
Per questo motivo andrebbe innanzitutto reintrodotta la figura del poliziotto di quartiere. Una persona che di uno spicchio di città conosca volti e movimenti. Che chiacchieri con le ragazze e giochi a calcio con i ragazzi, con buona pace di Nicolas Sarkozy (che ne motivò l’abolizione dicendo «I poliziotti non giocano a calcio!»). E poi occorre assolutamente incoraggiare l’espressione e la manifestazione dell’Islam spirituale nei luoghi pubblici:«Basta con questo ateismo a tutti i costi che finisce per rendere l’Islam una religione maledetta con tutto il fascino che qualsiasi maledizione si porta dietro».
A parlare con “l’Espresso” è Olivier Roy, autore di saggi e libri sulla secolarizzazione dell’Islam (tra cui“Il fallimento dell’Islam politico”) e professore a Firenze presso l’Istituto universitario europeo. Non ci sono certezze ancora. Ma Roy non è meravigliato del fatto che il network responsabile degli attentati di Bruxelles possa essere lo stesso che aveva colpito a Parigi lo scorso novembre.
Secondo gli inquirenti belgi Salah Abdelslam faceva parte del gruppo che aveva pianificato ulteriori attacchi in Belgio. «Certamente il Belgio ha un problema di conflittualità dei poteri e di divisione amministrativo-burocratica interna che impedisce una seria collaborazione di tutti i livelli della polizia e della giustizia», continua Roy: «Ma non possiamo fare differenze tra quanto accade in Francia e in Belgio perché tutta quest’area francofona è a rischio attentati per mano di un gruppo molto unito di giovani di origine magrebina. Si tratta di una situazione diversa da quella che vivono altri Paesi europei come la Germania, dove gli immigrati musulmani sono soprattutto di origine turca».
Tra i musulmani dell’area francofona la “de-culturizzazione” è molto più spinta che altrove: «I genitori, immigrati di prima generazione desiderosi di integrarsi nella società di arrivo, non hanno trasmesso ai figli né i valori moderati dell’Islam né tantomeno la conoscenza della lingua di origine». Così i magrebini di seconda generazione sono cresciuti senza radici, allo sbando. E l’identità finiscono per trovarla in quella forma di Islam salafita che sta rovinando le seconde e terze generazioni di immigrati in Europa.
«Inutile cercare le ragioni di questa violenza nelle condizioni sociali o economiche degli attentatori, ce ne sono alcuni che arrivano anche dalla piccola borghesia. Il problema è invece la distanza tra come loro si vedono e si considerano e come li rappresenta la società in cui vivono». L’enorme divario tra questi due immaginari genera immensa frustrazione. «Si sentono traditi dal Paese che li ha accolti e per cui finiscono per non sentire più alcun legame». La frustrazione elabora progetti di vendetta, anche estremi. «Meglio la morte del carcere». Purché anche “gli altri” paghino.
La violenza è pensata e meditata nell’ambito di un clan. Mai da soli. Si tratta di un gruppo molto legato composto da fratelli, cugini, amici cari, complici di vita e di morte. Una nuova famiglia di approdo che accoglie chi non si è mai sentito accolto. Sono fratelli, Khalid e Brahim e-Bakraoiu, i kamikaze dell’aeroporto di Bruxelles. Con il fratello Brahim, Salah Abdelsalaam, era andato a compiere la strage del Bataclan. Fratelli erano anche Chérif e Said Kouachi, i terroristi di Charlie Hebdo, entrambi amici di Amedy Coulibaly, l’attentatore dell’hypercascher di Parigi. Infine, Abdelhamid Abaaoud, francese di origine marocchina, capo del commando, ucciso a Saint Denis mentre si nascondeva con Hasna Aitboulahcen, sua cugina.
Terrorismo familiare. Commenta la Roy: «E, come spesso avviene, anche i traditori sono membri della “famiglia”. Lo fu l’amica di Hasna e lo è probabilmente l’uomo che ha permesso di trovare Salah. Per questo non si può sconfiggere il cancro del terrorismo europeo senza conoscere da vicino le famiglie che generano il terrore.
«A differenza dei jihadisti in Siria e in Iraq i terroristi che operano in Europa sono tutti figli di immigrati. Non ci sono convertiti». Spesso sono giovani che la religione non l’hanno mai praticata prima, che fumavano droghe, bevevano e uscivano con le ragazze. «Un problema, se vogliamo, che riguarda tutta la giovinezza: la rottura con la famiglia di origine e la ricerca del proprio io».