Single, 28 anni, diplomato, poco religioso: il foreign fighter medio dagli archivi dell'Isis

A inizio 2016 migliaia di "schede d'ingresso" al Califfato vennero trafugate in Europa. Un ricercatore, Nate Rosenblatt, ne ha analizzate nel dettaglio oltre tremila. Ricostruendo il profilo dei combattenti. Il suo rapporto su "New America". Che spiega: ogni "jihad è locale"

Anno di nascita: 1987. Sesso: maschile. Stato civile: non sposato (nel 59 per cento dei casi). Lavoro: studente, operaio o manovale (nel 60 per cento). Educazione religiosa: minima (nel 55). È il "foreign fighter medio", il profilo standard del combattente in Siria così come appare dall'analisi di oltre tremila schede "di registrazione" di nuovi soldati, selezionate in quanto valide e complete fra i 22mila dossier personali trafugati a inizio anno dal confine turco-siriano e pubblicati sui media europei.

Un ricercatore indipendente, esperto di Medio Oriente, Nate Rosenblatt, ha studiato quei file. E ne ha pubblicato ora un rapporto su "New America". Quello che emerge sono alcune costanti, e altri elementi invece di distanza che caratterizzano i foreign fighter a seconda della provincia di provenienza. Nei moduli siriani, bandiera nera dell'Isis in alto a destra, sezioni da compilare in arabo, una pagina a pesona, sono registrati ragazzi che arrivano da tutto il mondo. Ci sono 135 giovani partiti dalla stessa regione dell'Arabia Saudita, Qassim. Ci sono 590 tunisini. Sessantasei russi. Ventiquattro studenti di Parigi. Tredici di Strasburgo. Ci sono 114 combattenti dello Xinkang, in Cina. Ci sono ventidue londinesi; 34 javanesi; 252 residenti a Riyadh e ventidue tedeschi. Soltanto fra le prime nazionalità.

In un momento in cui l'Isis, in difficoltà sul campo, risponde con l'espansione globale della minaccia terroristica - fra attentati pianificati e azioni di emulatori solitari - anche i foreign fighters rischiano di avviarsi in un processo di ritorno. Dalla Siria a casa, portandosi dietro e dentro, quella guerra contro "gli infedeli" dentro cui vivono il loro orizzonte di morte. Per questo, spiega l'analista su New America, conoscerli meglio, anche attraverso quei moduli rubati, può aiutare a capire la minaccia possibile, e particolare, per ogni paese.

Prima, le costanti. L'età: 26, 27 anni all'arruolamento. In media. Da Derna, storico focolaio jihadista in Libia, l'età scivola però: a compilare le schede sono ragazzi che ne hanno appena compiuti 20, di anni. Poi, lo stato civile: solo il 30 per cento dei combattenti registrati in quei file è sposato. La maggior parte è single. Alla ricerca di mogli-schiave. O vergini da martire. Quindi l'educazione: tre giovani su 10 hanno spiegato di avere un diploma o un titolo equivalente. Il 10 per cento ha seguito in parte l'università. Il 13 ha un master o una laurea. Più della metà dei combattenti cioè ha un titolo di studio superiore. Sul lavoro però, le mansioni sono mediamente basse: di sussistenza, da manovali, o studenti. A volte operai. Raramente professionisti. Infine la religione: il 55 per cento dei ragazzi dice di averne una conoscenza soltanto basilare. Il 20 moderata. A dichiararsi "esperti", fedeli professanti e completi, sono solo in 5 su 100.

Il rapporto analizza poi questi dati e la loro diversità a seconda della provenienza. Ci sono infatti luoghi come Derna da cui arrivano miliziani esperti, che hanno già combattuto. C'è l'Arabia Saudita dove la radicalizzazione dei giovani che entrano in Siria è più religiosa e ideologica che altrove, alimentata anche da un odio settario anti-sciita. C'è la Tunisia dove il problema dei foreign fighters «riguarda l'intero paese, e non una singola regione», spiega il ricercatore. Tunisia dove l'esigenza di un'identità religiosa si mescola alle questioni sociali irrisolte della primavera araba del 2011 e dove le guide spirituali dell'Isis riescono a fare facilmente campagna fra i giovani.

Poi ci sono regioni come lo Xinjiang, in Cina, terra della minoranza degli Uiguri. O Tripoli, nel Nord del Libano, dove l'attrazione salafita s'incardina sull'odio anti-Assad. Accomunati tutti, in parte, dal mix di sentimenti anti-governativi e ricerca di identità su cui l'Isis attecchisce come meta. «Più regioni ci saranno in cui le istituzioni statali non riescono a governare il loro territorio», conclude il ricercatore: «Più l'isis, o gruppi simili, riusciranno ad attrarre reclute».

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