Rilasciato Hamdan Ballal, il regista di "No Other Land" che ha acceso una telecamera sulla violenza in Cisgiordania

Uno dei registi del documentario vincitore del premio Oscar è stato aggredito da una folla di coloni, arrestato dalle forze armate Israeliane e rilasciato dopo un giorno. Ma cosa racconta questo film realizzato da un collettivo palestinese e israeliano, unito dalla comune volontà di testimoniare?

Sono le 19:15 di lunedì 24 marzo quando Yuval Abraham, giornalista israeliano e co-regista di “No Other Land", con un post su X dà notizia delle violenze contro Hamdan Ballal e del successivo arresto da parte dei soldati dell’Idf. Sarà rilasciato dopo quasi 24 ore. Le ultime immagini note dell’uomo, prima di essere prelevato a forza dall’ambulanza e portato via dall’esercito israeliano, sono quelle che gli abitanti di Masafer Yatta sono riusciti a fatica a catturare con le loro stesse telecamere.

Le poche inquadrature ricordano, inevitabilmente, quelle già viste in “No Other Land”. Hanno la stessa urgenza e la stessa necessità di testimonianza. Sono contemporaneamente l’unica difesa e l’unica arma in mano a una popolazione di contadini che affronta ogni giorno l’espulsione forzata dalla propria terra. 

 

 

È proprio questo il tema del documentario che Ballal, attivista palestinese, ha realizzato insieme ai giornalisti Yuval Abraham e Basel Adra e alla direttrice della fotografia Rachel Szor, formando un collettivo palestinese e israeliano, unito dalla comune volontà di denunciare le violenze sul territorio.


Il loro racconto inizia ufficialmente nel 2019 e si conclude i primi di ottobre 2023. Si estende per quasi quattro anni, mostrando una popolazione che vive ogni giorno sotto assedio, che vede le proprie case e le proprie scuole distrutte di giorno e che la notte non dorme per ricostruirle, pietra dopo pietra. Famiglie intere spesso senza acqua corrente e senza luce, si rifugiano nelle antichissime
grotte che resistono ancora a Massafer Yatta, un insieme di villaggi nella Cisgiordania meridionale, in attesa.

 

È lì che Basel Adra, giovanissimo attivista, poi diventato avvocato e giornalista, sa di poter trovare decine di persone che sperano di poter ricostruire la propria casa. Le conosce da tempo e si fa raccontare le loro storie. Adra è il volto e la voce principale del film. È lui che si vede nell’immagine più nota del documentario, quel ragazzo sdraiato sulla terra, con la telecamera accanto e una ruspa dietro, pronta a distruggere tutto intorno. 

 

 

Proprio Basel Adra, all’inizio del documentario afferma «Ho cominciato a filmare quando è iniziata la nostra fine», ed è così che racconta di aver preso in mano la prima videocamera da bambino, dal momento in cui ha capito che i suoi genitori erano attivisti e che attraverso le immagini poteva raccontare una storia che non vedeva raccontata altrove. Attraverso i suoi video, spesso girati mettendo a rischio la propria incolumità, in mezzo ai soldati israeliani che arrivano ad aggredirlo, Adra riesce così anche a costringere chi non vuole vedere a non distogliere lo sguardo. 

 

È nel momento in cui incontra il collega giornalista Yuval Abraham, però, che “No Other Land” prende la sua forma finale. Diventa un dialogo a due voci, in cui è chiaro però che i pesi non sono identici. Nella visione contemporanea dell’esperienza dell’uno e dell’altro si comprende quanto sia diversa la vita di un cittadino israeliano, libero di muoversi sul territorio e libero persino di urlare contro i soldati con una telecamera in mano, e quanto invece sia sorvegliata e costretta, oltre che violentemente repressa, l’esistenza di un uomo palestinese. Insieme, tuttavia Adra e Abraham trovano il modo di raccontare la quotidianità di Masafer Yatta e il loro stesso rapporto, che diventa un’amicizia inedita, profonda e complessa. Non lasciano fuori niente. Né il sangue, né la rabbia o il dolore che vedono attorno, né la frustrazione e l’insofferenza che a volte provano uno nei confronti dell’altro. Il loro obiettivo comune è non celare niente e lasciare che siano le immagini a parlare da sole: una madre che piange, una bambina che gioca tra le macerie, le luci dell’esercito che creano allarme nella notte o anche gli studenti che nascondono i libri per proteggerli dai soldati.

 

 

 “No Other Land” racconta tutto questo e di più. Racconta una resistenza che passa attraverso ogni piccolo gesto, di fronte alle ruspe e di fronte alle armi cariche dei soldati. Andrebbe guardato anche con gli occhi del reporter, nonostante la vicinanza umana e personale dei due cronisti alle vicende che raccontano. I registi scelgono infatti, nonostante le differenze e nonostante le paure, di documentare sul posto e non staccare mai le telecamere. Qualsiasi cosa, anche la più terribile, si veda attraverso. “No Other Land” è ancora in sala in Italia e ha raggiunto il record di spettatori mondiali nel nostro Paese.

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