Ma in quel momento è cambiato tutto». Un crescendo di insulti e aggressioni verbali: «Mi sveglio la mattina ed era una nenia: “Frocio di merda”. “Finocchio”. Facevo il possibile per non tornare a casa. Quando rientravo mi chiudevo in camera. Era un incubo a occhi aperti. Avevo anche raccontato tutto al mio proprietario di casa. Ma diceva che erano dinamiche “normali” di “conflittualità”». Poi arriva il giorno che cambia tutto. Mani che stringono il collo, schiaffi, botte su tutto il corpo: «Ho visto bianco e sono caduto a peso morto». Alex finisce in ospedale. 

 

La polizia contatta Casa Arcobaleno, l’abitazione aperta a Milano nel 2019 dalla cooperativa sociale Spazio Aperto Servizi, in collaborazione con il Comune. Qui Alex inizia la sua rinascita. La casa provvede a dargli un tetto sulla testa, un lavoro e soprattutto segue le vicende legali che vedrà nel giro di un anno l’ex coinquilino condannato: «Mi sono trovato senza nulla: un lavoro, un tetto. Senza una rete. Non avevo un posto dove ritornare. Una famiglia a cui rivolgermi. In poco tempo ho trovato lavoro anche se temporaneo». Con la speranza di un futuro ritrova anche la forza di innamorarsi nuovamente. «Adesso ho ritrovato una luce. Sono uscito fuori. Di nuovo. Pronto a iniziare una nuova vita».

 

La casa, a indirizzo segreto, ospita attualmente ragazzi e ragazze dai 18 ai 30 anni. Tra queste Lucia che di sé, con un sorriso in fondo alla voce, dice: «Penso alla mia vita e immagino uno di quei cartelli che dice “Lavori in corso”». Ha 24 anni, un accento del Nord. Non-binaria. Non si sente «nata nel corpo sbagliato», ma vive il corpo in cambiamento, anche sentimentalmente. Sua madre l’ha buttata fuori casa quando aveva 21. «Sembra assurdo, lo so. Una madre che rifiuta la figlia. Lei è molto cattolica. Io non ero prevista, mi diceva sempre. Appena ho fatto coming out ha chiesto prima di curarmi poi ha sentenziato: un figlio così non lo voglio. Mi ha preparato la valigia e mi ha messo alla porta. Sono stata per un po’ da mia zia. È durato poco. Quando mia zia ha scoperto il motivo, cioè il mio coming out, mi ha chiesto anche lei di lasciare casa. Non ho mai pensato che sarebbe potuto succedere. Non ci pensi mai. Dici: per me sarà diverso. Invece è successo. Non potevo fare altro che cavarmela da sola». Inizia a lavorare come cameriera in un ristorante. «Sul posto di lavoro venivo continuamente derisa dai miei colleghi. Non dai clienti. Ero un problema alla vista dei colleghi. Ma cosa potevo fare. Avevo bisogno di soldi. Un giorno il mio sguardo cade sul telefono aperto di un collega. La schermata WhatsApp illumina un gruppo: “Ricch1ione”. Ero io. Scambiavano messaggi con le mie foto, derisioni, insulti. Ero il loro passatempo. Ho provato a confrontarmi. Sono stata buttata a terra». Pugni e calci, al volto e in varie parti del corpo. «Tramite i social poi ho scoperto che qui avrei potuto trovare un tetto sopra la testa. Non mi bastava un posto al caldo, mi serviva un posto che mi comprendesse e mi accettasse per quello che sono».

 

La replica del ministero al nostro articolo
Gli Uffici del Ministro per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, insieme all’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali del Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri), smentiscono quanto riportato. L’articolo contiene vari errori, tra cui la data della riunione. Ma soprattutto, le dichiarazioni attribuite alla vice Capo di Gabinetto della Ministra Roccella, prof.ssa Assunta Morresi, sono false. In particolare, viene riportato che Morresi avrebbe affermato che l’attuale governo non aprirà altri centri anti-discriminazione con alloggio e vitto (note come Case Rifugio). In realtà, durante la riunione è stato affermato esattamente il contrario. Alla presenza di tutti i gestori dei centri attuali, è stato ribadito dagli Uffici della Ministra Roccella e dall’UNAR che, sulla base dei dati raccolti nei primi due anni di attività e grazie al Programma in fase di approvazione, saranno emessi nuovi bandi pubblici per il finanziamento di strutture. Questi bandi saranno aperti anche a nuove strutture non ancora incluse nel finanziamento esistente. Smentire queste ricostruzioni è semplice, poiché la riunione è stata interamente registrata. Le registrazioni testimoniano le reali parole e dichiarazioni, e sono disponibili agli atti del percorso di condivisione con le associazioni LGBT+, anch’esse testimoni di quanto effettivamente detto durante l’incontro.

 

La nostra risposta
L'articolo è stato realizzato consultando diverse fonti presenti all'incontro tenutosi in via della Panetteria numero 18 a Roma, nel palazzo della Presidenza del Consiglio. Prendiamo atto dell’intenzione della ministra Eugenia Roccella di emettere nuovi bandi pubblici. Ma prendiamo anche atto che la ministra omette una semplice verità, ben raccontata nell’articolo: le “nuove strutture” per essere finanziate devono essere preesistenti e già operanti sul territorio.Il finanziamento non potrà ricadere su organizzazioni che intendano avviare con questo contributo una casa ex novo per le persone lgbt che si trovano in situazione di estrema vulnerabilità. Siamo altresì disponibili ad ascoltare le registrazioni dell’incontro che tuttavia, nonostante la nostra richiesta, al momento non ci sono state fornite.