Un sistema all’opera per usare i fondi vaticani in operazioni speculative ha portato a una voragine nei conti della Chiesa. Il tutto attraverso una serie di mediatori che agivano sotto la sua guida e dei suoi collaboratori: che si procurano ricche consulenze

Giovanni Angelo Becciu

Angelo Maria Becciu, nella sua Sardegna a Pattada, è molto amato: lo chiamano “Don Angelino”, di lui si racconta che quando torna a casa riacquisti l’originaria semplicità, quella che viene da una terra di lavoro, sole e fatica. Don Angelino ha trascorso sessant’anni della sua vita dentro la Chiesa, ci è entrato quando era un bambino e sotto il Crocifisso è cresciuto, con la voglia di volercela fare, di servire la Chiesa fino alla fine. Ma, si sa, spesso le strade della vita, della gioia originaria di una vocazione di stampo familiare, incontrano le strade del potere, del denaro e così assieme alla carriera diplomatica di altissimo lignaggio inizia anche l’età del compromesso.

Un diplomatico della Santa Sede non è un ambasciatore qualsiasi, è il rappresentante della Chiesa di Cristo in territori spesso difficili. Ma più è difficile il territorio, più c’è qualcuno di potente con cui stringere alleanze: e questo ad Angelino riesce molto bene. E così pian piano tra infissi fatti sostituire dalla falegnameria di fiducia del fratello Francesco e nunziature ristrutturate come quella di Cuba, arriva il tempo del grande salto verso Roma, verso la sede universale della Chiesa. Papa Benedetto XVI lo stima molto, in virtù delle buone referenze del cardinale Tarcisio Bertone, grande esperto - come le cronache ci hanno restituito - di locazioni immobiliari ristrutturate con fondi ad altro destinati, il porporato che lo porta in Segreteria di Stato a gestire la complessa e privatissima macchina degli “Affari generali”. Così Don Angelino da Pattada, non ancora Eminenza Reverendissima, diventa il potente Sostituto agli Affari Generali della Segreteria di Stato, «il dicastero della Curia Romana che da più vicino coadiuva il Sommo Pontefice nell’esercizio della sua suprema missione», come recita il sito internet della Santa Sede.

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Interpreterà questo ruolo in modo molto originale e dinamico. La “prima sezione” è infatti una sorta di ministero per gli affari interni, a cui spetta il compito di coordinare tutti gli uffici del Vaticano, di custodire il sigillo papale, l’anello piscatorio, di pubblicare il Bollettino Ufficiale della Santa Sede e, fino alla creazione nel 2015 del Dicastero per la Comunicazione, anche di vigilare sugli organi di informazione (Radio Vaticana e Sat2000). Becciu invece la trasformerà in una sorta di centrale di investimenti nei settori più disparati, da quelli immobiliari a quelli petroliferi passando per la produzione di film, occhiali, acque minerali, beni di lusso e, non ultimo, sanità. C’è da ricordare che gli “Affari generali” fino all’inizio di novembre avevano a disposizione due casse: la prima, ordinaria, composta da una provvista annua per il funzionamento delle strutture; la seconda, determinata dall’Obolo di San Pietro, è un enorme contenitore dove confluiscono donazioni per azioni caritatevoli da tutto il mondo.

Un collettore che veniva gestito secondo la discrezionalità del Sostituto Becciu, in stretta collaborazione con Enrico Crasso, finanziere romano doc ma provvisto di passaporto svizzero, fino al 2014 interno a Credit Suisse, tuttora l’istituto di credito presso il quale sono depositate le somme a destinazione vincolata della Segreteria di Stato. Crasso ha costituito una società, la Sogenel Capital Holding, che è confluita nel 2016 nella Az Swiss&Partners, che fa parte del gruppo italiano “Azimut”. Il finanziere è il gestore anche di un altro fondo, il Centurion Global Fund Sicav Plc di Malta, dove la Segreteria di Stato ha investito circa 70 milioni di euro in operazioni speculative. Operazioni distanti in modo siderale dalla svolta avviata nelle economie vaticane sotto il pontificato di Francesco: una inversione di rotta totale rispetto al passato. Secondo chi investiga su questi movimenti, (nell’indagine che ha preso le mosse dal cosiddetto affare del Palazzo di Londra), nel portafoglio della Segreteria di Stato appaiono investimenti diretti e indiretti riferibili allo stesso Crasso, «palesando un evidente conflitto di interessi con un possibile rischio di frode ai danni della Segreteria di Stato».

Il finanziere romano, secondo gli investigatori della Santa Sede, muove una mole ingente di denaro, d’accordo con Becciu e la sua segreteria, composta da Monsignor Mauro Carlino, Monsignor Alberto Perlasca e Fabrizio Tirabassi. Questa complessa macchina di interessi speculativi ha portato all’investimento che si rivelerà letale del palazzo in Sloane Avenue a Londra dove - grazie ad una articolata rete di fondi, capitali e provviste, consulenze, meccanismi di ricompera della quote - la Santa Sede perderà all’incirca 300 milioni di euro. Soldi, vale la pena ricordare, secondo le autorità giudiziarie vaticane e italiane prelevati dall’Obolo di San Pietro.

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L’investimento immobiliare nasce dopo l’abbandono di un affare sul petrolio dell’Angola (paese dove Becciu è stato Nunzio apostolico) intermediato da una società gestita dal tycoon Antony Mosquito. Questa operazione, come si legge nella copiosa corrispondenza tra Crasso e Becciu, è altamente speculativa e si presta in modo perfetto a elargire ricche consulenze, agendo in un territorio franco come quello angolano, nel quale lo stesso Mosquito a stretto contatto con la figlia dell’ex presidente Dos Santos. L’affare salterà per la segnalazione che giunge dalle autorità portoghesi, che inseriscono i nominativi di Mosquito e Dos Santos nella centrale europea anticorruzione. E per Crasso, inoltre, un’operazione speculativa intorno ad una materia volatile come il petrolio si rivelerà molto rischiosa.

È in questo momento, nel 2012, che Alessandro Noceti, all’epoca in Credit Suisse, oggi in Valeur, presenta Raffaele Mincione ad Enrico Crasso. Fu infatti proprio Mincione a proporre l’affare petrolifero. A questo scopo - ricostruiscono gli inquirenti - è stato creato il fondo Athena con una provvista di 200 milioni di euro che Crasso, con l’avallo di Becciu, cosituì utilizzando fondi vincolati ad altre opere, quelle appunto dell’Obolo di San Pietro. Da questo momento inizia l’azione di saccheggio alle casse della “prima sezione”, con uno schema di consulenze difficile da sintetizzare tanto che gli inquirenti hanno dovuto allegare alla rogatoria ben due schemi riassuntivi. Crasso in tutti questi passaggi ha agito con la benedizione di Becciu e in sodalizio con Raffaele Mincione.

Raffaele Mincione


I soldi per i poveri dell’Obolo di San Pietro vengono usati per operazioni assai disparate dalla scalata Carige, alla Popolare di Milano, passando per altre decine di strumenti finanziari. Una modalità di azione rispetto alla quale la Gendarmeria vaticana aveva messo in guardia la segreteria di Becciu mesi prima: l’avvertimento è stato ignorato e la conseguenza è una voragine enorme. Come scrivono gli investigatori, il palazzo di Sloane Avenue in origine sarebbe costato 260 milioni di euro e al dicembre del 2019 pesa sulle casse della Santa Sede per almeno 400 milioni. Inoltre, invece di procedere a un acquisto diretto, come era possibile, si è deciso di ricorerre a varie intermediazioni. Più la lista dei problemi intorno al palazzo aumentava e più si presentevano nuovi mediatori, in genere grazie ai buoni uffici di Fabrizio Tirabassi. Uomo di fiducia di Becciu, la Guardia di Finanza la scorsa settimana gli ha sequestrato in casa mezzo milione di euro in contanti nascosti nella scatola della scarpe e in una cesta di panni sporchi. Tra i personaggi presentatisi allo scopo di chiudere l’affare londinese c’è Gianluigi Torzi. Il broker molisano, arrestato dalla gendarmeria e poi rilasciato, è accusato di corruzione ed estorsione perché, grazie ad un meccanismo pianificato assieme a Tirabassi e Crasso, e con il placet di Becciu, aveva affidato la fase di trasferimento della proprietà del palazzo di Londra da Athena al Vaticano, alla sua società lussemburghese “Gutt Sa”. Torzi per consulenze inspiegabili e non documentate già nel 2018 aveva ricevuto dagli uffici di Becciu circa 15 milioni di euro, altri 900 mila giungeranno qualche mese dopo, e avrà altri 20 milioni di sterline per chiudere la transazione e restituire alla Santa Sede la totalità del palazzo.

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Quei soldi arriveranno direttamente dal “Fondo Discrezionale” di Papa Francesco presso Ubs, una proposta che viene avanzata da Fabrizio Tirabassi e Monsignor Perlasca in una riunione del 15 Marzo 2019 e che verrà accolta dopo innumerevoli pressioni dal nuovo Sostituto che nel frattempo ha preso il posto di Becciu, Monsignor Peña Parra. Come scrivono gli inquirenti «alla proposta vengono perfino allegate le disposizioni inviate al consulente svizzero, tale Vito Monte, per impartire gli ordini alla banca Ubs (in particolare quella di utilizzare 12 milioni di sterline a disposizione e chiedere uno scoperto di conto corrente di altri 8 milioni)». Si arriva così a coinvolgere anche il conto del Papa, mai utilizzato per operazioni speculative, e defraudato per coprire l’ennesimo scempio economico. Tutto ciò ha avuto termine solo con la sostituzione dell’intera segreteria di Becciu. Monsignor Alberto Perlasca, che da mesi collabora con i Promotori di Giustizia vaticani, ha dichiarato che Becciu ha sempre continuato a essere informato e a indirizzare la politica degli Affari generali, anche dopo la sua “promozione”.

In questa storia c’è infatti un momento di svolta. Il 20 maggio 2018 al termine del Regina Coeli, Papa Francesco annunciò la creazione di Becciu a cardinale e il 26 maggio la sua nomina a Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Con queste due azioni il prelato viene allontanato dagli Affari Generali, dopo le segnalazioni degli inquirenti e della Gendarmeria. Ma il neocardinale continuerà per molti mesi a influenzare gli affari del suo antico incarico.

«Il Papa mi ha detto di aver avuto la segnalazione dei magistrati che avrei commesso peculato. Dalle carte, dalle indagini fatte dalla Guardia di Finanza italiana emerge che io abbia commesso il reato di peculato». Sono passati due mesi da quando il 25 settembre Angelo Becciu, cardinale della Chiesa di Roma, dimissionato da Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, privato dai privilegi connessi al cardinalato come il voto in Conclave e la possibilità di essere eletto Papa, annunciava in una inedita conferenza stampa i motivi della decisione che aveva indotto Papa Francesco a chiedergli il più grande passo indietro, dopo aver passato il mese di agosto, come raccontano fonti vaticane, a studiare le evidenze investigative a suo carico.

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I documenti dell’inchiesta evidenziano poi una serie di affari che coinvolgono i familiari di Becciu. Dalla Birra Pollicina del fratello Mario e all’olio Donum Dei della sua consorte, alle ristrutturazioni e la sostituzioni di infissi operati dall’altro fratello Francesco fino ai fondi dati in modo arbitrario alla Caritas di Ozieri e quindi alla cooperativa “Spes” del fratello Antonino.

Due mesi dopo quel 24 settembre che ha cambiato la storia del Vaticano rimangono le macerie di un sistema. Macerie ancora fumanti, che si tenta di utilizzare contro Papa Francesco che, nonostante lobby, ricattatori, dossieratori, ha dato lo sprone decisivo alla riforma della Curia romana.

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