Antoine Deltour, che aveva rivelato i LuxLeaks, è adesso sotto processo nel Granducato. E le promesse della politica di tutelare chi svela gli scandali continuano a rimanere vuote. Ma qualcosa ora si muove: “Serve fissare degli standard minimi comuni per proteggere le sentinelle della democrazia”
"Sono un francese che lavora in Lussemburgo e che ha svelato informazioni che interessano tutta l'Europa. Per questo bisogna pensare all'interesse pubblico europeo e ad una direttiva che protegga chi aiuta a difendere questo interesse".
Antoine Deltour, l'uomo che ha rivelato i
LuxLeaks e per questo
sotto processo proprio in questi giorni in Lussemburgo, reclama quello che in molti, tra cui la Commissione Ue guidata oggi da quel Jean-Claude Juncker smascherato proprio da Deltour, non sembrano volere: un testo per proteggere tutti i whistleblower d'Europa. Li chiamano anche informatori, talpe e gole profonde, nomi non proprio 'positivi' e che dimostrano come sia anche necessario un lavoro culturale, e non solo legale, per proteggerli.
A novembre Strasburgo chiedeva all'esecutivo comunitario, proprio nel quadro delle conclusioni della Commissione speciale su LuxLeaks, di presentare entro giugno un testo legale a difesa dei whistleblower. Siamo a maggio e di quel testo non c'è alcuna traccia mentre chi poteva essere protetto siede a giudizio nel Granducato con l'accusa di sottrazione di documenti, violazione di segreto commerciale e di segreto professionale.
Il vuoto di Juncker provano a riempirlo adesso i verdi dell'Eurocamera, presentando una proposta di direttiva redatta dal giurista Alberto Alemanno. "Il nostro obiettivo è fissare degli standard minimi comuni per proteggere chi in Europa svolge questo ruolo di sentinella della democrazia", spiega Alemanno. La strada scelta da lui e dai verdi passa attraverso il diritto sociale, una materia di competenza comunitaria e non soggetta alle regole dell'unanimità tra gli Stati membri.
"Nella nostra proposta – illustra l'eurodeputato ecologista francese Pascal Durand – allineiamo lo status di informatore a quello di un salariato protetto, diventa così come un rappresentante sindacale che se colpito a causa delle sue rivelazioni, deve essere reintegrato o indennizzato". La protezione va però oltre, toccando l'aspetto fondamentale dell'accesso al sostegno da parte di Ong, sindacati, istituzioni e media, e quello della tutela economica. Un informatore non può drenare informazioni per interessi economici diretti o essere pagato per questo, ma gli Stati membri potranno creare dei fondi di compensazione per le perdite economiche determinate dalle ritorsioni per le notizie svelate e per i costi degli eventuali procedimenti penali a carico. I fondi potranno essere attinti dalle risorse recuperate grazie alle denunce degli stessi informatori, una forma di riciclaggio positivo.
CHI E' UN INFORMATORE?"Whistleblower – si legge nel testo delle proposta di direttiva – è ogni lavoratore", tanto del settore pubblico come di quello privato, "che svela (...) informazioni di interesse pubblico o che sono relazionate ad una minaccia per l'interesse pubblico, di cui è venuto a conoscenza nel suo ambito di lavoro". Le informazioni possono riguardare procedure tanto illegali come legali. I tax ruling lussemburghesi non infrangono alcuna legge, ma devono tutte ruotare intorno al concetto di "interesse pubblico", un concetto volutamente non definito in maniera chiara. Si potrà andare dagli interessi ambientali e sanitari fino all'elusione fiscale, come nel caso recentissimo dei
Panama Papers. Di fatto spetterà ai giudici nazionali e soprattutto a quelli europei definire, con le loro sentenze, i margini di questo concetto.
"Si tratta tanto dell'interesse pubblico europeo, come nel caso dei LuxLeaks", chiarisce Alemanno, "quanto di quello nazionale, come può essere un funzionario di un ospedale di Trento o di Catanzaro che denuncia delle pratiche illecite interne. La direttiva è pensata per gli Stati membri non per essere valida solo quando si toccano gli interessi europei, quest'ultima sarebbe stata un'interpretazione troppo riduttiva". Riduttiva, ma in crescita: "Le frodi transnazionali sono in costante e vertiginoso aumento", rileva Elly Schlein, eurodeputata di Possiamo e co-presidente dell'Intergruppo Itco, Integrità, trasparenza, anti-corruzione ed anti-criminalità organizzata del Parlamento Ue. "Per questo avere un'omogeneità di base nel trattamento degli informatori permette di evitare che siano sottoposti a pene diverse a seconda del paese da cui vengano o in cui lavorano e filtrano le notizie". La direttiva invita gli informatori a metterci la faccia, ossia a non nascondersi dietro l'anonimato, ma prevede comunque dei meccanismi per preservare la riservatezza, qualora venga richiesta.
CAMMINO A OSTACOLIIl Parlamento Ue è un'anatra zoppa se confrontato con quelli nazionali: non ha il potere di iniziativa legislativa, che spetta alla Commissione. Ma Strasburgo può comunque muoversi, presentando una proposta appoggiata da metà dei 750 eurodeputati obbliga la Commissione Ue a proporre una direttiva. È quello su cui puntano i verdi. "C'è una chiara volontà del nostro gruppo nel procedere per avere una direttiva, anche se non abbiamo ancora analizzato a fondo la proposta dei verdi", assicura Schlein a nome del S&D, la seconda forza dell'Eurocamera.
Sulla stessa linea anche la Sinistra unitaria e i 5Stelle per il gruppo Efdd: "Non possiamo continuare a ritardare su un tema così attuale e incisivo quale la lotta alla criminalità organizzata, specie quella dei colletti bianchi. Occorre avere un approccio legislativo deciso", insiste Ignazio Corrao. L'incognita rimangono i popolari, il primo gruppo dell'emiciclo, che sono spaccati tra chi vuole la direttiva e chi preferisce lasciare gli informatori al loro destino.
A far basculare la bilancia potrebbe essere l'opinione pubblica: "È importante che oltre alle pressioni del Parlamento sia ora la società civile a spingere per una direttiva", fa notare Federico Anghelé a nome della campagna Riparte il futuro. "Nei prossimi mesi – aggiunge – saremo impegnati con altri partner europei in una campagna che mostri il ruolo fondamentale dei whistleblower nel denunciare casi di corruzione e di cattiva amministrazione".
PROTEZIONE A MACCHIA DI LEOPARDO"E' necessaria una normativa Ue con standard minimi comuni perché nella maggior parte dei paesi membri i whistleblower o non sono protetti o lo sono solo parzialmente", spiega Carl Dolan, direttore dell'ufficio europeo di Transparency International. La sua Ong ha stilato 3 anni fa una mappa delle legislature nazionali e, secondo loro, solo 4 Stati membri avrebbero una legislazione avanzata in materia. Un risultato con un paradosso che la dice lunga sul livello di protezione degli informatori: tra i paesi virtuosi c'è anche il Lussemburgo, quello che processa Antoine Deltour ed il giornalista Edouard Perrin per i LuxLeaks. "É vero, è un paradosso: la legge è migliore di altre ma protegge solo in caso di licenziamento e non in caso di azione legale contro l'informatore. Oltretutto in Lussemburgo viene punito il passaggio di informazioni ai media".
Se pure dove siamo messi meglio siamo messi male, c'è parecchio lavoro da fare. Bulgaria, Portogallo, Spagna, Lituania, Grecia, Finlandia e Slovacchia non hanno nemmeno una legge ad hoc, anche se Atene, Bratislava ed Helsinki si stanno dando da fare. Lo stesso succede per l'Italia.
IN ITALIA 211 SEGNALAZIONISiamo nel gruppo di mezzo, quelli con una protezione parziale, prevista dalla legge anticorruzione del 2012 firmata da Paola Severino, che riconosceva la figura del segnalante nella pubblica amministrazione. In sostanza whistleblower protetto sì, ma solo nel pubblico e non nel privato. Una lacuna che viene superata, parzialmente, dalla proposta di legge presentata nel 2014 dalla pentastellata Francesca Businarolo, approvata a fine gennaio alla Camera e che ora langue in Senato, non ancora calendarizzata dalla Presidente della Commissione Affari Costituzionali Angela Finocchiaro, Pd. "Ci sono aspetti migliorabili di questa proposta", fanno notare da Transparency, "come la costituzione di un fondo di tutela per gli informatori e l'estensione a tutto il settore privato, mentre ora copre solo i dipendenti delle grandi imprese, ma l'importante è che venga messa in agenda la discussione".
Su Transparency sono piovute negli ultimi mesi oltre 3.000 segnalazioni in tutta Europa, di queste 211 vengono dall'Italia da quando, nell'ottobre 2014, la Ong ha aperto uno 'sportello' per le denunce. Il 71 per cento di queste segnalazioni è legato a fenomeni di corruzione, i settori più ricorrenti sono quelli della pubblica amministrazione, della sanità e dell'edilizia e le condotte più ricorrenti sono quelle dei favoritismi, abuso di posizione pubblica e abuso di risorse pubbliche. Sul territorio a fare la parte del leone è il Lazio, con 50 denunce, pari al 24 per cento, seguito da Lombardia e Campania, 28 a testa, il 13 per cento. A zero solo Valle d'Aosta, Trentino Alto Adige e Molise.