Carcere di Vista Hermosa, Venezuela. Le guardie 
se ne sono andate da tempo e controllano da fuori 
che nessuno scappi. Dentro invece c’è una repubblica autonoma della malavita: con le sue leggi e gerarchie (Foto di Sebastian Liste)

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Nella prigione venezualena di Vista Hermosa non esistono sbarre. Ci sono un campo da baseball, una piscina, una discoteca, un ring per la boxe e palestre varie. Mogli, figli e gli altri visitatori possono muoversi liberamente in aree comuni come la piazzetta per il ballo e la sala per le feste. C’è chi vende dvd, medicine e merendine. Alcune delle “tribù” del carcere vivono in quartieri separati, dove corrono meno il rischio di essere oggetto di attenzioni non gradite. Vale ad esempio per i cristiani evangelici, ma soprattutto per i gay.

Cos’è, un esperimento d’avanguardia? Una variante latina delle civili carceri dell’Europa del Nord? No, è soltanto la fotografia del caos che regna nelle 34 prigioni venezuelane, 27 delle quali sono per così dire in autogestione, sono cioè state lasciate nelle mani dei detenuti. La più grande è appunto Vista Hermosa, che in spagnolo vuol dire “Bella vista” e si trova a Ciudad Bolívar, nella parte centro-orientale del Paese. Costruita negli anni Cinquanta per ospitare 650 persone, ma ora ne accoglie più del triplo, circa duemila. Con il sovraffollamento, negli anni, sono aumentati gli scontri tra le guardie e i prigionieri, finché nel 2005 le autorità hanno preferito prendere atto della situazione in cui versava Vista Hermosa e abbandonarla ai prigionieri stessi. O, meglio, alla gang che la dominava all’interno.
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Fuori dalle mura del carcere la Guardia Nazionale venezuelana si limita a controllare che nessuno scappi. Ma dentro non ha più autorità, tutto è nelle mani della criminalità.
La condizione dei carcerati è migliorata o peggiorata, da allora? Difficile dirlo. Vista Hermosa avrà anche un campo da baseball e una discoteca, ma droga e violenza continuano a far parte della vita quotidiana. Più in generale, si è insomma passati dal potere arbitrario dello Stato a quello delle gang. Nella cittadella di Vista Hermosa vigono regole particolari, che in parte la rendono, a suo modo, un esperimento interessante. Ma per il resto è tutt’altro che un modello. Anzi.

I capi dei detenuti, ad esempio, hanno armi più potenti di quelle della Guardia Nazionale («Per proteggerci da loro», dicono) e sono quei fucili e quelle pistole a mantenere l’ordine nella prigione. Dentro, decine di tossicodipendenti, resi scheletrici dal crack, dormono su file di amache o in mezzo all’immondizia. C’è pure una prigione nella prigione, è un’area chiamata “La Guerrilla” in cui è rinchiuso chi ha violato il codice non scritto di Vista Hermosa ed è guardato a vista da altri detenuti, delle “guardie” carcerarie armate di revolver e fucili automatici.

Fino a pochi mesi fa il volto di Vista Hermosa era il suo storico “direttore” e leader. Ovvero Wilmito, al secolo Wilmer Brizuela, 32 anni, cresciuto nelle favelas, ex boxeur selezionato inizialmente anche per le Olimpiadi del 2004, che in quella prigione ha scontato parte della sua pena, che ammonta a 10 anni per il rapimento di un commerciante e 17 per l’omicidio della sorella di una giudice. Nel 2005, quando è cominciata l’autogestione, di Vista Hermosa Wilmito è diventato il “pran”, una parola che indica il capo dei prigionieri.

Era lui il boss, il padrino, con tanto di faccione dipinto su un murales. Era lui a stabilire le gerarchie interne, la scala sociale, a decidere che un detenuto non potesse parlare direttamente a uno di livello più alto, ma soprattutto che chi non fosse in grado di pagare la propria sopravvivenza dovesse chiedere aiuto ai più potenti, così ritrovandosi alla loro mercé. Pagare, sì. Perché questo è un piccolo Stato nello Stato, dove si pagano le tasse ogni settimana. Però non al presidente Nicolás Maduro, che dall’aprile del 2013 è subentrato a Hugo Chávez. Ma al pran, che occupa gli ex uffici amministrativi del carcere, dotati di televisori e aria condizionata, e da lì controlla la vendita dei liquori e dei sigari, il noleggio dei cellulari, le autorizzazioni per i “negozi” interni, ma soprattutto il traffico di armi e di droga. Il pran si gode il suo potere, perché sa che tutto finirà, che quando uscirà di prigione non sarà più nessuno.

Si ritiene che Vista Hermosa generi così profitti per 3 milioni di dollari, derivati da attività illegali varie, difficilmente immaginabili senza la complicità di funzionari corrotti che da fuori permettano ad esempio l’ingresso di droga e armi.

Era così potente, Wilmito, da poter organizzare in carcere una mega festa per i quindici anni di sua figlia, la cosiddetta “quinceañera”, un evento che in America Latina segna il passaggio delle ragazze all’età adulta ed è particolarmente sentito. Poi? Cos’è successo?

È successo che nel marzo del 2014 è scoppiata una sommossa, in seguito alla quale 50 detenuti sono stati trasferiti altrove. Tra questi, anche Wilmer, che è stato condotto nel carcere di Tocuyito, nello Stato di Carabobo. Qui, in agosto, ha rilasciato un’intervista in cui si è detto “non rattristato” dell’omicidio di Luidig Ochoa, fidanzato di una delle showgirl più note del Paese ma soprattutto ex detenuto che ha creato delle serie animate sulla vita nelle carceri e i privilegi dei “pran”. «Chi fa il bene ha il bene, chi fa il male riceve il male», ha sentenziato Wilmer nel suo nuovo ruolo di opinion leader: «Nelle carceri abbiamo un codice, una morale che stabilisce cosa si può raccontare al Paese o al governo. Lo que pasa en la cárcel se queda en la cárcel (“Ciò che succede in carcere rimane nel carcere”)».

L’opinione di Wilmito era che nella sua Vista Hermosa si vivesse meglio che nelle prigioni venezuelane gestite dallo Stato, che sono duramente criticate dalle organizzazioni per i diritti umani, a causa del sovraffollamento, della povertà e della corruzione. Nel 2012, in effetti, 591 detenuti sono stati assassinati nel Paese, e secondo l’ong Observatorio Venezolano de Prisiones il numero è sceso a 506 nel 2013, portando a 5.667 il numero totale delle vittime dal 1999, anno in cui Chávez prese il potere. Nel primo semestre dell’anno scorso le vittime registrate sono state invece 150, mentre i feriti 110. Sono gli ultimi dati disponibili. Le armi nelle prigioni sono così diffuse che il ministro per il Servizio Penitenziario Iris Varela ha proposto al presidente Maduro la creazione di un museo in cui vengano esposte tutte quelle sequestrate negli ultimi due anni. Secondo Humberto Prado, direttore dell’Osservatorio delle Prigioni, «la vita in carcere è dura in tutto il mondo, ma in Venezuela può rappresentare una condanna a morte».

Così c’è chi vede Vista Hermosa un po’ come lo specchio del Paese, un microcosmo del Venezuela: feste, famiglia, ma anche violenza e disperazione. Se è vero quel detto secondo cui un Paese si giudica dalle sue prigioni, allora se ne dovrebbe desumere che il volto profondo del Venezuela è il caos. E forse - in mezzo a una crisi economica devastante, a una corruzione endemica e alla povertà crescente - la metafora non è così lontana dal vero.