Nata per volontà della società di produzione e distribuzione cinematografica Watermelon Pictures, ha come direttore creativo la sorella delle top model Bella e Gigi Hadid. Progetto ambizioso, per alcuni necessario, pensato per dare spazio, voce e visibilità a storie e registi provenienti da una realtà spesso ignorata o marginalizzata

Alana Hadid guida la piattaforma streaming Watermelon+, dedicata al cinema palestinese

Lanciata ufficialmente l’8 maggio 2025, Watermelon+ è visibile su AppleTv, Roku, FireTv e CromeCast, con due piani di abbonamento – mensile o annuale – ha un’idea di base semplice, ma efficace: “Diffondere storie appassionanti e aiutare le voci coraggiose delle comunità trascurate a essere ascoltate”, che è anche la Mission di Watermelon Pictures, la società creata dai fratelli Badie e Hamza Ali che hanno voluto Alana Hadid, designer e attivista, nonché sorella delle supermodelle Bella e Gigi Hadid – come direttore creativo. La Vision è quella di fare di Watermelon Pictures una A24 del mondo arabo, fucina di talenti che punta a conquistare anche i palcoscenici più prestigiosi, come quello degli Oscar. 

Il grande assente

A proposito di Oscar, il primo titolo che d’istinto ci si aspetta di trovare in piattaforma è proprio “No Other Land”, co-diretto da Basel Adra, Hamdan Ballal, Yuval Abraham e Rachel Szor e vincitore del premio Oscar 2025 come miglior documentario. Invece no, non c’è. È storia nota l’arresto di uno dei registi, Hamdan Ballal, pochi giorni dopo la celebrazione holliwoodiana. Rientrato a Susiya, un villaggio nel sud della Cisgiordania, era presente durante l’attacco dei coloni israeliani. È rimasto ferito e poi è stato arrestato dagli uomini dell'Idf, le forze armate israeliane. La notizia aveva fatto rumore e poi Ballal è stato rilasciato. Ma non era la prima volta che i coloni attaccavano i registi e membri della troupe del documentario israelo-palestinese: a febbraio era capitato a Basel Adra. 

Catalogo interessante

Watermelon+ parte con un catalogo che annovera "The Present" - nominato all’Oscar per il miglior cortometraggio - e "The Teacher" della regista Farah Nabulsi. Nella home page troviamo anche il documentario The Encampments che racconta le proteste studentesche alla Columbia University. In catalogo anche "Omar", "Theeb" e "Five Broken Cameras", tutti già candidati all’Oscar, e From Ground Zero che vanta la prestigiosa produzione di Michael Moore, selezionato nella shortlist per il miglior film internazionale. Chicca finale è Life is Beautiful del regista Mohamed Jabaly, che narra la moderna odissea di un artista bloccato in Norvegia a seguito della chisura dei confini di Gaza. 

La vittoria dell'anguria

Il nome della piattaforma richiama l’anguria – watermelon in inglese - che negli ultimi anni è diventata il simbolo della causa palestinese. Vuoi per i colori della bandiera – rosso, verde, bianco e nero – l’immagine dell’anguria è diventata la simbolica alternativa alla bandiera della Palestina quando vietata in contesti ufficiali o censurata online. Un po' un VivaVerdi d’altri tempi. Ma chi si immagina una trovata recente e social deve invece guardare un po' più lontano per trovare l’origine di questa metafora alla frutta. Nel 1967 e a seguito della guerra dei Sei Giorni, scattò il divieto di esporre la bandiera palestinese. Fu allora che artisti e attivisti scelsero il Watermelon come emblema ricco di significato, pur non esplicitamente politico. Con l’avvio del conflitto israelo-palestinese l’anguria ha invaso i social network. Fra censura algoritmica e shadow-ban (la pratica che oscura i contenuti di un utente senza che questi ne sia a conoscenza) l’emoji dell’anguria si è trasformata in un codice anti censura per condividere contenuti relativi alla Palestina. 

Palestine will be seen

Alana Hadid ha le idee chiare: il suo sogno pare sia quello di portare sul palco degli Oscar un film palestinese al 100%. "From the river to the sea, Palestine will be seen", si legge sui profili social della casa di produzione che vuole farsi attrice di una nuova rivoluzione, culturale questa volta, per raccontare storie invisibili a pubblici sempre più desiderosi di conoscere e scoprire, anche le verità nascoste.

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