Marzio Babille: "Vi racconto com'è la vita sotto l'Is"
I massacri. Gli stupri. La legge islamica. Ma anche la solidarietà sociale. Un medico italiano, testimone d’eccezione, spiega come funziona il Califfato. ?E avverte: “Attenti a non sottovalutare la capacità politica islamista”
Edifici e veicoli in fiamme, le urla dei feriti. E poi con i liberatori arrivava lui, Marzio Babille. Quando in Iraq nell’ultimo anno una città veniva ripresa allo Stato Islamico, c’era spesso un italiano in prima linea. Armato di telefono e radiolina, e con dietro un convoglio di 35 tonnellate di pane, acqua, legumi, kit igienici e anche assorbenti femminili.
Si chiama Marzio Babille, è un medico triestino, ha 60 anni e due baffi dai tempi dell’università. Dal gennaio del 2012 al marzo scorso è stato il rappresentante dell’Unicef in Iraq, un incarico che, attraverso i racconti delle centinaia di migliaia di profughi con cui è entrato in contatto, lo rende un testimone privilegiato di come si comporta l’Isis nei posti che ha occupato. Dopo Palestina, Sud Sudan, India, Chad e Libia, nel 2013 Babille ha guidato in Kurdistan la risposta di emergenza per l’arrivo di 250mila siriani. Nel 2014 ha prima coordinato l’assistenza umanitaria nella provincia di Al Anbar, e poi, con il ruolo speciale di coordinatore umanitario delle Nazioni Unite, ha gestito l’arrivo di un milione e mezzo di profughi provocati dall’offensiva dell’Is a Mosul, Sinjar e Tikrit.
C’era Babille ad agosto 2014, a Talkief ed Alqosh, a 9 chilometri da Mosul, ad assistere insieme all’arcivescovo Nona le prime migliaia di cristiani sfollati da Mosul. C’era a settembre, quando veniva liberata la città turcomanna di Amerli, assediata per 83 giorni dall’Is che aveva provato a farla morire di sete e di fame, come succedeva nell’antichità. Ogni volta ha coordinato un piccolo team composto da un professionista sanitario, un responsabile della protezione infantile e un ingegnere che valutava i danni infrastrutturali.
Figlio di un impiegato e una casalinga, separato con una figlia, e adesso ancora in Iraq per vari progetti ma non più dipendente delle Nazioni Unite, Babille risponde via Skype, tra un’interruzione e l’altra dell’elettricità, dai 40 gradi di Erbil, nel Kurdistan iracheno. Divide in tre la popolazione delle aree occupate dall’Is: chi sostiene il califfo per motivi ideologici, o perché ha rappresentato la riscossa sunnita e baathista o perché ha introdotto la sharia; chi si è adeguato sotto la minaccia di chiusura delle proprie attività; chi si prepara a provocare, al momento opportuno, la sollevazione.
Ci sono settori pubblici, come la scuola o la sanità, in cui molti professionisti sono rimasti al loro posto, la vecchia burocrazia è ancora in piedi: «Alcuni sono stati reclutati con il miraggio di una società nuova, transnazionale e rivoluzionaria. Altri non sono militanti, sono iracheni che fanno con dignità il loro compito». I settori invece in cui è stato più massiccio il “turnover” (per così dire) sono quelli dove servono militanti fidati, ovvero quello militare e la polizia, anche se «ai checkpoint recentemente si incontrano anche tredicenni».
Ma quali sono gli aspetti dell’amministrazione del califfo che contribuiscono a creargli consenso? Risponde Babille: «Con il denaro, che proviene dagli assalti alle banche, dalla vendita illegale del petrolio e dai pedaggi per i transiti commerciali, riescono a pagare gli stipendi pubblici. La solidarietà sociale della “zakat” è applicata bene. Sono riusciti a tenere bassi i prezzi del pane e della benzina. Infine nelle città il sistema sanitario, pur seriamente e pericolosamente compromesso, va avanti, grazie al personale precettato».
E a questo proposito, il medico racconta un episodio significativo: «Nell’inverno del 2014 sono stati scoperti a Baghdad due bambini con la poliomielite. Unicef e Organizzazione mondiale della sanità si sono impegnati subito in una serie di campagne di vaccinazione. L’Is non si è opposto, come già era successo in Siria e a differenza di quanto capiti con i talebani in Afghanistan e in varie zone del Pakistan e del Nord Nigeria. È stata l’unica volta che abbiamo avuto a che fare, indirettamente, con l’Is. Altre forme di “collaborazioni” non possiamo averne, non possiamo né vogliamo “legittimarli”».
E come funzionano i tribunali? «Sono presieduti da un giudice civile e da un imam, si ricorre come noto al taglio della mano, alle frustate e alle esecuzioni pubbliche». La propaganda usa anche cartelloni stradali in cui si ricordano quali siano i comportamenti e gli abbigliamenti consentiti (solo niqab totale per le donne), che fumo e alcol sono proibiti, che la preghiera è obbligatoria 5 volte al giorno: «Ci sono stati episodi di iracheni interrogati e uccisi quando impreparati sui vari tipi e sulle formule di preghiera, ed è un modo anche per “scovare” gli sciiti, che hanno abitudini diverse, considerate blasfeme».
Babille non ha invece notizia di un sistema di lavori pubblici («Se ci fossero, la loro propaganda lo griderebbe ai quattro venti»). Gli risulta che gli sport siano malvisti («In alcuni episodi, decine di giovani sono stati arrestati mentre giocavano a pallavolo») e che all’università non si studi più né storia né gran parte delle materie scientifiche, ambito nel quale le donne sono incoraggiate a studiare solo ginecologia, e così «la popolazione universitaria è calata del 70 per cento».
La qualità della vita è crollata: «La ferocia è usata come deterrente come nel nazismo. I racconti degli sfollati e i documenti in possesso delle Nazioni Unite narrano di atrocità e violenze gravi, di stupri, di schiave del sesso che fino al giorno prima non sapevano neanche cosa fosse il sesso, di genitori che per salvare i figli più piccoli sono costretti a lasciare indietro quelli più grandi, che spesso hanno 5 anni. Le minoranze non esistono, sono state tutte cacciate o sterminate, compresi gli sciiti».
Ed è difficile capire chi stia vincendo sul campo. «È una situazione in continuo movimento, un labirinto di microconflitti, avanzate e ritirate». Ci sono villaggi governati dallo Stato Islamico, magari conquistati senza armi, solo con la forza della persuasione o del denaro; altri invece da loro solo controllati, anche in modo così blando che l’Unicef e le altre agenzie Onu possono perfino arrivare a portare acqua e cibo ai civili, in centri invisibili di stoccaggio dei materiali, senza cartelli, e attraverso sistemi complessi di doppi autisti e doppie targhe dei convogli.
Poi c’è il ruolo dell’Occidente. «I bombardamenti della coalizione hanno portato progressi decisivi, hanno fornito a molte schiave opportunità di fuga e sono stati devastanti per il califfo. Ma per l’assistenza umanitaria servono urgentemente fondi e impegno politico. C’è un detto che dice “If you don’t visit Middle East, Middle East will visit you”. Tantissimi sfollati che incontro ogni giorno appartengono alla classe media. Sono architetti, insegnanti, professionisti, qualche musicista, una “lost generation” che anche domani non potrà che cercare speranza in Europa. Alla fine però l’Is non vincerà. Perché non riconosce l’altro da sé, perché cerca la morte, celebra la violenza, e mente su tutto».
Gli chiediamo se l’organizzazione dello Stato Islamico venga sottovalutata o sopravvalutata dai media occidentali, che nei loro racconti oscillano tra il folklore ridicolizzante e i titoli esorbitanti. Babille ci pensa su: «La galassia di gruppi dell’Is ha saputo organizzarsi in una struttura semplice, verticale, compartimentata. Però efficace.
Non reclutano solo “tagliagole”, ma anche amministratori. Tuttavia si può parlare di una vera struttura di governo temporaneo solo nelle aree urbane. Poi il consenso, sì, ci sarà pure, ma ricordiamoci che una città come Mosul è passata da 2,4 a 1,1 milioni di abitanti, quindi metà popolazione è fuggita. Hanno uno straordinario “ufficio stampa”, ma se aprono un asilo per orfani definirlo “il welfare dell’Is” è una sciocchezza».
Eppure... «Eppure la loro capacità politica, più che amministrativa, è enormemente sottovalutata. Se nessuno presterà rapida attenzione a Derna e Bengasi, aree della Libia storicamente legate a un Islam tradizionale, allora un radicamento dell’Is sarà veloce anche lì».