Il presidente dichiara guerra a Globovision, emittente sgradita al regime. E costringe il proprietario Zuloaga a scappare negli Usa
di Antonio Carlucci da Washington
23 agosto 2010
Guillermo Zuloaga, uno dei fondatori della televisione venezuelana Globovision, si è rivolto a Catalina Botero, la special rapporteur della Commissione per i diritti umani dell'Organizzazione degli Stati Americani. La petizione, esposta a voce durante un incontro nella sede dell'Osa a Washington, avanza questa richiesta: "I procuratori di Caracas portino il mio caso qui, davanti alla commissione, e a decidere siano chiamati giudici scelti dai paesi dell'Osa. Se sarò giudicato colpevole, tornerò in Venezuela a scontare la pena". Zuloaga, 68 anni e due figli, è negli Stati Uniti da oltre un mese, in fuga dai magistrati del suo Paese. Nella stessa situazione si trova uno dei due figli. Entrambi sono accusati di un reato che combina insieme l'associazione per delinquere e l'usura. Il fatto? Lui, oltre ad essere al vertice della più importante televisione privata del Venezuela, ha anche una società che vende automobili della Toyota. L'accusa è di averne nascoste una ventina per poi rivenderle a prezzo maggiorato.
L'imprenditore venezuelano ha raccontato la sua storia a "L'espresso" a Washington. La vicenda, sostiene, non riguarda le auto, ma la televisione, i suoi contenuti, il rapporto con il presidente del Venezuela Hugo Chávez "che non sopporta nessuna voce che non dica quello che lui vuole che si dica". Come fa a dire che la libertà di espressione non è garantita nel Paese caraibico? "Basta contare le radio e le televisioni che sono state chiuse", ricorda l'imprenditore. Zuloaga rifiuta l'etichetta di gestire una televisione di opposizione: "Globovision è una all news 24 ore su 24, capisco che le notizie a volte possono anche non piacere, ma questo è il lavoro che facciamo e per questo siamo la tv più importante e seguita del Venezuela. Non siamo né un canale governativo né un canale dell'opposizione. La stampa libera è nel mio Dna, ereditato dal nonno materno che fu il fondatore del quotidiano "El Universal"". E fa un esempio. "A me non sembra né di destra né di sinistra la storia sul cibo comprato dallo Stato per fare fronte alla penuria senza controllare la data di scadenza del latte o di altri prodotti che era così ravvicinata che ora sono a marcire da qualche parte solo perché qualcuno ha fatto la cresta. Questa è solo cronaca di quanto avviene nel mio Paese".
Al presidente e ai suoi fan Globovision non piace. "Nell'ultimo anno il governo di Chávez ha aperto 50 procedure legali nei confronti della televisione". Sono delle inchieste amministrative che possono concludersi con una multa. E così è stato. Una volta perché le troupes di Globovision avrebbero usato frequenze non autorizzate per trasmettere avvenimenti dalle strade di Caracas. Un'altra volta la contestazione ha riguardato tasse non pagate: Globovision ha offerto degli spazi gratis ai partiti di opposizione e il governo ha contestato il mancato pagamento delle imposte, conteggiando quello spazio televisivo alla stregua di spot pubblicitari. "Ma alla fine abbiamo avuto ragione noi", spiega Zuloaga.
Un'altra volta ancora la procedura ha messo a fuoco i messaggi e le e-mail che il pubblico manda alla televisione e che poi scorrono in diretta sulla parte bassa dello schermo. "Nei momenti più interessanti lo spettatore interagisce con la televisione. Come avviene in tutto il mondo, ritiene che possa essere un mezzo per far conoscere la propria opinione e non solo per restare passivo davanti a uno schermo. Molti di questi messaggi e e-mail parlavano del presidente Chávez. Bene, hanno ritenuto che fossero diffamatori e così hanno aperto una inchiesta contro la televisione. Analoga procedura anche quando alcuni ospiti di nostre trasmissioni hanno criticato i comportamenti del governo".
Guillermo Zuloaga sa di non piacere a Chávez e ai suoi. E sa di vivere in un Paese dove spesso le regole le detta il più forte, dove il potere si è sempre presentato con la faccia cattiva, chiunque lo gestisse.
La disavventura delle macchine nascoste comincia invece un anno fa a Valencia, 300 chilometri a nord di Caracas. "Un poliziotto si presentò a casa mia e con aria rude mi chiese conto di una ventina di Suv che vedeva parcheggiati nel giardino e aggiunse che voleva controllare da dove venivano. Mi disse che avrebbe dovuto fare rapporto, era chiaro che voleva danaro. Io risposi che al massimo potevo pagargli un taxi basta che si levasse dai piedi". Denuncia e inchiesta con l'accusa di aver nascosto le auto per far salire il prezzo. "Arricchirsi con una ventina di auto quando io ne vendo 2 mila all'anno? Per nove mesi, mentre indagavano, io e mio figlio andavamo tutti i giovedì in tribunale per mettere la firma, misura precauzionale. Alla fine non hanno trovato nulla e hanno chiuso l'indagine".
A sentire Zuloaga, la storia riprende a febbraio del 2010 nell'isola di Aruba, alla riunione della Inter American Press Association. "Si presentarono una dozzina di venezuelani mandati dal governo. La maggior parte voleva metterli alla porta, io mi opposi, spiegando che così avremmo offerto loro l'occasione di strillare alla discriminazione". Nel corso del convegno Zuloaga ebbe parole critiche nei confronti di Chávez e ricordò che "c'erano prove documentali che aveva dato l'ordine di sparare sulla folla che manifestava contro di lui". In Parlamento, dove non esiste l'opposizione che decise di boicottare le ultime elezioni, cominciò il balletto delle accuse contro chi diffamava il presidente. E qualche settimana dopo si mossero i servizi segreti militari. "Stavo partendo per un fine settimana. Impedirono al mio aereo di decollare, poi arrivò il numero due dei servizi segreti e mi disse che ero in arresto e dovevo andare a Caracas. Dal numero di auto e persone armate sembrava che avessero arrestato il capo di Al Qaeda. Mi tennero chiuso un pomeriggio, poi mi liberarono viste le proteste in Venezuela e fuori".
La partita tra Zuloaga e Chávez non si chiuse lì. Qualche settimana dopo, nel corso di una trasmissione di "Alò Presidente", Chávez si chiese come potessero essere ancora in libertà coloro che raccontavano menzogne sul suo conto. "Quelle parole misero in moto la magistratura che non avendo nulla contro di me, riaprì la storia delle auto. Per fortuna non tutti nel governo sono ciechi e sordi di fronte a quello che avviene, così fui avvertito che avevano emesso un mandato di arresto con l'ordine di rinchiudere me e mio figlio nel supercarcere di La Planta. Non mi restava che lasciare il Paese". Il passo successivo è stato rivolgersi alla Commissione dell'Osa.
E adesso? "Continuo a dirigere la televisione da lontano, faccio le riunioni via Skype, vengo informato via e-mail. I 450 dipendenti che lavorano per Globovision possono stare tranquilli, l'azienda è forte, è seguita dai venezuelani, è considerata un ottimo veicolo per la pubblicità da investitori importanti. E ci sono risorse per continuare a lavorare con una certa tranquillità". Zuloaga non nasconde che spera di vedere cambiamenti entro tre mesi. A settembre si svolgeranno le elezioni, le previsioni sono che l'opposizione a Chávez, che questa volta ha deciso di partecipare, sia in grado di eleggere un buon numero di deputati. "Almeno ci sarà qualche voce a contrastare quella di Chávez", è l'augurio di Zuloaga.
La voglia del presidente di mettere le mani su Globovision non si è fermata all'inchiesta contro Zuloaga. Uno dei soci della televisione, Nelson Mezerhane, proprietario del Banco Federal, ha dichiarato bancarotta (è fuggito negli Usa), così le sue azioni sono nelle mani dell'esecutivo per proteggere i titolari dei depositi, ma continua a detenere il 20 per cento di Globovision attraverso un'altra società. E un altro socio, Nunez Arismendi, è appena deceduto e a suo nome era intestata la licenza della emittente. Così Chávez e i suoi consiglieri stanno pensando di nominare uno o due membri del consiglio di amministrazione in rappresentanza delle quote acquisite. Un modo per entrare all'interno di Globovision.