Mobilità
17 settembre, 2025Il 18 settembre 2015 la US Environment Agency (EPA) accusava la Volkswagen di aver violato le normative antinquinamento. Uno scandalo che ha accelerato la transizione verso la motorizzazione elettrica
Il Dieselgate, il più grande scandalo automobilistico di sempre, scoppia all’improvviso, esattamente dieci anni fa. Era il 18 settembre 2015, un venerdì, quando la US Environment Agency (EPA), l’agenzia per la protezione ambientale statunitense, mette sotto accusa la Volkswagen per aver violato sul suolo americano le normative antinquinamento, utilizzando un software in grado di ingannare i controlli delle emissioni di ossido di azoto (NOx), pericolose per l’ambiente e soprattutto per i polmoni delle persone. Dopo lunghe e segrete verifiche, gli investigatori americani scoprono che la Volkswagen ha imbrogliato sui test di omologazione delle sue auto diesel, permettendo a milioni di veicoli di emettere ossido di azoto a livelli molto superiori alle soglie autorizzate. Un inganno, si scoprirà poco più tardi, usato anche da molti altri produttori europei.
Come è potuto accadere tutto questo? Il segreto viene subito a galla. Si tratta di un ingegnoso dispositivo, chiamato defeat divice, programmato per riconoscere le condizioni specifiche dei test di omologazione ufficiali (condotti in laboratorio su rulli, seguendo cicli di guida standardizzati) e attivare i sistemi di controllo delle emissioni, in particolare quelli per l’abbattimento degli ossidi di azoto (NOx). In questo modo, le auto risultavano conformi ai limiti di legge mentre invece arrivavano fino a 40 volte superiori a quelli consentiti, come dimostrato da test indipendenti condotti su strada.
Dunque, quel 18 settembre del 2015 comincia un vero e proprio inferno per la Volkswagen che, pur ammettendo fin da subito le proprie responsabilità, alla fine arriverà a subire un danno quantificato in oltre 33 miliardi di euro. Tanto per farsi un’idea del danno economico in pochissimi giorni, il prezzo delle azioni Volkswagen è sceso del 20% e 11 milioni di veicoli sono stati “richiamati” in tutto il mondo (di cui 8,5 in Europa). A questo si aggiunge indubbiamente un danno d’immagine per il marchio leader di vendite in Europa e simbolo della massima perfezione dell’ingegneria tedesca. Si dimette il grande capo Martin Winterkorn e subito dopo numerosi manager, molti dei quali finiti agli arresti.
Ancora oggi è difficile compilare un bilancio definitivo. Quello che è certo è che dopo il Dieselgate ha spazzato via molte certezze e ha messo sott’accusa l’automobile così come era concepita fino a quel momento. Uno scandalo che ha accelerato la transizione verso la motorizzazione elettrica e la trasformazione di molti grandi costruttori del vecchio continente. Ha cambiato i test sul controllo delle emissioni che ora non si svolgono più soltanto in laboratorio ma anche (finalmente) su strada e nello stesso tempo alzando i limiti necessari per l’omologazione.
Una decisione che di fatto ha reso sempre più difficile e costoso per tutti i costruttori garantire la conformità dei motori diesel che, infatti, nel giro di pochi anni crollano nei principali mercati europei. In Italia, ad esempio, le auto a gasolio sono passate da una quota di ben oltre il 50 per cento a poco più del 9 per cento dei primi mesi di quest’anno. Conseguenza anche dei divieti di circolazione per proprio per i diesel adottati in molte città europee, come Roma, Parigi e Berlino nelle aree centrali o durante i giorni di picco dell’inquinamento.
Ma è proprio il Dieselgate, infine, il principale motivo dell’accelerazione verso la mobilità elettrica. Una corsa necessaria, probabilmente troppo veloce e poco ponderata, dettata dal fatto che lo scandalo andava dimenticato molto in fretta. Così, il Parlamento europeo ha approvato sull’onda del cambiamento, il discusso “Green Deal” e il famoso “Phase out” per il 2035, anno in cui i motori termici verranno messi al bando per fare spazio soltanto a quelli elettrici. Cosa accadrà, però, è ancora tutto da vedere.
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