Schiacciante la vittoria del repubblicano con un dilagante 60 per cento. Hillary batte decisamente Sanders con l'aiuto sostanziale della comunità nera e delle minoranze etniche. Prossima sfida il 26 aprile

A New York la Clinton intasca la nomination, Donald Trump si conferma il più forte

A New York i sondaggi non hanno sbagliato  Conquistati il 57,7 per cento di delegati dello stato di New York Hillary Clinton potrebbe di fatto avere la nomination democratica in tasca. E Donald Trump, con il suo dilagante 60 per cento, si è confermato il vero incubo dell'establishment repubblicano.

Lo stato che lei ha voluto casa 16 anni fa all'inizio della sua avventura politica in prima persona, lo stato dove già nel 2008 aveva battuto Barack Obama di 17 punti, lo stato che lei, natia di Chicago, considera casa l'ha accolta a a braccia aperte. E le ha consegnato una vittoria decisiva contro un Bernie Sanders che, con le ultime vittorie in stati minori, si era fatto sempre più minaccioso. A darle un aiuto sostanziale la comunità nera, cruciale in questo stato, da sempre grande alleata dei Clinton, e le minoranze etniche, da quelle asiatiche ai messicani che non si fidano dei sogni di Bernie e nella Clinton ripongono piena fiducia.

«Oggi, oggi avete dimostrato ancora una volta che non c'è nessun posto come casa», ha detto ad una folla entusiasta di oltre 2500 persone all'hotel Sheraton a New York, dopo essere salita sul palco sulle note di “Empire state of mind” di Alicia Keys e Jaj Z: «In questa campagna abbiamo vinto in ogni regione del Paese, da nord a sud, da est a ovest. Ma questa, questa vittoria è personale».
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Anche a Trump, cresciuto nella città che ha dominato per anni come costruttore senza scrupoli, New York ha portato immensa fortuna. Ha praticamente sbaragliato i rivali lasciando il senatore Ted Cruz senza un singolo voto. Accompagnato dalla sua famiglia nella torre di famiglia a Manhattan, Trump, che non vinceva da marzo in Arizona, ha ringraziato i new yorkesi per una vittoria superiore alle previsioni che gli ha permesso di assicurarsi quasi tutti i delegati dello stato. «Amiamo New York, amiamo New York», ha detto festante.

Nel suo discorso della vigilia, imbastito finalmente da toni presidenziali, aveva segnalato alle folle e al partito che intende arrivarci da vincitore alla convention estiva in cui sarà incoronato il contendente presidenziale repubblicano. Grazie alla crescente influenza che su di lui esercita Paul Manafort, da decenni consigliere di presidenti repubblicani, Trump questa volta non aveva insultato nessuno ma ha parlato di economia, di main street e di lavori persi da riportare a casa. Aveva parlato di de-industrializzazione ora che la campagna sta per spostarsi  in stati dovei sono state centinaia le aziende ad avere chiuso, migliaia i disoccupati.

La settimana prossima ci sarà la prossima sfida. Il 26 aprile le primarie si terranno in Delaware, Maryland, Pennsylvania e Rhode Island. Ma la grande e decisiva battaglia sarà quella del 7 giugno: primarie in Nord e Sud Dakota, Montana, New Jersey e, soprattutto, in California. Questo stato, per l'abbondante numero di delegati in gioco, avrà più importanza di quanto non ne abbia avuta in decenni. Soprattutto per i repubblicani.

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