Mobilità
5 agosto, 2025Un’ondata di dimissioni ai vertici dell’industria automobilistica rivela la crisi del settore tra transizione elettrica, utili in calo e pressioni degli azionisti
Non c’è niente da fare, l’auto logora chi non ce l’ha. In meno di un anno, sei amministratori delegati della “industria delle industrie”, come la definì quasi ottant’anni fa (1946) l’economista austriaco naturalizzato statunitense Peter Drucker, hanno mollato il volante. Una morìa inedita nel settore, del resto non impermeabile alla velocità che sembra governare le vite nel terzo millennio. Cinque su sei top manager se ne sono andati perché i risultati non erano all’altezza delle aspettative degli azionisti, da tradurre variamente in perdite colossali per alcuni, motivi non dichiarati per altri. Uno di loro, Luca de Meo, ha lasciato invece non solo il gruppo Renault ma il settore dopo 33 anni, per planare sul lusso, a capo di Kering che fra tanti marchi viene identificato soprattutto con Gucci. A 58 anni è stata una opportunità, scelta comprensibile ai più. E ora a tutti: nei giorni scorsi, il gruppo francese ha fatto sapere che l’ex amministratore delegato di Renault riceverà entro il 15 settembre un bonus d’ingresso per la sola firma del contratto di 20 milioni di euro.
L’effetto transizione
Che l’auto sia logorata da una transizione all’elettrico in salita e da una debolezza dei decisori politici è cosa nota. Che il settore ultracentenario ne abbia viste di peggio per poi rilanciarsi, è però altrettanto certo. Nel frattempo, i guai sono grandi, tanto più che nel post Covid fino al 2023 tutti i costruttori avevano fatto utili pazzeschi. Grazie alla ripartenza, e a una mancanza di chip che aveva ridotto la sovracapacità produttiva e imposto ai consumatori di comprare quel che c’era, al prezzo migliore per il venditore. Ora quegli utili non si vedono più, in una specie di prendi i soldi e scappa.
Tavares, il simbolo della fuga
Carlos Tavares si può considerare il simbolo di questa fuga per la vittoria (la sua). Il ceo di Stellantis è stato costretto a dimettersi alla fine del 2024 per cali a doppia cifra di utili e fatturato, dopo avere incassato nel 2023 compensi per circa 36 milioni di euro, nel disastroso 2024 altri 25 milioni più 12 di buonauscita. Qualche mese prima di lui, Thomas Ingenlath, unico caso al mondo di un designer diventato amministratore delegato, l’avevano fatto scendere dalla guida di Polestar, il marchio del gruppo Geely di solo elettriche ed elettrificate di lusso, che stava per andare a fondo.
I marchi e la paura di scomparire
È di questi giorni l’addio, dopo 35 anni di onorata carriera, di Adrian Mardell, ceo di Jaguar Land Rover, che rischia di avere sulla coscienza la scomparsa del marchio Jaguar. Senza più modelli in listino e con novità solo a batteria, di cui finora si è intravisto solo un concept che ha fatto molto discutere.
Makoto Uchida ha lasciato il gruppo Nissan sull’orlo della bancarotta, visti i risultati e letto il Financial Times, cui un dirigente rimasto anonimo aveva spifferato “abbiamo 12 o 14 mesi per sopravvivere”. All’opposto Wayne Griffiths, ceo di Seat e Cupra, sparito dopo un bilancio record, forse per motivi privati. È durato solo tre anni Jim Rowan, ceo di Volvo con un intrigante passato a BlackBerry e Dyson, sostituito a sorpresa dal precedente, decennale amministratore delegato. Che ci sia sempre un futuro dietro alle spalle?
LEGGI ANCHE
L'E COMMUNITY
Entra nella nostra community Whatsapp
L'edicola
Il diritto alle vacanze - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso
Il settimanale, da venerdì 15 agosto, è disponibile in edicola e in app