Lungo, piovoso e freddo l'inverno appena passato. Certamente. Ma non più freddo. Perché i dati stagionali resi noti dal Cnr indicano che la stagione appena conclusa è stata l'ennesima a registrare temperature al di sopra della media del decennio passato. Non tanto, un piccolo più 0,17 gradi, ma sufficiente a confermare il trend. Ad esempio del 2009: la bella stagione 2009 è stata tra le più calde negli ultimi 200 anni, con circa due gradi in più della media del decennio scorso. E non stupitevi se continuerà così. Magari non ce ne accorgeremo, concentrati sulla temperatura del giorno o della settimana non ci è certo possibile cogliere le variazioni medie, rassegnamoci: la nostra percezione non ci permette di apprezzare quello che misurano gli scienziati. I trend, gli scostamenti della temperatura dalla media del decennio, i millimetri di pioggia: è con questi dati alla mano che i climatologi decretano che è più caldo e che sarà sempre più caldo.
I GRAFICI Come cambia il clima
A dirlo è un volume di oltre 500 pagine scritto da Sergio Castellari, fisico del Centro Euro-Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici (Cmcc), assieme a Vincenzo Artale dell'Enea: 'I cambiamenti climatici in Italia: evidenze, vulnerabilità e impatti', pubblicato con la Bononia University Press, che mette insieme la migliore letteratura scientifica prodotta in materia di previsioni e studi del clima dell'area mediterranea: "Un'area molto particolare, molto sensibile ai cambiamenti climatici, che nei rapporti globali non ha avuto finora uno spazio sufficiente per analizzarne in dettaglio caratteristiche e necessità", sostiene Castellari.
Per capire le variazioni nel tempo l'unica possibilità è utilizzare dati, molti dati, e analizzarli attraverso dei modelli matematici che permettano di eseguire simulazioni il più accurate possibile. Ci vuole molta potenza di calcolo, ci vogliono i supercomputer. Ma fatto tutto ciò, lo scenario dei prossimi decenni si delinea con una certo grado di attendibilità. Sappiamo che le temperature superficiali in Italia nell'ultimo secolo sono cresciute circa di un grado, e gli studi dicono che potrebbero salire ancora. E di molto.
Se confrontiamo i dati degli ultimi 30 anni del XX secolo con le proiezioni per lo stesso periodo a fine XXI secolo, notiamo almeno quattro o cinque gradi di differenza in tutta la zona del Mediterraneo. Soprattutto saliranno le temperature massime. E non si tratta di un aumento omogeneo. Se guardiamo all'Europa, i modelli dicono che in inverno il riscaldamento sarà più elevato nel Nord-Est europeo mentre in estate il riscaldamento maggiore si dovrebbe registrare nelle regioni mediterranee a Sud-Ovest, con valori massimi di aumento di cinque o sei gradi nel nostro Paese come in Spagna, nel sud della Francia e della Germania e sui Balcani. Aumentando lo zoom e puntando direttamente sull'Italia, i modelli dicono che il riscaldamento sarà, in proporzione, maggiore durante l'estate, con temperature che aumentano dai tre gradi e mezzo ai cinque, e minore durante l'inverno, dai due gradi e mezzo ai tre.
Ce ne accorgeremo? Forse no. Uno dei dati più interessanti per quanti stentano a riconoscere plausibili questi scenari, è l'aumento della variabilità detta interannuale. I modelli, infatti, indicano che le temperature varieranno in modo anche significativo tra un anno e l'altro. Un dato che rende difficile anche una certa programmazione con evidenti costi sociali ed economici. Basti pensare al settore agricolo, ma anche a quello turistico dove la previsione dei flussi di persone che potrebbero essere indotti a rinunciare a una vacanza in una località interessata da una ondata di calore o nel corso di un inverno con poca neve è assai difficile da mettere in pratica.
La variabilità dà conto di quello che è stato chiamato caos-clima del quale siamo stati testimoni negli anni scorsi. Con l'ondata crescente di piogge anomale, scroscianti e spesso improvvise: nel 2009 si è registrato un aumento delle precipitazioni del 54 per cento rispetto alla media decennale. Ci dobbiamo abituare anche a questo? Prevedere i cambiamenti del ciclo dell'acqua, e quindi anche le variazioni nei livelli delle precipitazioni, è davvero molto complicato, sottolineano gli scienziati. Come spiega Silvio Gualdi, ricercatore del Cmcc: "I processi fisici che regolano le precipitazioni sono molto più complessi da capire e da descrivere. E quindi le proiezioni, per quanto accurate, al momento sono comunque da prendere con cautela".
Ma l'inversione di tendenza sembra assai probabile: le proiezioni concordano nel dire che nella regione mediterranea la precipitazione media sarà inferiore del 20-25 per cento a fine del XXI secolo rispetto alla fine del '900. La precipitazione tenderebbe a diminuire a sud delle Alpi e ad aumentare a nord, confermando il ruolo chiave di spartiacque di questa regione montagnosa che al tempo stesso è però particolarmente vulnerabile.
Temperature più alte, meno piogge. Che fine ha fatto la prevista 'tropicalizzazione' dell'area mediterranea di cui si è parlato in questi anni? Ancora una volta sembra sia stata solo un'illusione ottica. Molti studi, dopo l'estate del 2003, quella delle lunghe ondate di calore, si sono concentrati sul capire come interagiscono la temperatura e le piogge; e lo scenario che risulta da queste ricerche è quello di una Europa più arida e calda con ondate di calore estive più lunghe e più venti secchi da est che riducono l'umidità del suolo, favorendone l'erosione e la polverizzazione.
Proviamo a immaginarlo questo ambiente dove potremmo trovarci a vivere: polvere e venti caldi. Ma estati più secche, nel nostro Paese, si accoppieranno ad altri effetti: meno pioggia e temperature più alte vogliono dire anche meno acqua nei fiumi e nei laghi, più evaporazione, quindi una riduzione degli specchi d'acqua in superficie. Non solo. Significa anche un aumento della temperatura delle acque profonde, con conseguenze piuttosto prevedibili, ma ad oggi difficilmente quantificabili, sulla flora e la fauna.
D'altra parte, l'aumento della siccità estiva è un fenomeno già ben misurato in Italia. Tra il 1951 e il 1980, le zone secche sono aumentate del 6,5 per cento in tutto il Paese, mentre nel ventennio successivo c'è stato un ulteriore incremento del 18 per cento. Episodi di siccità hanno colpito sistematicamente oltre il 50 per cento della Sicilia e il 48 della Puglia. Quando la siccità è persistente e la gestione del territorio da parte nostra è irrimediabilmente insostenibile, come di frequente accade in Italia, il rischio serio è di andare incontro a processi di desertificazione. E a rischio, secondo gli indici resi noti dal Cmcc, ci sono, a sorpresa, regioni come Emilia-Romagna, Toscana, Lazio.
Di nuovo si fa fatica a mettere insieme la nostra vita con i modelli dei climatologi. Ma che fine fa tutta questa pioggia? Piove ininterrottamente da mesi. I temporali scrosciano su Milano come fosse Bangkok e Roma è immersa per settimane in una nebbia umida da foresta tropicale. Invece, ecco le mappe, come quella a pagina 75, che mostrano la desertificazione nel Lazio o in Emilia. Perché? La risposta degli scienziati non cambia: a confondere i piani è l'estremizzazione del clima: una forte diminuzione dei giorni poco piovosi, nel corso dell'anno, ma un aumento dei giorni con pioggia intensa, soprattutto nel Nord. Al tempo stesso, le temperature più elevate con meno giorni di gelo in inverno e ondate di calore più lunghe in estate: gli studi sembrano indicare che potrebbero durare da qualche settimana nei paesi del Nord Europa a periodi ben più lunghi alle nostre latitudini. .
È questo caos che dà conto degli eventi estremi degli ultimi anni: le alluvioni verificate in Europa e in certe zone d'Italia, il caldo terribile e infinito del 2003; l'altalena di piogge eccessive e giorni di sole senza tregua. Tutti eventi con un impatto enorme sulle nostre attività, sulla salute, sulle città, sull'ambiente. Ma anche eventi molto complicati da studiare, perché non sono disponibili serie di dati tali da permettere simulazioni accurate e perché difficilmente sono uno uguale all'altro.
Eppure, con tutta la fatica che si fa a capire come evolverà, un dato è certo, il clima sta cambiando e gestire gli impatti dei cambiamenti, mitigandone gli effetti negativi e cercando di individuare opportunità di sviluppo sostenibile che invertano la tendenza e riducano il flusso di emissioni di CO2 in atmosfera, è una di quelle grandi sfide, sottolineano gli scienziati, che non possiamo permetterci il lusso di sottovalutare.