Una città per celebrare e coltivare l’identità nazionale. Ideata dal regista serbo. In Bosnia, sul fiume Drina, dove vent’anni fa scorreva il sangue. Iniziata nel 2013, oggi è quasi ultimata. Tra mille polemiche (Foto di Lorenzo Castore)

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I serbi di Serbia da un lato, quelli della Republika Srpska dall’altro, in mezzo scivola la Drina. È la stessa de “Il ponte sulla Drina” grande romanzo dello scrittore premio Nobel per la letteratura Ivo Andric. Dalla pubblicazione dell’opera - un affresco che intreccia tre secoli di fatti e misfatti balcanici - sono passati settant’anni. E quaranta dalla morte di Andric. Che oggi, col suffisso “grad” (città) in cirillico, torna in un progetto scritto e diretto dal regista Emir Kusturica.

Non è un film, però: Andricgrad è una minirealtà urbana con una pianta triangolare. Base di centoventi metri e altezza di duecento, occupa la punta della penisola davanti a Višegrad. Belgrado è a duecento chilometri, ne basta la metà per arrivare a Sarajevo e il ponte ottomano caro a Andric sta qui da quattro secoli, con le undici arcate ed il bollino Unesco.
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Il cineasta si era già lanciato in qualcosa del genere una decina d’anni fa. Per “La vita è un miracolo” aveva (ri)costruito un villaggio su una collina, chiamandola Drvengrad. È qui che incontriamo Kusturica: «Dove siamo ora c’era il nulla in mezzo al nulla. Ho investito risorse personali e messo a disposizione esperienze per creare qualcosa per la collettività. È un’operazione alla Fitzcarraldo, un’idea socialista», dice. Perfomance, proiezioni e incontri, più arti che politica. «Ad Andricgrad c’è lo stesso spirito», aggiunge.

Sono passati mille giorni dall’inizio della costruzione: era il 28 giugno 2013. Una data non casuale - Vidovdan (San Vito) - e satura di significati. Ricorda la battaglia della Piana dei Merli, la costituzione del Regno di Serbia e il discorso di Milosevic sul Kosovo. Un tris che infiamma gli animi e che diventa un poker con l’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando d’Austria ad opera di Gavrilo Princip, nel giugno del 1914. Il diciannovenne serbo aleggia e campeggia ovunque qui. L’agenzia di promozione locale presenta Andricgrad come «complesso turistico, culturale, amministrativo ed educativo». È un guscio di pietra che si anima la mattina e torna silenzioso la notte, ci lavora qualche decina di persone - commessi, camerieri, impiegati - ma quasi nessuno ci vive stabilmente. Tutti pendolari da oltre il muro. «Un giorno sarà affollato, ci saranno centinaia di studenti di cinema».

Jela, tuttofare iperattivo, si sbilancia: «Gli alloggi sono pronti, presto arriveranno i primi». Per ora è il contenitore a dar forme e senso al contenuto che verrà, con luoghi (e loghi) che prevalgono sul resto. Una specie di Dogville al contrario, metafisica. Divisa in settori in stili diversi - mediorientale, bizantino, rinascimentale, neoclassico - è un condensato di simboli e rimandi. «Gli ottomani e gli austro-ungarici non hanno lasciato alcun segno dei loro tempi». Ponte a parte, ovviamente. «Il mio sforzo è quello di completare ciò che quei due imperi avrebbero dovuto fare», chiosa Kusturica. «La forma architettonica del posto che ho costruito restituisce un senso di storia universale, è la mia relazione con tradizioni e cultura, l’unico mezzo di sopravvivenza».

Ai lati del portale d’ingresso - sotto a un arco, l’unico accesso ad Andricgrad - due boutique di souvenir immettono nel viale Giovane Bosnia. In fondo si staglia la statua di Andric, al centro di piazza Nikola Tesla.

Qualche passo e si arriva all’edificio che meglio compendia lo spirito di questo progetto. Al piano terra un cinema con tre sale, sopra ci sono gli uffici del comune coi tre giovani assessori. Djordjie, uno di loro, spiega che «Andricgrad è una società mista in concessione. Il 51 per cento appartiene a Kusturica, il resto al governo della Republika Srpska. Per trent’anni, poi sarà tutta delle istituzioni locali». Sulla facciata brillano le tessere di un mosaico, ritrae l’eroe locale Gavrilo Princip coi compagni della Giovane Bosnia, il movimento in cui anche Andric ha militato. «Le cose vanno messe in prospettiva. La Bosnia è stata l’ultima colonia d’Europa e i serbi gli ultimi schiavi. L’assassinio di Franz Ferdinand non era solo politica, aveva un senso di liberazione. Non celebro un omicidio, ma dalla rivoluzione francese alla prima guerra mondiale sono stati uccisi novantasette dittatori. Quello eliminato da Princip non lo era?». Ci sono altre due figure, tirano una fune: una è lo stesso regista, l’altra è Milorad Dodik, il presidente della Republika Srpska. Una figura controversa per molti. Il regista si scalda: «Ma cosa significa essere controversi? Anche Bertolucci lo era». Al bar “Secessione” campeggiano gigantografie dietro al bancone dei gelati. Gandhi, il Che e Geronimo sono in compagnia di Gavrilo Princip e di Putin. «È un’opera di pop art, l’ideologia non c’entra», taglia corto Kusturica. Il legame con la Russia è comunque fortissimo. In qualità di presidente dell’Andric Institute - una palazzina di due piani dall’altra parte della piazza - ha invitato Anatoly Lisicin, ex governatore e ora deputato alla Duma, a firmare un “accordo per la conservazione dei monumenti storici della prima guerra mondiale in Russia e nei Balcani”. Poco prima aveva un protocollo con cui auspicava l’avvio di progetti insieme ai “fratelli russi”. L’istituto vuole promuovere letture diverse e nuove delle vicende storiche. Revisionare il revisionismo. I conti della Grande Guerra sono aperti - «bisogna distinguere il terrorismo di stato da quello individuale» - e s’intrecciano a quelli del secondo conflitto mondiale: «Nazismo e fascismo sono immanenti nel capitalismo, noi saremo sempre lì a mettere in guardia quando rischiano di prendere il sopravvento». E i morti recenti? Nel 1992, tre anni prima dell’eccidio di Srebrenica, su queste rive si è compiuto un massacro di bosniaci. «È un luogo in cui le atrocità reciproche tra i gruppi etnici si sono alternate. I bagni di sangue dell’ultima guerra sono minori di quelli nei conflitti precedenti». I distinguo e gli spunti che fanno riflettere stanno a cuore al regista. Che incalza: «Ti faccio un esempio, riguarda i tuoi colleghi dei media. Quando la Nato ha bombardato la televisione di Belgrado (aprile 1999, ndr) sono morte diciassette persone. Non ci sono state però le manifestazioni di solidarietà come quelle alla redazione di “Charlie Hebdo” per fatti altrettanto tragici. Erano giornalisti anche loro. Il senso di Andricgrad parte dalle iniquità e vuole mettere accenti sulle persone che hanno fatto la nostra storia». Non si rischia di polarizzare il confronto invece di stimolarlo? «Il politicamente corretto è immorale». E il patriottismo? Non può sconfinare nella propaganda e trasformare uno slancio in una chiusura centripeta? «Il dialogo che proponiamo incontra difficoltà ma il nazionalismo e l’internazionalismo sono due poli che non si escludono. Il secondo include il primo», risponde Kusturica.

Per vedere la Drina, ad Andricgrad, bisogna salire alla seconda piazza, il vertice del triangolo. È stata creata aggiungendo terra al posto delle acque ed è occupata da due parallelepipedi sui lati. Uno sarà un hotel, l’altro è la sede di una società idroelettrica. L’Andricgrad delle geometrie finisce qui con la chiesa di san Vito. E iniziano tutte le altre storie: quelle di Andric sono sullo sfondo e in primo piano, le altre vanno cercate tra le righe scritte a matita e nei fotogrammi non ancora girati.

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