Il futuro genera angoscia. E allora si guarda  al passato. Con le sue durezze, ma anche  le sue certezze. E si dimentica troppo facilmente  il rischio di replicare gli orrori di ieri

Quando viene a mancare il futuro, quando l’avvenire stenta a far breccia nella nostra immaginazione (se non sotto forma di angoscia), quando perfino il mito del progresso si sbriciola, cosa ci rimane per poter vivere con qualche speranza? La risposta è semplice: ci rimane la nostalgia trasformata in utopia retrograda; un desiderio di tornare ai tempi e modi di esistenza che abbiamo sperimentato, conosciuto e che ci sembrano rassicuranti: perché eravamo giovani e perché tutto sommato abbiamo vissuto bene. Quanto sopra è una delle possibili ragioni della (non troppo) sorprendente popolarità di cui gode Vladimir Putin in questo vecchio e stanco Continente.
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Certo c’è chi, a sinistra e a destra, adora il presidente russo per via dei valori che rappresenta (ci torneremo). Ma pensando ai buoni borghesi, gente mite che versa una lacrima quando vede la foto del cadavere di un bambino migrante sulla spiaggia di Bodrum, che si commuove ascoltando parlare il dottor Bartolo in “Fuocoammare” (opera artistica sublime nella sua mai ostentata brutalità), e che poi tra sé e gli amici spiega che Putin tutto sommato fa bene a ripristinare l’ordine e la dignità della Russia e che la distruzione di Aleppo è un prezzo sopportabile per assicurare la nostra tranquillità, ecco ad ascoltare gente così, viene in mente, che in realtà l’esaltazione dello zar è causata dalla voglia di ricostruire il Muro di Berlino.
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Si stava bene allora. Il mondo era chiaro e intellegibile. Di qua il benessere, la democrazia, la libertà (in Italia con qualche strage di Stato, ma in compenso le pensioni erano sicure e baby); di là certo un po’ di povertà (dignitosa), ma anche un ordine ferreo; profughi, pochi e casomai intellettuali, e possibilità di viaggi a prezzi stracciati in Paesi con costumi sessuali rilassati e pieni di donne desiderose di allacciare rapporti intimi con maschi occidentali; senza capricci né troppe pretese (bastava un paio di collant). Ecco, molti, oggi inconsciamente sperano che Putin sarà così forte e bravo da riprendersi i Paesi baltici e la Polonia e tutto il gruppo di Visegrad che «troppo presto è stato integrato in Europa». C’è da dire pure che le politiche dei governi del gruppo di Visegrad, quella prospettiva la stanno rendendo reale.

Perché, esiste anche il piano di valori. Putin, dalle destre xenofobe, comprese quelle di Visegrad, è giustamente visto come il difensore di quelli “tradizionali”: nazionalismo, diffidenza nei confronti degli stranieri; maschilismo.
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Per una fetta consistente della sinistra invece, l’uomo del Cremlino è il campione dell’antimperialismo. Il suo linguaggio viene letto come la sfida all’Occidente, senza alcuna altra considerazione. O se vogliamo, anche ai tempi gloriosi, nell’innamoramento per l’allora Urss c’era spesso a sinistra più apprezzamento e nostalgia per il vecchio ordine zarista che non fascino futuristico del comunismo; e basti pensare alla figura di Stalin, padre severo dei popoli, più che rivoluzionario sovversivo.

L’altro giorno in Russia veniva celebrato il compleanno del presidente; e nei siti che in Occidente inneggiano a lui si decantava il successo straordinario del raccolto di grano e si riportava quanto Putin si fosse congratulato con i valorosi contadini. Nella modernità liquida, ciascuno è libero di costruirsi il passato e l’utopia che vuole. Ma, ogni tanto ricordiamoci che i bambini ad Aleppo muoiono davvero e che Putin possiede un arsenale nucleare, non solo per presentarlo nelle parate militari dove i vessilli dello zar sono esibiti assieme alla Stella Rossa.

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