I Curdi paladini delle minoranze oppresse

Donne curde festeggiano i risultati delle elezioni in Turchia
Donne curde festeggiano i risultati delle elezioni in Turchia

I curdi turchi hanno rovesciato il paradigma identitario che ha accompagnato la storia del Ventesimo secolo. Il loro partito si è fatto carico delle istanze di tutti coloro che da oppressi lottano contro lo stato esistente delle cose: gay, donne, ecologisti, armeni

Donne curde festeggiano i risultati delle elezioni in Turchia
Saranno i curdi a salvare quello che chiamiamo l'Occidente dalla barbarie? L'ipotesi, anzi la domanda, cui è difficile dare una risposta negativa, è stata posta a Firenze, nelle serata d'apertura del Festival del Viaggio, organizzato a sua volta dalla Società dei Viaggiatori. Il pretesto, anzi, il dispositivo di narrazione (come si suol dire) è stato il filmato di Lucia Goracci, inviata di RaiNews24, in cui si racconta la battaglia di Kobane. In quella città, nel territorio siriano, al confine con la Turchia, dopo cinque mesi di durissimi scontri e di assedio da parte dell'Isis, i combattenti curdi, uomini e donne, hanno respinto e sconfitto le forze del califfato.

L'appello
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29/10/2014
Goracci fa vedere i ragazzi e le ragazze curdi, con le armi in mano. In un momento in cui si dibatte (in America e in Europa) se mandare nel Medioriente soldati capaci di “mettere gli scarponi in terra”, se spedire cioè truppe di fanteria in Siria e Iraq, colpisce vedere, nel filmato le scarpe che calzano i combattenti, femmine e maschi, curdi. Sono scarpe da tennis. Quei ragazzi e quelle ragazze non sono soldati di mestiere; sono studenti, lavoratori, artigiani, disoccupati. Sono nostri figli e nostre figlie: parlano e si comportano come nostri padri partigiani. C'è molta serenità nei loro sguardi e nelle loro gesta, eppure ogni giorno rischiano e hanno rischiato di morire (e non deve nemmeno essere facile uccidere un altro essere umano, seppur nemico). Sono attaccati alla vita, i protagonisti e le protagoniste del filmato. Oltre a combattere (anche per la nostra libertà), si occupano dell'istruzione dei figli. Goracci ci conduce in una scuola nei sotterranei della città assediata.

I curdi hanno vinto a Kobane e hanno dimostrato che l'Isis può essere sconfitto. Ma i curdi ci stanno salvando anche in Turchia. Il loro partito l'Hdp guidato da Salahattin Demirtas, è riuscito a sbarrare la strada verso il potere assoluto al presidente Erdogan, autoritario e fondamentalista.

Alla serata fiorentina (presente anche uno studioso del Mediterraneo Gianluca Solera) si è ragionato attorno all'ipotesi che l'Hdp rappresenti qualcosa di nuovo su scala planetaria: un modello innovativo di lotta per l'emancipazione. La storia è questa: fino a oggi eravamo abituati a movimenti e partiti di liberazione nazionale, di stampo identitario, etnocentrico, con un'idea fissa: dare la forma dello Stato alla propria appartenenza etnica, con il conseguente corollario di “pulizia” di coloro che dell'etnia liberata non fanno parte.

I curdi turchi hanno rovesciato questo paradigma che ha accompagnato la storia del Ventesimo secolo. Il loro partito si è fatto carico delle istanze di tutti coloro che da oppressi lottano contro lo stato esistente delle cose. Allontanata alle calende greche la questione dell'indipendenza nazionale i curdi questo hanno fatto: hanno deciso di assumersi la rappresentanza delle femministe, dei ragazzi di Gezi Park (qualcuno se li ricorda ancora?), dei gay, degli ecologisti, perfino degli armeni e delle altre minoranze. E' una vera rivoluzione: una via d'uscita dal vicolo cieco in cui l'ossessione identitaria ha portato una gran parte del mondo, ma anche un'indicazione ad altri movimenti di liberazione nazionale di come procedere, allargando appunto le alleanze e soprattutto assumendo valori umanistici e universali. Qualcosa di simile hanno tentato di fare i palestinesi israeliani, durante le ultime elezioni politiche con la loro Lista Unita. Sono diventati il terzo partito del Parlamento, ma il successo è stato molto parziale. La presenza dei fondamentalisti nelle loro file ha finito per allontanare molti ebrei israeliani, soprattutto donne, potenziali loro elettori. Ma questo è un altro discorso.

Intanto: prendiamo atto. La storia è sempre più immaginifica della nostra immaginazione. Nessuno, fin a pochi mesi fa poteva pensare che la nostra salvezza potesse venire dai curdi. Forse perché nessuno pensava che i curdi ci assomigliano. Anzi i curdi siamo noi.

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