Tutta la verità sullo storico eccidio alla stazione: l'alleanza tra bande della destra eversiva, i complici nei servizi segreti, le false piste estere. I familiari delle vittime: la P2 è al centro di tutta la strategia della tensione

Negli anni delle stragi nere, Pier Paolo Pasolini denunciò le reti di potere che coprivano il terrorismo neofascista in un articolo storico, scandito dalla celeberrima iterazione: «Io so... io so... io so... Ma non ho le prove». Oggi l'associazione dei familiari delle vittime della strage di Bologna ricorda l'ecatombe del 2 agosto 1980 con un manifesto che sembra esaudire quell'invocazione di giustizia. Sopra un'immagine della lapide con i nomi delle 85 vittime, campeggia questo titolo: «Sappiamo la verità e abbiamo le prove».

 

Il terrificante attentato alla stazione, a differenza di troppe altre bombe nere, non è rimasto impunito. Dopo 44 anni di indagini e processi difficilissimi, ostacolati da continui depistaggi di straordinaria gravità, ora si conoscono i nomi di molti colpevoli, condannati con prove inoppugnabili. La strage di Bologna è stata certamente eseguita da terroristi neofascisti, con la copertura dei vertici piduisti dei servizi segreti militari, sotto la regia del loro criminale burattinaio Licio Gelli. È una verità riconosciuta da sentenze documentatissime, decise da decine di giudici diversi, insieme alle giurie popolari delle corti d'assise: verdetti definitivi, che purtroppo vengono ancora oggi rifiutati e screditati da schiere di negazionisti e disinformatori vari, con appoggi eccellenti anche nella destra istituzionale.

 

 

 

A Bologna si è consumata la peggiore di tutte le stragi, l’attentato terroristico più grave nella storia dell’Italia repubblicana. L'obiettivo del terrorismo nero, in quel tragico 1980, è la città simbolo della sinistra democratica e antifascista. La bomba è programmata per causare una carneficina: esplode alle 10.25 del primo sabato di ferie di massa nella grande sala d’attesa della stazione, affollatissima di viaggiatori e turisti. È un ordigno di potenza smisurata, che sventra il muro portante e scaglia tonnellate di detriti sul primo binario, investendo anche un treno in sosta carico di passeggeri. L’esplosione fa crollare un’intera ala della stazione, tra migliaia di persone impaurite che gridano, si lamentano, piangono, cercano amici e familiari scomparsi. L'attentato provoca 85 morti e oltre 200 feriti, molti dei quali gravissimi, con mutilazioni e invalidità permanenti. Alcune vittime, tra cui una bambina di due anni, vengono disintegrate: di loro non resta niente.

 

Nel salone dove scoppiò la bomba, è stato lasciato uno squarcio nel muro, per memoria storica. Accanto c'è una lapide con i nomi e l’età di tutte le vittime, che riassume in un’epigrafe i risultati dei processi: «strage fascista». Dopo le ultime sentenze, bisognerebbe aggiungere il marchio di potere della loggia massonica P2.

 

Come esecutori della strage di Bologna sono stati condannati da tempo, con diverse sentenze definitive, tre terroristi di destra: Giuseppe Valerio detto Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. Per primi sono stati identificati e arrestati, dopo mesi di latitanza e altri omicidi, i due capi e killer dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar), la coppia che guidava quella feroce banda armata con base a Roma: Fioravanti e Mambro sono stati riconosciuti colpevoli già nel 1995 dalle sezioni unite della Cassazione, il massimo livello di autorevolezza della giustizia italiana. Poi, in un processo separato, è stato condannato anche Ciavardini, giovanissimo terrorista di un'organizzazione neofascista contigua, Terza posizione, reclutato dai capi dei Nar a soli diciassette anni, per la strage alla stazione e per altri omicidi clamorosi, tra cui l'assassinio del magistrato romano Mario Amato. Anche i giudici per i minorenni, con la condanna definitiva di Ciavardini come complice, hanno riconfermato la colpevolezza di Fioravanti e Mambro.

 

Con le indagini più recenti, riaperte della procura generale su denuncia degli avvocati delle vittime, nel 2020 è stato condannato all’ergastolo, dalla corte d’assise di Bologna, un quarto terrorista di destra, Gilberto Cavallini, killer nero e rapinatore professionista, che era anche l’armiere e il tesoriere dei Nar. La colpevolezza di Cavallini è stata riconfermata nel 2023 dai giudici d'appello, ora si attende solo il verdetto finale della Cassazione.

 

L’ultimo processo di merito si è chiuso con la condanna all'ergastolo in primo e in secondo grado, nel luglio scorso, di Paolo Bellini, all'epoca camerata di Avanguardia nazionale. Anche nel suo caso, manca ancora l'ultima sentenza della Cassazione. Con Bellini, nella trama nera di Bologna è entrato un personaggio con un curriculum criminale sconvolgente: killer di estrema destra, reo confesso dell’omicidio nel 1975 di uno studente emiliano di sinistra; poi diventato ladro di opere d'arte e assassino di un ex complice; quindi sicario seriale e bombarolo della ’ndrangheta per tutti gli anni '90, quando ha eseguito almeno otto delitti di mafia; ma al tempo stesso infiltrato in Cosa nostra, in contatto con i boss delle stragi del 1992-93, l'oscuro biennio del terrorismo mafioso.

 

Secondi i giudici, questi ultimi processi hanno fornito un'ulteriore serie di prove molto pesanti, evidenziate nelle sentenze più recenti, anche della colpevolezza di Fioravanti, Mambro e Ciavardini, che per altro sono tornati da tempo in libertà. Tutti e cinque neofascisti finora condannati come esecutori della strage si proclamano innocenti.

 

I processi di Bologna hanno smascherato anche i depistatori e fatto luce perfino sui finanziatori e mandanti della strage. Licio Gelli, il capo della P2, è stato condannato in via definitiva, già nei primi processi, come lo stratega dell’intera sequela di manovre di intossicazione e sviamento delle prime indagini: per proteggere i terroristi neofascisti, gli ufficiali piduisti dei servizi accreditavano, in particolare, false piste internazionali. Se ne sono viste di molte bandiere, ma sono risultate tutte inventate: libica, tedesca, francese, libanese, palestinese... 

 

La sentenza
Strage di Bologna, ecco perché Licio Gelli finanziò l’eccidio neofascista. Le carte segrete svelate da L’Espresso
06-04-2023

 

Questi depistaggi raggiungono l’apogeo il 13 gennaio 1981, quando i vertici del servizio segreto militare (allora denominato Sismi) fanno ritrovare un arsenale su un treno in arrivo a Bologna: un mitra con matricola abrasa, un fucile a canne mozze e otto contenitori con due tipi di esplosivi, identici alla miscela utilizzata per la bomba del 2 agosto. Nella grossa valigia con le armi ci sono anche passaporti e biglietti aerei intestati a due terroristi stranieri (poi risultati inesistenti). Sembra una sensazionale conferma della pista estera. Ma nei mesi successivi i pubblici ministeri di Bologna dimostrano che è una montatura del Sismi. A far crollare il palco è un onesto capitano dei carabinieri, che si rende conto di essere stato strumentalizzato: veniva indicato dai superiori come l’agente che avrebbe gestito e pagato con pacchi di banconote la fonte della soffiata. Il militare però svela ai giudici che il preteso informatore non è mai esistito: l’arsenale sul treno ce l'hanno messo gli agenti del Sismi e i soldi per la fonte (più di mezzo milione di euro) in realtà se li sono tenuti gli ufficiali superiori.

 

Il processo si chiude con la condanna definitiva dei tre organizzatori materiali del depistaggio esplosivo: il colonnello poi promosso generale Pietro Musumeci, che di fatto è il numero due del Sismi; il suo braccio destro, Giuseppe Belmonte; e un faccendiere con mille agganci, Francesco Pazienza, un privato che era diventato il consigliere personale del numero uno dei servizi. Le sentenze finali confermano che la falsa operazione fu ordinata dallo stesso capo del Sismi, il generale Giuseppe Santovito, deceduto prima della fine del processo.

 

Dopo lo scandalo dell’arsenale sul treno, le piste estere continuano ad essere propagandate a livello politico da una certa destra e da fantasisti vari, ma restano rigorosamente fuori dalle aule di giustizia: per i giudici di tutte le corti, sono totalmente screditate. Le nuove indagini di questi ultimi anni hanno demolito anche l’ultima variante: la pista del super terrorista Carlos, sbandierata per anni come verità alternativa, è stata in realtà «inventata da ufficiali piduisti del Sismi» e risulta «fondata su documenti falsi o retrodatati», come spiegano le sentenze più recenti, con abbondanza di prove. Le veline su Carlos sono state addirittura create in anticipo, un mese prima della strage, e poi propagandate «pagando giornalisti di destra», che intascavano una doppia mazzetta per raccontare balle sulla bomba di Bologna: tangenti dai conti esteri di Gelli e soldi in nero dai servizi segreti piduisti.

 

In quei mesi di terorrismo e depistaggi, la P2 è ancora segreta ed è al culmine del potere. Ma il 17 marzo 1981 due giudici istruttori di Milano (che indagano sul banchiere della mafia Michele Sindona) scoprono le liste degli affiliati alla P2, nascoste in cassaforte in un ufficio di Gelli: fra oltre 900 personalità della politica, dell'economia e della pubblica amministrazione, ci sono tutti i vertici del Sismi e degli altri apparati di sicurezza, compresi Santovito e Musumeci, insieme agli ufficiali dei servizi che hanno depistato le indagini sulle stragi precedenti, da Piazza Fontana a Brescia.

 

Le nuove indagini della procura generale offrono una risposta logica a un interrogativo che era rimasto irrisolto nei vecchi processi: perché Gelli, che nel 1980 aveva in mano tutti i servizi segreti, si espone personalmente per coprire i giovani terroristi neofascisti? La spiegazione, ora convalidata dalle più recenti sentenze di primo e secondo grado, è logica: perché era stato proprio il capo della P2 a pianificare la strage e a pagare quei terroristi, che andavano quindi difesi a tutti i costi.

 

Questo nuovo pezzo di verità giudiziaria nasce dal ritrovamento delle carte segrete del Banco Ambrosiano, che era state fatte sparire. Va ricordato che Gelli, oltre che per i depistaggi di Bologna, è stato condannato come principale responsabile, e primo beneficiario, della storica bancarotta della banca milanese, portata al fallimento dal banchiere (piduista) Roberto Calvi, poi ucciso a Londra. Gelli ha sottratto una montagna di soldi alle consociate estere dell'Ambrosiano, che era diventato la tesoreria occulta della P2. In Svizzera gli sono stati confiscati oltre 300 milioni di dollari. Secondo i giudici dei nuovi processi, Licio Gelli ha usato una parte dei soldi rubati all'Ambrosiano per finanziare la strage: almeno 5 milioni di dollari. A rivelarlo è un suo manoscritto, il «documento Bologna», che il capo della P2 teneva in tasca nel giorno dell'arresto, con altre carte ricattatorie. Quell'appunto fu tenuto nascosto per decenni. E intanto Gelli, come dimostra un altro atto, chiamato «documento artigli», chiedeva l'impunità ai vertici del ministero dell'Interno, minacciando rivelazioni sulla strage.

 

Il processo a Cavallini ha aggiunto un altro tassello importante: la prova dei legami operativi tra Nar e Ordine Nuovo, cioè tra due generazioni di terroristi neofascisti. Un'alleanza criminale confermata dalle intercettazioni dello stesso Carlo Maria Maggi, il capo degli ordinovisti veneti, condannato per la strage di Brescia. Parlando a casa con il figlio, che gli chiedeva la verità su Bologna, Maggi gli ha confidato: «Sono stati loro, Fioravanti e Mambro». E ha aggiunto altri dati inediti, poi confermati dai successivi processi: gli esecutori della strage sono stati pagati e «si sono tenuti i soldi»; e a portare la bomba fu «un aviere», che attraverso il padre era in contatto «con uno dei nostri». Per i giudici è un chiaro riferimento a Bellini, pilota d'aereo e figlio di un neofascista legato ai servizi segreti. Nonché amico dell'allora procuratore di Bologna, Ugo Sisti, grande sponsor delle piste estere e dei piduisti del Sismi.

 

Oggi Bellini è l'unico a restare in carcere. È stato riarrestato nel giugno 2023, dopo essere stato intercettato mentre diceva di voler ammazzare l’ex moglie, che al processo aveva fatto crollare il suo alibi: «Ho già pagato 50.000 euro per farla fuori!». In uno altro sfogo Bellini allude a patti inconfessabili dell'epoca della strage: «Io ho sopportato quarant’anni a stare zitto… perché c’era di mezzo un giuramento».

 

Tirando le somme di 44 anni di indagini e processi, dunque, oggi cosa sappiamo sull'eccidio di Bologna? Paolo Bolognesi, lo storico presidente dell'associazione dei familiari delle vittime, risponde così: «Già nei primi processi si è dimostrato che la strage è stata eseguita da terroristi neofascisti, protetti dai depistaggi organizzati dai vertici dei servizi segreti italiani, che erano affiliati alla loggia P2. Oggi, grazie alle nuove indagini, sappiamo molto di più sugli esecutori e conosciamo anche i mandanti. È provato in maniera incontestabile che i Nar non erano sprovveduti spontaneisti armati, come dicevano loro e come ripetevano anche politici importantissimi. Erano legati ai servizi, erano dentro la strategia della tensione. E a Bologna non c'erano solo i Nar, c'erano anche Terza Posizione e Avanguardia nazionale, c'era il gotha del terrorismo nero. L'altro discorso molto chiaro è che la strage è stata organizzata e finanziata dai vertici della loggia P2. I terroristi sono stati pagati da Gelli. Oggi possiamo dire che la P2 è al centro tutta la strategia della tensione, dal 1969 al 1980».

 

L'avvocato Andrea Speranzoni, parte civile per i parenti delle vittime, spiega che «abbiamo scoperto molte cose nuove, ma capiamo meglio anche fatti già noti, come l'omicidio del magistrato Mario Amato, ucciso dai Nar cinque settimane prima della strage proprio per fermare le sue indagini sui legami tra i gruppi neofascisti. A Bologna il 2 agosto sono entrati in azione diversi gruppi operativi: c'era una sinergia tra Nar, Terza Posizione, Avanguardia nazionale. E il processo a Cavallini ha mostrato la saldatura con Ordine nuovo. Almeno dal 1979 al 1981 il gruppo veneto di Maggi fiancheggiava, forniva armi, covi e appoggi alla banda Cavallini. E poi c'è la novità dei soldi di Gelli: le stragi hanno un costo e c'è chi le finanzia. Il "documento artigli" rende evidente che Gelli ha usato la strage per ricattare le istituzioni. Nel 1980 la P2 è un gruppo di potere che fa capo a lui, ma è molto più ampio e ramificato nel mondo politico, economico, militare. La bomba di Bologna è stata uno strumento di ricatto per cementare quel blocco di potere. La logica del ricatto è la logica del potere e della sua capacità di autoperpetuarsi».

 

E invece cosa resta ancora da scoprire? «Molte altre cose», risponde Speranzoni: «C'è il ruolo del procuratore Sisti, che ha rapporti diretti con Bellini e poi crea le piste estere con il suo amico generale Musumeci. Ci sono dirigenti dei servizi che sanno in anticipo della strage, ma non fanno niente per fermarla, anzi non denunciano nulla neppure dopo. E poi, come rivelava Maggi al figlio, ci sono anche altri esecutori: tanti altri terroristi neofascisti mai identificati».

 

Secondo Paolo Bolognesi, i processi di Bologna dovrebbero far ripartire altre indagini storiche. «La procura generale ha dimostrato in due gradi di giudizio che le Brigate rosse, durante il sequestro di Aldo Moro, usarono come covo lo stesso locale dei servizi segreti, in via Gradoli a Roma, che dopo la strage di Bologna è diventato il rifugio della Mambro e altri latitanti dei Nar. È chiaro che c'è ancora moltissimo da capire sulle coperture del terrorismo di destra e di sinistra. Ma bisognerebbe indagare seriamente anche sull'omicidio di Piersanti Mattarella: il delitto fu sicuramente deciso dai boss di Cosa Nostra, ma gli esecutori molto probabilmente erano criminali neofascisti». Il primo a dirlo, senza essere creduto, fu un certo Giovanni Falcone.