A Londra, un giudice della Corte di Westminster deve decidere se obbligare l'attivista politico inglese a consegnare le sue chiavi crittografiche, permettendo così agli investigatori di accedere alle informazioni custodite nel suo computer. Ecco cosa è in gioco
Per lui si sono mossi Julian Assange e Edward Snowden. Il suo sembra un caso giudiziario capace di appassionare solo i patiti del computer e dall'impatto limitato al Regno Unito. Di fatto il nome di
Lauri Love è sconosciuto ai più. Ma la battaglia che sta combattendo questo giovane talento del computer, attivista politico inglese e sostenitore della prima ora del movimento “Occupy”, è cruciale quanto il braccio di ferro che si è giocato tra la Apple e l'Fbi sul caso dell'iPhone. La differenza è che mentre Apple ha mobilitato il mondo intero, Love è stato lasciato praticamente solo, ad eccezione della
Fondazione Courage, creata da
Julian Assange e da
Sarah Harrison per proteggere whistleblower come Edward Snowden.
Lauri Love finisce nelle maglie della giustizia inglese nell'ottobre 2013 per presunti crimini informatici. Ad arrestarlo è la
National Crime Agency (Nca), l'equivalente inglese dell'Fbi, che gli sequestra sei computer e gli intima di
consegnare le chiavi crittografiche. Love si rifiuta di consegnarle, la Nca lo rilascia su cauzione e il caso finisce lì, nel senso che non viene incriminato per alcun reato. Due anni dopo l'indagine della National Crime Agency, si fa viva l'Fbi, che pretende l'estradizione di Love negli Stati Uniti, accusandolo di aver hackerato alcuni importanti siti governativi americani nel corso della sua presunta partecipazione alle proteste di Anonymous contro la morte del genio del computer e attivista per l'accesso alle informazioni Aaron Schwartz.
Da anni Lauri Love lotta per avere indietro i suoi computer sequestrati dalla National Crime Agency, che pur non avendolo incriminato, non solo non glieli ha restituiti, ma pretende che Love consegni le chiavi crittografiche. L'udienza davanti al giudice della corte di Westminster è prevista per il 10 maggio e le ripercussioni del caso saranno notevoli. Quello che è in gioco, infatti, va ben oltre la crittografia: può uno stato democratico obbligare un cittadino a fare dichiarazioni potenzialmente autoincriminanti? Di fatto, chiedendo a Lauri Love di rivelare chiavi e password che stanno solo dentro la sua testa, la National Crime Agency fa questo. E, come ieri sottolineava
Edward Snowden via Twitter, «le democrazie del mondo sviluppato non costringono i cittadini a fare dichiarazioni contro se stessi». Neppure gli Stati Uniti, che dopo l'11 settembre hanno approvato provvedimenti draconiani e controversi, hanno una legge che obbliga a rivelare password e chiavi di cifratura.
La decisione del giudice sul caso avrà conseguenze per tutti, non solo per Love. Ormai ad usare la crittografia sono sempre più giornalisti, attivisti per i diritti umani e avvocati: le rivelazioni di Edward Snowden hanno innescato una consapevolezza nuova in chi maneggia informazioni delicate. Per un giornalista o un attivista per i diritti umani non è solo un dovere deontologico proteggere le fonti che rivelano informazioni sensibili, ma è anche una questione di decenza umana. Che protezione può offrire la crittografia se la polizia può intimare in qualsiasi momento a un individuo che non è sotto indagine di consegnare le chiavi? E
chi parlerà più con giornalisti e attivisti per i diritti umani, sapendo che le informazioni raccolte e protette con la crittografia potranno finire in qualsiasi momento nelle mani della polizia?
E' per questo motivo che a scendere in campo in difesa di Lauri Love è stata la Fondazione Courage, che ha riconosciuto prontamente l'impatto del caso, vista la sua esperienza con Edward Snowden e con altri
whistleblower di alto profilo che si sono affidati alla crittografia. Per assisterlo nella sua battaglia legale, non solo Courage ha creato un fondo per le
donazioni al quale chiunque può contribuire, ma ha anche cercato di sensibilizzare l'opinione pubblica sulle conseguenze di un eventuale verdetto sfavorevole.
Subito dopo l'attacco a Charlie Hebdo, il governo di
David Cameron ha annunciato una guerra alla crittografia in nome della lotta al terrorismo che ha innescato un braccio di ferro ancora in corso tra governo e società civile. Non è un mistero che molti stati europei guardano a una democrazia avanzata come l'Inghilterra per capire come regolarsi in materia di comunicazioni criptate. Come ha spiegato Julian Assange, «poiché il Regno Unito è un laboratorio per questo tipo di scelte politiche repressive, il caso avrà ripercussioni internazionali di ampia portata».
Per Sarah Harrison, la giornalista di WikiLeaks che è volata a Hong Kong per aiutare Edward Snowden a ottenere asilo politico, «il caso Lauri Love è un test cruciale nella lotta di tutti per proteggere le nostre comunicazioni». Anche il giornalista Gavin MacFadyen, che guida il “
Center for Investigative Journalism” di Londra, avverte che il caso «dovrebbe far scattare l'allarme», perché ha serie conseguenze per i giornalisti e per chi usa la crittografia. Mentre con il caso Apple l'Fbi ha cercato di ottenere una backdoor digitale per accedere alle informazioni sull'iPhone, con quello di Lauri Love la National Crime Agency sta cercando di ottenere una “backdoor legale”. In altre parole, analizza MacFadyen, l'Fbi ha cercato un accesso forzato attraverso una soluzione tecnologica, mentre la Nca sta cercando una soluzione legale per risolvere lo stesso tipo di problema.
Ad assistere Lauri Love sono gli avvocati Ben Cooper dello studio Doughty Street Chambers di Londra, lo stesso in cui lavora Amal Clooney, e Tor Ekeland, con studio legale a New York specializzato in crimini informatici. Nel caso Love, l'inglese Nca sta cercando di ottenere l'accesso ai computer dell'attivista per
aiutare l'Fbi nel suo procedimento legale, visto che negli Usa non c'è una legge che obblighi a consegnare le password? «La questione se Lauri potrebbe essere costretto a farlo rimane aperta», spiega a “l'Espresso” l'avvocato Tor Ekeland. «Alcune corti americane hanno stabilito che obbligare qualcuno a consegnare le chiavi crittografiche viola il Quinto Emendamento della Costituzione, che protegge qualsiasi individuo dall'essere costretto a fare dichiarazioni autoincriminanti, altre corte invece hanno stabilito il contrario. La Corte Suprema degli Stati Uniti non si è espressa al riguardo. E io non ho alcuna informazione sul fatto se la National Crime Agency (Nca) stia agendo nell'interesse degli Stati Uniti, ma non mi sorprenderebbe affatto». Che si muova o meno su pressione dell'Fbi, se la Nca prevarrà nell'udienza della prossima settimana, tante cose potrebbero cambiare nella guerra contro la crittografia. E non solo in Inghilterra.