America Latina

Elezioni Perù, la vittoria è di Pedro Pablo Kuczynski

di Mario Magaro   6 giugno 2016

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Soprendente sconfitta al ballottaggio per le presidenziali di Keiko Fujimori. Dopo essere stato battuto alle elezioni del 2011 per essere stato considerato un candidato troppo vicino alle lobby delle compagnie petrolifere e minerarie, Kuczynski ha saputo reinventarsi come vicino alle problematiche della classe media e bassa

Un paese col fiato sospeso. I risultati del ballottaggio in Perù hanno visto l’affermazione dell’economista Pedro Pablo Kuczynski su Keiko Fujimori col 50,82 per cento delle preferenze contro il 49,18 per cento. Si tratta di una vittoria ancora parziale secondo l’Officina Nazionale dei Processi Elettorali, che ha garantito un conteggio definitivo nei prossimi giorni, quando saranno noti i risultati del voto all’estero e delle province più remote del paese.

Un ribaltone dell’ultima ora sembra però improbabile, considerando che il vantaggio di Ppk, come viene chiamato Pedro Pablo Kuczynski, è di oltre 200mila voti, ma il candidato presidenziale ha esortato apertamente le istituzioni a vigilare sulla regolarità dello spoglio elettorale.

Se confermata, la sconfitta di Keiko Fujimori avrebbe del sorprendente considerando il vantaggio di circa 20 punti accumulato su Ppk nel primo turno e, soprattutto, le proiezioni dei sondaggi delle ultime settimane, che configuravano un ritorno dei Fujimori al potere dopo 16 anni, da quando l’ex presidente Alberto fu costretto alle dimissioni per i gravi scandali venuti alla luce durante il suo governo.

Classe 1938, figlio di un medico tedesco giunto nell’Amazzonia peruviana per curare malattie tropicali, Pedro Pablo Kuczynski ha diviso la propria carriera professionale tra Perù e Stati Uniti. Dopo gli anni trascorsi nella Banca Mondiale, fu nominato Ministro dell’Energia peruviano nel 1980, dando prova della dottrina neoliberale appresa a Washington attraverso la promulgazione di una polemica legge che prevedeva un esonero dalle imposte per le compagnie petrolifere, al fine di incentivare gli investimenti stranieri.

Impegnato nei consigli d’amministrazione di una decina di società del settore minerario negli anni ’90, Ppk è stato poi scelto come Ministro dell’Economia durante il governo di Alejandro Toledo, il primo esecutivo eletto dopo la caduta di Alberto Fujimori.

Fautore del modello neoliberale imposto dal fujimorismo, con lo Stato relegato ad un ruolo marginale nella gestione dell’economia, Kuczynski si è lanciato nella corsa alla presidenza della Repubblica nel 2011, finendo per pagare il suo ruolo di candidato delle lobbies e delle compagnie petrolifere e minerarie (al ballottaggio tra Ollanta Humala e Keiko Fujimori appoggiò apertamente la figlia dell’ex dittatore, dichiarando di temere una deriva chavista dell’economia in caso di vittoria di Humala).

Una sconfitta, quella sofferta nelle precedenti elezioni, che è servita di lezione a Ppk. In occasione dell’attuale tornata elettorale, il candidato di “Peruanos por el Kambio” ha presentato un piano di governo dai contenuti più morbidi, vicino alle problematiche della classe media e bassa.

Dietro le statistiche che sanciscono la costante crescita economica del Perù nell’ultimo decennio ed una riduzione dell’indice di povertà al 20 per cento, vi è infatti un paese dove oltre metà della popolazione lavora in modo informale, segnato da una crescente ondata di criminalità che spinge l’88 per cento dei peruviani a temere di essere vittima di un reato, in primis la rapina a mano armata.

Il programma di Kuczynski prevede la riduzione dell’Iva di 3 punti e l’abbassamento dell’imposta sul patrimonio per le piccole imprese dal 28 al 10 per cento, permettendo così la loro formalizzazione. Viene proposto l’aumento del salario minimo a 850 soles, circa 225 euro, ed in tema di sicurezza, Ppk promette una totale riorganizzazione del corpo di Polizia.

Buona parte del numero di preferenze ottenute fino ad ora da Kuczynski, che al primo turno aveva registrato il 21 per cento dei consensi, è però da considerarsi frutto della crociata anti-fujimorista promossa dalla sinistra. Veronica Mendoza, candidata del “Frente Amplio”, ha pubblicamente invitato il proprio elettorato a votare per Ppk, pur non condividendone il programma di governo, visto come ultimo baluardo democratico di fronte alla possibile restaurazione del regime di Fujimori.

Oltre 60mila persone, riunite intorno al collettivo “Keiko no va”, hanno risposto all’appello, marciando per le strade di Lima pochi giorni prima del ballottaggio. Alla probabile vittoria di Kuczynski, ha contribuito involontariamente anche Joaquín Ramírez, segretario generale del partito di Keiko Fujimori, Fuerza Popular, e principale finanziatore della sua campagna elettorale.

Un pool di mezzi di comunicazione, tra cui il portale di giornalismo investigativo Ojo Publico ed il canale statunitense Univision, ha infatti rivelato che, dal 2012, Ramírez è al centro di un’indagine della Drug Enforcement Agency per riciclaggio di denaro derivante dal narcotraffico, nello specifico per il suo rapporto con Miguel Arévalo Ramírez “Eteco”, considerato il maggior narcotrafficante del Perù.

Il danno d’immagine per Keiko è stato enorme, facendo rivivere il binomio col narcotraffico che ha segnato a lungo la storia del fujimorismo: dai 170kg di cocaina trovati nell’aereo presidenziale di Alberto Fujimori, ai 100kg di polvere bianca scoperti, nel 2103, in un capannone intestato ad una società di cui era socio Kenji, il fratello di Keiko.

La probabile vittoria di Ppk significa in primis la continuità del modello economico introdotto da Fujimori nel 1992, con l’economia nelle mani delle grandi imprese del settore minerario. Per riuscire a governare, Kuczynski sarà però chiamato a scendere a patti col fujimorismo, che in Parlamento si è assicurato 73 seggi su 130 al primo turno, cercando al tempo stesso di non scontentare le rivendicazioni del Frente Amplio su temi caldi come i conflitti socio ambientali generati dallo sfruttamento delle risorse minerarie e la tutela dei diritti delle popolazioni indigene.