Lo Stato conferma il suo ruolo fondamentale per le presidenziali. Nel momento in cui questo battleground state è stato assegnato, il futuro degli Usa si è tinto di rosso. A renderlo ancora più determinante, un’esponenziale crescita dell’elettorato latino-americano, aumentato del 50%

Nelle ultime ventiquattr’ore la Florida non ha fatto che confermare il suo ruolo storicamente fondamentale per le presidenziali americane. Nel momento in cui questo battleground state è stato assegnato, il futuro degli Stati Uniti (e del resto del mondo) si è tinto di rosso. A rendere “lo stato del sole” ancora più determinante è stata un’esponenziale crescita dell’elettorato latino, aumentato del 50%. Basta pensare che, durante le due settimane dedicate all’Early Voting, il numero dei latino-americani recatisi ai seggi è stato pari a quello registrato in totale durante le elezioni del 2012.
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Ci troviamo nella contea di Palm Beach e alle nove del mattino le persone sono in fila già da un’ora. Viktorja discute con Amy, subito dietro di lei: “Non mi piace nessuno dei due – racconta – e vorrei avere delle opzioni diverse, ma preferisco un candidato che non cambierà le cose rispetto ad uno che le renderà decisamente peggiori. Per questo voterò Hillary”. Non mancano i supporter dei due partiti che, armati di cartelli, cercano di fermare chiunque passi nel loro raggio d’azione. “Difficile dire chi vincerà, il distacco è davvero minimo – aggiunge Amy – e sono molto preoccupata per come reagiranno le persone. Non dico che si arriverà alla guerra civile come dicono – continua – ma sono sicura che, se vince la Clinton, ci saranno proteste e rivolte”.
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Nel primo pomeriggio ci spostiamo più a sud, in un seggio della periferia di Miami, dove sotto ad un gazebo abitato da una gigantografia di Donal Trump si balla la salsa. Juan, membro del gruppo Hispanas for Trump, non fa che postare video sul suo profilo Facebook: “Venite a votare, venite a prendere un cartello per il vostro giardino – grida sorridendo alla telecamera – assicuratevi che tutti i supporter di Trump di vostra conoscenza stiano andando a votare!”. Tra le ballerine trumpiane c’è Rose, che racconta di non aver sentito dire da nessuno di esser lì per votare Hillary mentre era in fila, e c’è Martie, che spera che le sue preghiere vengano ascoltate perché “Mr. Trump è l’unico che può salvare questa nazione”.

Verso le venti decidiamo di seguire i supporter repubblicani, che si spostano ad un ristorante cubano dove è previsto un party con tanto di maxi-schermi per seguire i risultati in tempo reale. Dopo la prima mezz’ora di diretta, la Florida è già divisa a metà tra Donald Trump e Hillary Clinton, e scatta il primo di moltissimi applausi seguito immediatamente dall’inno americano, cantato a cappella da un buon centinaio di persone.
Nel frattempo le ragazze conosciute stamattina, democratiche convinte ma non troppo, si sono riunite sul divano di una comune amica e ci mandano via Whatsapp i loro commenti sempre più scoraggiati: “Sembra di essere nel film Idiocracy – scrive Amy – degli idioti stanno eleggendo il re degli idioti”.

Alle ventitré e trenta Donald Trump vince ufficialmente anche la Florida, dopo aver conquistato Ohio e North Carolina, e al locale di Miami il gruppo dei latinos per Trump intona “God bless America”, stavolta anche con una lead singer e un microfono.

“Stanno crollando anche i mercati – recita un Whatsapp di Amy – e qui noi abbiamo aperto il whiskey”.
A mezzanotte e mezza, qui al party pro-Trump, siamo ormai travolti dai balli caraibici. La CNN è diventata uno sfondo silenzioso e sono arrivate le telecamere per riprendere un carnevale di supporter festanti. Non c’è nessuno qui che non sia armato di cartello, bandiera o cappello rosso con su scritto “Make America Great Again”.
Saranno stati proprio i latini a far vincere Trump, o i soliti bianchi conservatori?