In una rete di centinaia di chilometri di tunnel, migliaia di persone che la crisi ha espulso dalla vita ufficiale hanno ricreato la loro casa. E ogni tanto risalgono in superficie per cercare fortuna al tavolo verde

Sottoterra, a Las Vegas, esiste un'altra città abitata da un migliaio di persone. La scoprì Matthew O'Brien, che lavorava per il "Las Vegas City Life", un settimanale alternativo della capitale americana del gioco d'azzardo. Nel 2002 fu incaricato di raccontare la storia di Timmy T.J. Weber, un assassino. Più che il capitolo omicida per il quale Weber è stato poi condannato a morte per aver ucciso la sua fidanzata, il figlio di lei, aver stuprato la figlia e aver tentato due giorni dopo di assassinare anche un altro figlio della donna, O'Brien volle approfondire il modo in cui Weber era riuscito a sfuggire alla più grande caccia all'uomo della storia di Las Vegas. Mentre i poliziotti battevano le vie intorno alla Strip, la strada dei Casinò, e chiudevano con posti di blocco l'accesso alle autostrade, Weber si era calato in un tombino infilandosi in una rete di tunnel costruiti per evitare che la pioggia possa allagare la città. Ed era svanito nel nulla.

O'Brien seguì il percorso dell'omicida addentrandosi in questa rete di gallerie che si estende per oltre 300 chilometri. E scoprì un mondo nascosto.

Nei tunnel vivevano centinaia di persone, uomini, donne, giovani, anziani. Ognuno con la sua storia di espulsione della società da raccontare, ognuno appeso al ricordo del momento in cui dalle strade dove il neon brilla senza pause, di giorno come di notte, fu costretto a scendere nel buio dei cunicoli di scolo delle acque. C'era chi viveva da anni in quel modo e chi era appena arrivato nell'inferno. C'era chi aveva attrezzato uno spazio come fosse una casa, stando bene attento a tenere sollevati dall'asfalto-pavimento i mobili raccolti nelle discariche pubbliche, un accorgimento indispensabile per evitare di vederli portare via da un'improvvisa piena d'acqua. E c'era chi conservava tutto in un paio di carrelli da supermercato, pronto a scappare via al primo scroscio di pioggia.

Era appunto il 2002 quando Matthew O'Brien si imbatté in questa parte di Las Vegas sconosciuta della quale prima scrisse sul suo giornale, e poi ne fece un libro, "Beneath Neon: Life and Death in the Tunnels of Las Vegas", sotto le luci al neon: vita e morte nei tunnel di Las Vegas. Racconta oggi Matthew di quell'esperienza: "Sin City era come Roma dell'epoca romana, Parigi del dopo rivoluzione o New York degli anni Ottanta. Una parte della popolazione viveva sotto terra. A Roma i cristiani nelle catacombe, a Parigi i rivoluzionari nelle fogne, a New York i reietti dello sviluppo nella metropolitana. A Las Vegas nei tunnel ci sono ancora quelli che hanno perso tutto, ma proprio tutto".

A quel tempo Matthew incontrò decine di homeless, li raccontò e il problema prese improvvisamente corpo. Le autorità dello stato del Nevada decisero un censimento nel 2005 (e da allora viene ripetuto ogni due anni): c'erano 13 mila homeless nello Stato, la maggior parte dei quali nell'area di Las Vegas. Alla generica categoria dei senza casa fu aggiunta nel censimento quella di chi non aveva neanche saltuariamente un tetto provvisorio, ovvero i fantasmi dei tunnel di Sin City. Con una certa approssimazione, si capì che questo esercito era composto di almeno mille persone.

Tutti erano finiti sotto terra dopo aver perso il lavoro, spesso a rendere più drammatica l'uscita dal circuito di una vita dignitosa c'erano anche storie di dipendenza dalla droga. Sui giornali e sulle televisioni finì la storia di Steven e Kathryn, marito e moglie, lui ex addetto alla portineria di uno sfavillante hotel con Casinò che aveva avuto problemi con l'eroina. Perso il lavoro, disoccupata lei, finiti i risparmi avevano trovato come unico ricovero i cunicoli anti allagamento e lì avevano costruito una casa, ricavando in un angolo anche una toilette e un armadio. I due sopravvivevano grazie agli spiccioli che Steven racimolava dalle slot machine nelle quali i giocatori avevano dimenticato qualche dollaro.

Junior e Amy avevano una storia ancora più drammatica da raccontare: avevano perso il figlio di pochi mesi ed erano rimasti senza lavoro e senza soldi. Campavano di lavoretti saltuari che non permettevano neanche l'affitto di una stanza, e dunque avevano scelto i tunnel come abitazione. Loro non avevano perduto la speranza di un futuro migliore e a dimostrarlo c'era la decisione, presa di slancio una mattina, di vestirsi in modo passabile e presentarsi davanti all'ufficiale di stato civile per unirsi in matrimonio.

Era un libro senza fine quello che raccontava le storie dei fantasmi dei tunnel. Alcuni sparivano, e ne arrivavano altri. A dimostrarlo il censimento del 2007 con un leggero calo degli homeless e poi quello del 2009, un'impennata dovuta alla recessione che si era abbattuta su Las Vegas come l'onda di uno tsunami.

Queste cifre raccontano perfettamente la crisi di Las Vegas: con la recessione del 2008 sono stati persi 140 mila posti di lavoro, e la disoccupazione è oggi al 14 per cento; sono state registrate due milioni di presenze in meno all'anno dall'inizio della crisi; una casa su sette è stata pignorata oppure il proprietario non paga regolarmente il mutuo; il tasso di suicidi nello stato del Nevada è tre volte superiore alla media nazionale; un adulto su 16 è uno scommettitore "problematico" o "totalmente dipendente" e avrebbe bisogno di essere curato. In più, recessione e crisi hanno fatto perdere a Las Vegas il primato di capitale mondiale del gioco di azzardo (oggi è Macao, in estremo oriente) e i profitti sono in costante diminuzione: dai 6,12 miliardi di dollari del 2008 si è passati ai 5,5 miliardi del 2009.

Solo il primo cittadino di Las Vegas Oscar Goodman continua a ostentare fiducia: "Sono il più felice sindaco della più grande città del mondo". Peccato che tutti i segnali indichino che la crisi non è ancora finita. Mentre in quasi tutti gli Stati Uniti vengono riassorbiti a passo di lumaca i disoccupati, Las Vegas continua a distruggere posti di lavoro mese dopo mese. È sotto stress il settore alberghiero, e di conseguenza, l'affluenza turistica e gli incassi dei Casinò. È semi paralizzata l'industria delle costruzioni e molte iniziative miliardarie che erano stati avviate prima del 2008 sono state cancellate o portate a termine a fatica e con la certezza che nessuno può sapere se e quando l'investimento comincerà a fruttare. Un solo esempio: il Cosmopolitan, resort del gioco d'azzardo con tre mila camere per ospiti, vede la presenza come amministratore della Deutsche Bank per il timore di perdere il miliardo di dollari prestato alla società proprietaria del Casinò. C'è però chi pensa che la crisi si possa anche combattere e alla fine riportare Las Vegas ai fasti del passato. Il Caesar's Palace ha deciso di investire sulla cantante Celine Dion, con un contratto da 100 milioni di dollari per 210 show.

In attesa che la situazione cambi, l'unico settore che sembra essere in espansione è quello della beneficenza e delle organizzazioni umanitarie. Martedì 8 novembre si è svolta la riunione annuale del Project Homeless Connect, volontari da tutto lo Stato che cercano di alleviare le sofferenze dei più disperati. Anche Matthew O' Brien ha indossato i panni del buon samaritano. L'esperienza fatta lo ha portato ad aprire una organizzazione per aiutare i fantasmi dei tunnel. Si chiama "Shine a Light", come la canzone che i Rolling Stones lanciarono nel 1968 e il cui ritornello gridava: "Possa il buon Signore illuminarti/ e riscaldarti come fa il caldo sole della sera".

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Il pugno di Francesco - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso