Mondo
maggio, 2015

Brasile, un gigante ko

Proteste a Rio de Janeiro
Proteste a Rio de Janeiro

Lo scandalo Petrobras che travolge il partito di Lula e della presidente Dilma Rousseff. L’economia che arranca. Il “Paese del futuro” sembra tornare al suo passato di sofferenza. Con le favelas che rischiano di esplodere

Proteste a Rio de Janeiro
Un’enorme bandiera verde-oro sventola di fronte al Palácio do Planalto di Brasilia, il palazzo presidenziale costruito dall’architetto Oscar Niemeyer. In mezzo al vessillo il motto “Ordem e Progresso” (Ordine e Progresso), nelle ultime settimane diventato l’antitesi della situazione politico-economica del Brasile.

Di progresso ce n’è poco, le stime di crescita 2015 sono negative, e di ordine ancora meno, sia nelle stanze del potere, che per le strade del Paese, dove milioni di persone manifestano a ripetizione, senza una guida politica, contro il Partito del lavoratori (PT) e la presidenta Dilma Rousseff, chiedendone le dimissioni. Criticano l’aumento delle tasse, l’inflazione all’8 per cento, la malasanità, ma soprattutto l’accusano di essere stata al corrente dello schema di tangenti tra i vertici della Petrobras, la compagnia petrolifera statale, le aziende brasiliane addette ai lavori pubblici e i principali partiti politici del Paese, tra cui il PT.

Secondo le indagini della Polizia Federale, i dirigenti della Petrobras affidavano gli appalti per la costruzione delle infrastrutture per l’estrazione del petrolio sempre alle stesse ditte, che gonfiavano i contratti per circa il 3 per cento del valore, dando, poi, il denaro a faccendieri, lobbisti e politici, che favorivano a loro volta la nomina dei vertici della compagnia petrolifera.

Dilma Rousseff
Attraverso questo schema, sotto la regia del tesoriere del Partito dei lavoratori, arrestato alcune settimane fa, tra il 2003 e il 2013 sarebbero entrati nelle casse del partito della Rousseff e dell’ex presidente Lula da Silva, al momento estranei alle indagini, circa 200 milioni di dollari. Il capo di Stato continua a negare la conoscenza dei fatti e rifiuta la teoria che, parte di quei soldi, sia stata utilizzata per finanziare le campagne elettorali del partito. Elemento che porterebbe all’impeachment, voluto dai manifestanti, alcuni dei quali, a 30 anni dalla fine della dittatura, hanno mostrato cartelli inneggianti ad un golpe militare. Proteste rumorose, ma prive di una vera proposta politica. Resta alla finestra, invece, l’opposizione di destra, ancora stordita dalla sconfitta di misura nell’ultima tornata elettorale e in parte alla ricerca di come capitalizzare le proteste di piazza.

La diffidenza della popolazione si basa sul fatto che, la presidenta, al momento dei fatti contestati dall’inchiesta, è stata a capo del Consiglio di Amministrazione della Petrobras e, in sequenza, Ministro dell’Energia e Premier del primo governo Lula, nonché amica e sponsor numero uno della dimissionaria presidente della compagnia petrolifera statale. Come poteva non sapere si chiede l’opinione pubblica? Nell’inchiesta (Operazione Lava Jato), che ha già portato alla condanna a 7 anni dell’ex direttore della Petrobras per lavaggio di denaro, oltre a 34 parlamentari (22 deputati e 12 senatori), sono coinvolti anche i presidenti di Camera e Senato, entrambi del Partito del movimento democratico brasiliano (Pmdb), il principale alleato di governo del PT. Ma nonostante le indagini, la formazione centrista, priva di un’ideologia marcante, oltre a controllare il Congresso, è passata a dettare l’agenda politica brasiliana, soprattutto dopo la decisione della Rousseff di nominare Michel Temer (presidente del Pmdb) vice-presidente del Paese, trasformando il PT da partito di governo a partito accessorio.

Un passo indietro pur di salvare il mandato, atto difficile da digerire per un’accentratrice come la Rousseff, deciso dopo la lettura dei sondaggi che la vedono con una popolarità al 12 per cento, il peggior risultato per un presidente dalla fine della dittatura nell’84, avallato anche dal mentore politico ed ex-presidente Lula.

«UNA DECISIONE LOGICA», COMMENTA con “l’Espresso” Anthony Pereira, direttore del Brazil Institute del King’s College di Londra, «che, però, rappresenta un chiaro segnale di debolezza». «Lasciare il potere nelle mani di un non partito (Pmdb) composto da soggetti che pensano solo ai propri interessi significa marciare verso il caos», afferma Mino Carta, direttore del settimanale “Carta Capital” e profondo conoscitore della parabola politica del Partito dei lavoratori. Passati i cento giorni dall’inizio del suo secondo mandato presidenziale, il potere politico della Rousseff e del PT, già appannato durante il primo mandato per la scarsa crescita economica (0,1 per cento nel 2014) e le manifestazioni contro le spese per la Coppa del Mondo di calcio, sembra essersi disintegrato. L’immagine quasi divinizzata dell’ex presidente Lula è in caduta libera, a seguito di una dura campagna mediatica contro il suo operato e un procedimento preliminare aperto dal Ministero Pubblico Federale, secondo cui Lula avrebbe favorito la ditta Odebrecht a vincere appalti in Brasile e all’estero. In cambio, l’azienda, dal 2011 al 2014 avrebbe pagato tutte le spese di viaggio dell’ex-presidente per le attività della sua fondazione. Tesi pubblicata in un articolo della rivista conservatrice “Época” e prontamente smentita dalla sua Fondazione. Un duro colpo per il piano non troppo segreto di una sua possibile ricandidatura alle presidenziali del 2018.

Mondo
A San Paolo del Brasile manca l'acqua
26/5/2015
Anche i movimenti sociali, i giovani e la classe povera, la base del Partito dei lavoratori, sembrano avergli voltato le spalle, forse dimenticandosi troppo in fretta degli enormi passi avanti fatti dal Brasile durante i 12 anni di gestione PT. A cominciare dalle 40 milioni di famiglie uscite dalla soglia di estrema povertà grazie ai contributi sociali come Bolsa Familia (circa 100 euro al mese), all’aumento del salario minimo da 200 a 788 reais (240 euro circa) e un tasso di disoccupazione sceso dal 12,2 del 2002 all’attuale 7,4 per cento. «Dal 1980 al 2002 il PT ha dimostrato di essere un vero partito», afferma ancora Mino Carta, «ma una volta al potere si è comportato come gli altri». «La Rousseff non è mai stata nel Congresso e quest’esperienza le è mancata nella contrattazione politica quotidiana, inoltre ha delegato alle persone sbagliate», sostiene Pedro Ribeiro, professore di scienze politiche all’Università Federale São Carlos di San Paolo. «La grande sfida del PT adesso sarà coordinare le politiche sociali con una gestione economica più liberale del Pmdb». Impresa ardua già dalle prime battute con l’approvazione da parte del partito di centro di una proposta di legge che darebbe il via libera alle aziende di esternalizzare alcuni servizi, riducendo, secondo i sindacati, le tutele per i lavoratori. Un altro campanello d’allarme per la fragile situazione economica che il Brasile sta affrontando.

Brasile
Non basta un’Olimpiade per salvare il Brasile
26/5/2015
Gli investimenti sono fermi, gli anni del boom delle commodities, a cui il Paese è fortemente legato, sono lontani, la moneta locale (real) ha fatto registrare la peggiore performance tra i membri del G20 svalutandosi nei confronti del dollaro. Indicatori negativi a cui si aggiunge il ritorno della “vecchia signora”, come viene chiamata l’inflazione dagli economisti brasiliani. Siamo lontani dagli anni ’80-’90 dell’iperinflazione che costrinsero al plano real, tuttavia la soglia dell’8 per cento sta erodendo il potere d’acquisto delle famiglie e ha costretto la Banca Centrale ad alzare i tassi d’interesse.

IN QUESTO SCENARIO, prima la caduta del prezzo del greggio e, poi, lo scandalo corruzione della Petrobras hanno dato altri due colpi da ko all’economia del Paese. Dalla lettura del bilancio 2014, rilasciato solo poche settimane fa, lo scandalo di tangenti avrebbe prodotto perdite per 2 miliardi di euro. Numeri che hanno costretto il nuovo board dell’azienda a programmare un piano di disinvestimento da 13,7 miliardi di dollari e conseguente perdita di posti di lavoro. Tremila solo nella città di Macaè, la capitale del greggio brasiliano vicino a Rio de Janeiro, altre migliaia se si considera l’indotto. Per salvare il Paese dalla speculazione finanziaria sui mercati e per cercare di placare le agenzie di rating, Fitch ha rivisto al negativo 24 aziende, la Rousseff ha deciso di nominare Joaquim Levy ministro dell’Economia. Scuola di Chicago, apprezzato dagli Stati Uniti e dal Fondo Monetario Internazionale è l’asso nella manica del governo PT, che per cercare di risollevare le sorti del Paese, deve fare buon viso a cattivo gioco. In molti, infatti, storcono il naso per le sue decisioni considerate di destra e neo-liberiste. A cominciare dalle prime due grandi riforme che cercherà di far approvare il prima possibile. Ossia i tagli alla spesa pubblica e la riforma fiscale, cercando di attirare investitori stranieri e semplificare la burocrazia.

«I mercati si fidano di Levy, se aumenteranno gli accordi di libero commercio e la moneta rimarrà debole ci saranno buone opportunità», afferma Vivienne Taberer, fund manager di Investec AM. «Il Brasile è un manicomio tributario», secondo Paulo Rabello De Castro, economista e fondatore del Movimento Brasil Eficiente, «è un grande peso sui contribuenti, ma i servizi sono da terzo mondo, serve una rivoluzione nell’efficienza». «La partecipazione dello Stato nell’economia è eccessiva, spende più di quanto dovrebbe», sostiene Carlos Pio, economista dell’Università di Brasilia. Se il Paese riuscirà a mettere in pratica queste misure, grazie a un debito pubblico in crescita (63,4 per cento del Pil), ma ancora sotto controllo e al di sotto di Paesi considerati più stabili (vedi Italia) e 370 miliardi di dollari in riserve, difficilmente si verificheranno scenari apocalittici stile Argentina o Venezuela. In aggiunta non farebbe male una buona dose di etica pubblica, dato che le ultime stime parlano di un’evasione fiscale che ha toccato quota 490 miliardi di reais (150 miliardi di euro), oltre ad un trilione di reais (3mila miliardi di euro) depositato nei vari paradisi fiscali.

DOVEVANO ESSERE gli anni della consacrazione del “Paese del futuro”, suggellati da due grandi eventi come il Mondiale di calcio (2014) e le Olimpiadi di Rio (2016) e, invece, il Brasile, dopo anni di crescita che l’hanno portato ad essere la settima potenza economica al mondo, sembra tornare al suo passato di sofferenza.

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