Il fondatore di Wikileaks vive da due anni nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra. Privato della libertà per un'inchiesta ferma da quattro anni alla fase preliminare senza essere stato incriminato per alcun reato
Intrappolato nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra da ben due anni, dopo averne passati uno e mezzo agli arresti domiciliari con un braccialetto elettronico che ne controllava ogni movimento. I viaggi in giro per il mondo, il sole, la libertà di movimento sono ormai un ricordo remoto per Julian Assange, che non vive più da uomo libero da quasi quattro anni.
Gli immancabili zaini e tracolle zeppe di computer che lo accompagnavano nella sua vita nomade, libero per il mondo, giacciono nella stanza dell'ambasciata in cui è confinato, ammassati in un bailamme di computer, libri, documenti. Una ventina di metri quadri dove il sole è una presenza molto aleatoria. Mentre gli agenti di Scotland Yard, che circondano l'ambasciata giorno e notte - pronti ad arrestare Assange nel caso in cui mettesse anche un solo piedi fuori - sono una certezza che finora è costata ai contribuenti britannici 5,9 milioni di sterline (
qui l'articolo del Daily Mail che ne parla) .
Non si vede una via d'uscita alla situazione di Julian Assange. L'ultima volta che ha camminato da uomo libero per le vie di Londra era il 7 dicembre 2010. Poi è arrivato l'arresto, la prigione, il rilascio su cauzione, la detenzione agli arresti domiciliari. Infine, l'asilo che il fondatore di WikiLeaks ha chiesto all'Ecuador, rifugiandosi nell'ambasciata ecuadoriana di Londra, a Knightsbridge, esattamente il 19 giugno del 2012. L'Ecuador gli ha concesso asilo politico, motivando la decisione con il rischio reale che Assange possa essere estradato negli Stati Uniti e processato per la pubblicazione dei documenti segreti del Pentagono e della diplomazia Usa.
L'asilo è un diritto riconosciuto dalle leggi internazionali. Il problema è che l'Inghilterra rifiuta di concedergli un salvacondotto per uscire dall'ambasciata dell'Ecuador a Londra e raggiungere il paese sudamericano. Il governo inglese ha dichiarato fin dall'inizio che non concederà per nessuna ragione un salvacondotto ad Assange, neppure nel caso in cui dovesse avere la necessità di correre in ospedale per curarsi. E da due anni, siamo all'impasse. La situazione non si è evoluta in alcun modo.
Tutto ruota intorno a un'inchiesta, che dopo quattro anni, è ancora alla fase preliminare. L'inchiesta è scattata nell'agosto 2010, immediatamente dopo la pubblicazione dei 91.520 file riservati del Pentagono sulla guerra in Afghanistan. Assange si è ritrovato denunciato da due donne svedesi, che lo accusavano di avere avuto rapporti consensuali, nel corso dei quali, però, il fondatore di WikiLeaks non avrebbe usato il condom, nonostante le richieste del partner: per la legge svedese il comportamento è configurabile come stupro, seppure di una fattispecie minore.
L'indagine è stata prima aperta come stupro, poi il caso è stato derubricato a molestie e poi di nuovo è stato riaperto come stupro. Dopo quattro anni, Assange non è ancora incriminato per alcun reato. I procuratori svedesi vogliono estradarlo solo per interrogarlo in merito alle accuse delle due donne. E Assange ha offerto subito la possibilità di essere interrogato a Londra, nella sede di Scotland Yard, nell'ambasciata dell'Ecuador o in quella svedese a Londra, che, tecnicamente, è suolo svedese. I procuratori di Stoccolma, però, hanno rigettato qualsiasi possibilità di interrogarlo senza estradarlo.
Ed è all'estradizione in Svezia che Julian Assange si è opposto con ogni mezzo legale, convinto che sia solo il preludio per l'estradizione negli Stati Uniti, dove è in corso un'indagine del Grand Jury su WikiLeaks fin dal 2010, un'inchiesta coperta dal segreto e di cui non si ha alcuna notizia, a parte la conferma che è ancora in corso.
Dal 7 dicembre 2010, quando il fondatore di WikiLeaks è stato arrestato a Londra, dopo che i procuratori svedesi avevano emesso un red alert dell'Interpol che lo aveva reso un ricercato in tutto il mondo, la situazione appare senza via d'uscita. Il caso svedese è completamente fermo e le due donne sembrano scomparse dalla sfera pubblica. Né il procuratore svedese Marianne Nye, grande accusatrice di Assange, ha fatto un solo passo per prendere sul serio le preoccupazioni del fondatore di WikiLeaks sulla sua sicurezza personale e sul futuro della sua organizzazione, preoccupazioni che i file di Edward Snowden pubblicati dal nuovo giornale di Glenn Greenwald
The Intercept confermano. In un documento segreto del 2012, si rivela come il gemello inglese della Nsa, il Gchq, abbia usato i suoi sistemi di sorveglianza per monitorare segretamente i visitatori del sito di WikiLeaks. In un altro documento classificato che l'agenzia definisce “cronologia della caccia all'uomo”, c'è una nota datata agosto 2010 che recita testualmente: “Il 10 agosto, gli Stati Uniti hanno allertato altre nazioni che hanno contingenti militari in Afghanistan, inclusa l'Australia, il Regno Unito e la Germania, di considerare la possibilità di aprire un'inchiesta penale contro Julian Assange”. Greenwald riporta che nel documento si mette nel mirino non solo Assange e la sua organizzazione, ma anche “il network umano che supporta WikiLeaks”, che potrebbe potenzialmente includere – scrive il giornalista americano – migliaia di volontari, donatori, giornalisti, come anche persone che hanno semplicemente parlato in difesa di WikiLeaks. Interpellata da Greenwald, in occasione della pubblicazione di questi file, la Nsa ha dichiarato che si trattava di commenti semplicemente ripresi dai giornali, non di operazioni realmente condotte contro l'organizzazione.
Una cosa è certa: la caccia a Julian Assange e a WikiLeaks non è finita, perché l'organizzazione e il suo fondatore sono tutt'altro che finiti.
E quanto siano vivi e determinati l'hanno dimostrato un anno fa, esattamente il 23 giugno 2013, il giorno in cui la giornalista di WikiLeaks, Sarah Harrison, è salita su un aereo a Hong Kong portando in salvo l'uomo più braccato del pianeta: Edward Snowden. Con Assange confinato in una minuscola ambasciata e Chelsea Manning, la fonte di WikiLeaks, intrappolata in un prigione federale, condannata a scontare 35 anni di galera, per avere rivelato la verità sulle guerre in Afghanistan e in Iraq, WikiLeaks ha voluto assicurare la libertà almeno a Edward Snowden, che senza l'intervento dell'organizzazione di Assange sarebbe finito, nella migliore delle ipotesi, in una prigione federale per il resto della vita, nella peggiore, sarebbe sparito nel nulla, in qualche prigione segreta, dopo un rendition.
La descrizione più efficace di quello che è avvenuto in quell'occasione l'ha data lo scrittore americano Bruce Sterling: “ E' incredibile per me che, tra gli otto zilioni di gruppi della società civile presenti sul pianeta e che odiano e temono le agenzie di intelligence e le spie della polizia, nessuno sia stato in grado di offrire uno straccio di aiuto pratico a Snowden, ad eccezione di WikiLeaks”. Sì, proprio l'organizzazione di Julian Assange, arrestato, braccato, colpito da un embargo economico stragiudiziale senza precedenti, confinato in venti metri quadri, ma tutt'altro che pronto a mollare.