Luigi Ferraris ha beneficiato di una buonuscita per essere stato inoccupato un giorno. Nel suo triennio: gli "isopensionati" a sette anni assunti con contratti a tempo, altre fughe e la storia della Banca Passadore

Evviva! Il governo Meloni è riuscito con un paio di mesi di ritardo ad assegnare ogni posto disponibile e pure ad aggiungerne altri in Cassa Depositi e Prestiti con il tipico afflato di bontà italiana, quello di italiani brava gente, che se manca lo spazio a tavola ma gli invitati maschi sono troppi e le donne poche, ci si rannicchia, si conversa sfregandosi il gomito e, come no, si infila una sedia di sbieco. Per due mesi, macché, due anni, non appena il governo Meloni si è insediato e ha svolto una rapida ricognizione dei territori disponibili, ci si è interrogati su chi mettere in Cassa Depositi e Prestiti senza mai soffermarsi su che farsene. 

 

Con un leggero anticipo rispetto alle decisioni inderogabili prese per Cassa con la conferma del draghiano di formazione Dario Scannapieco, a fine giugno il governo Meloni non ha rinnovato a Luigi Ferraris la carica di amministratore delegato di Ferrovie dello Stato. In una staffetta tipo Rivera-Mazzola, e non stiamo qui ad attribuire maglie e talenti, Stefano Antonio Donnarumma è subentrato a Ferraris. Era già accaduto in Terna (2020). Peraltro Donnarumma, fallito clamorosamente l’atterraggio a Enel, era a bordocampo a scaldarsi da un anno almeno. E il soccombente Ferraris, classe ’62, di origini milanesi e studi genovesi, esordi in Finmeccanica, una carriera in Enel, un passaggio a Poste e Terna, esperto di quotazioni borsistiche (ne aveva pronta una per Ferrovie), non s’è fatto trovare impreparato.

 

Nel circolo dei boiardi di Stato, un circolo ristretto e però flessibile, dove spesso si entra con un partito e se ne esce con un altro, ci si vanta di grandi offerte private ma alla fine non ci si schioda dal pubblico per spirito di servizio (e chi lo dice è capace di non ridere), era assodato che Ferraris non sarebbe rimasto in piedi a lungo. Anzi i mitologici «cacciatori di teste», Egon Zehnder per l’occasione, avevano già individuato in Ferraris il profilo ideale per guidare la nuova Fibercop con dentro la rete di Tim e portare armonia nella variegata compagine societaria col fondo americano Kkr azionista di maggioranza e la partecipazione statale con il ministero dell’Economia. Per settimane Ferraris ha tribolato in attesa di sapere se arrivasse prima la sua nomina in Fibercop o prima la nomina di Donnarumma in Ferrovie. Per fortuna di Ferraris è arrivata prima la nomina di Donnarumma in Ferrovie, esattamente con un comunicato formale datato giovedì 27 giugno 2024 ore 21.36, mentre la sua designazione in Fibercop è datata lunedì 1° luglio 2024 ore 22.34. Vuol dire che Ferraris non si è dimesso per accettare Fibercop, ma non è stato confermato in Ferrovie. Se vi sembra un gioco di parole, sappiate che è un gioco di parole che vale parecchio. In questo modo per Ferraris è scattata una clausola del contratto che prevedeva un ristoro economico, definito «compenso differito», di oltre 1,35 milioni di euro. L’equivalente di ventuno mensilità a fronte di un incarico triennale. Non male.

 

Ferraris ha trascorso il triennio in Ferrovie da amministratore delegato e non anche da direttore generale come succede spesso ed è successo al predecessore Gianfranco Battisti e al medesimo Donnarumma. La funzione di direttore generale è solitamente quella più retribuita e quella che determina il trattamento di fine rapporto. Il compenso di Battisti era composto da una parte fissa di 645 mila euro (di cui 580 mila da dg e 65 da ad) e una parte variabile di 125 mila (di cui 100 mila da dg e 25 da ad) per un totale di 770 mila euro. Invece il compenso di Ferraris era sempre a due voci e sempre da 770 mila, ma senza la funzione di direttore generale. Il lungimirante Ferraris si era tutelato con questa originale clausola contrattuale dal giugno 2021, ma per settimane ha vacillato. La clausola è scattata, lo ripetiamo a beneficio di chi stenta a crederci, perché Ferraris non è stato riconfermato in Ferrovie e non si è dimesso da Ferrovie, nonostante tre giorni dopo – festivi inclusi – si sia accomodato come da piano in Fibercop. Insomma Ferraris è stato inoccupato un giorno feriale, il 28 giugno, trasferendosi da una società di proprietà statale (Ferrovie) a una società a partecipazione statale e di interesse strategico (Fibercop). Questo danno professionale dovrebbe giustificare 1,35 milioni di euro. Non s’è detto per celia del lungimirante Ferraris. La Corte dei Conti vigila sui bilanci di Ferrovie. Conviene essere davvero lungimiranti. Il 14 giugno, infatti, mentre il vecchio Consiglio di amministrazione era già scaduto e il nuovo era nella mente del signore, governo Meloni, Ferrovie e Ferraris hanno chiesto un parere legale a uno di quegli studi romani che per leggere gli associati si fanno due pause caffè. Il quesito lo si può riassumere con Totò: «Per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare?». «Tale questione viene prospettata con riferimento a una duplice ipotesi che il dott. Ferraris: a) non dovesse essere rinnovato nella carica di ad della società; b) e fosse chiamato ad assumere altro incarico in una società controllata da soci privati a cui partecipa, con una quota di minoranza, una società controllata dallo Stato». In un italiano atipico, lo studio ha risposto al dott. Ferraris che, certo, può andare dove deve andare senza problemi e andarci col «compenso differito». La clausola contrattuale si è salvata! Il 27 giugno la comunicazione è giunta in Consiglio di amministrazione, il 1° luglio Ferraris (Rivera o Mazzola, fate voi) ha firmato una doppietta: nullaosta per il «compenso differito» da 1,35 milioni di euro, nullaosta per il triennio da amministratore delegato in Fibercop (consultate da L’Espresso, le due aziende non hanno voluto commentare).

 

Nel frattempo è cominciata la migrazione di dirigenti apicali di Ferrovie verso Fibercop comportando (legittime) liquidazioni per centinaia di migliaia di euro: da Adriano Mureddu (personale) sino a Roberta Vivenzio (ufficio stampa). E in contemporanea sono scaduti altri sette dirigenti, perlopiù provenienti da Enel, che Ferraris aveva assunto in regime di «isopensionati», cioè dirigenti prossimi alla pensione che avevano accettato un incentivo con 7 anni di assegno pensionistico e 7 anni di contributi previdenziali e poi hanno continuato a lavorare. Lo stesso Ferraris non conosce riposo. Il 14 maggio, quando era ancora amministratore delegato di Ferrovie e in procinto di diventarlo a Fibercop, ha ottenuto la promozione da consigliere a vicepresidente di Banca Passadore, un istituto genovese fondato nel 1888 che ha 25 filiali, 4,5 miliardi di depositi e ha registrato un utile di 80,6 milioni. L’ingresso di Ferraris in Banca Passadore è più o meno contestuale a quello in Ferrovie (maggio 2021). Anche se Ferrovie è cliente di Banca Passadore dal 2014 e usufruisce di linee di credito per le società del Gruppo, precisano fonti ufficiali dell’azienda statale, Ferraris non era in conflitto o non compatibile perché «tale tipologia di operatività viene sempre decisa e gestita dalle competenti strutture del gruppo Ferrovie, senza coinvolgimento diretto o indiretto dell’amministratore delegato». Sarà una clausola pure questa. Urge parere legale: «Noio vulevan savuar…»