Nel '99 era stato condannato a un anno per aver torturato un giovane fino alla morte. E' sempre stato tra i sospettati nel caso del ricercatore italiano. Da ieri è capo della polizia del Fayyum

E’ stato il primo a tentare di liquidare la tortura e l’uccisione di Giulio Regeni come un banale incidente stradale, negando ogni possibile crimine. In passato era già stato condannato per aver torturato e ucciso un cittadino egiziano. Ieri il generale Khaled Shalabi è stato promosso a capo della polizia del Fayyum, capoluogo dell’omonimo governatorato a cento chilometri dal Cairo. Un provvedimento, firmato dal ministro degli Interni Maged Abdel Ghaffar, che rappresenta l’ennesimo schiaffo all’Italia e alla sua richiesta di verità sul caso del ricercatore italiano. 
Timeline
Giulio Regeni, un anno senza verità
20/1/2017

Il 3 febbraio del 2016, quando è stato ritrovato il cadavere di Giulio Regeni martoriato da otto giorni di torture, Shalabi era direttore dell’Amministrazione generale delle indagini di Giza. Responsabile quindi per giurisdizione del caso. Due ore dopo il ritrovamento ha rilasciato una dichiarazione al giornale governativo Youm7 affermando che «non c’è alcun sospetto crimine dietro la morte del giovane italiano, il cui corpo è stato ritrovato sulla strada desertica Cairo-Alessandria». Nelle dichiarazioni esclusive al sito, il generale sostiene con certezza che le indagini preliminari parlano di un incidente stradale e smentisce che Regeni «sia stato raggiunto da colpi di arma da fuoco o sia stato accoltellato». La prima carta di quell’infinito castello di bugie è stata dunque posata da Shalabi. 
Khaled Shalabi

Appena è emersa un po' di luce su ciò che aveva subito realmente Giulio il nome del generale è balzato in testa alla lista dei sospettati. L’ex colonnello Omar Afifi, ora in esilio negli Stati Uniti, lo ha indicato come responsabile della tortura di Giulio già nei primi giorni delle indagini, confermando il tutto a l’Espresso in un'intervista esclusiva nel mese di aprile
Intervista
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«E’ stata sicuramente la persona che ha provveduto all’arresto di Regeni». Le voci sul suo coinvolgimento si sono fatte così pressanti che nei giorni antecedenti al primo incontro a Roma tra i procuratori italiani e quelli egiziani si è parlato della possibile consegna del generale come sospettato. Per sicurezza, lui non si è presentato tra la delegazione inviata dal Cairo. 

Le accuse su Regeni non sono di certo una invenzione degli ultimi mesi. Già in passato il generale Shalabi si è reso protagonista di diversi crimini. Nel 1999 è stato condannato a un anno - pena poi sospesa - per la tortura fino alla morte di un cittadino innocente. Quando era capo dell’amministrazione delle indagini ad Alessandria ha costretto una famiglia a seppellire il figlio, morto in circostanze sospette legate alla polizia, nella massima fretta per evitare che il funerale possa scatenare le proteste della popolazione. 
Intervista
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«O portate via questo corpo schifoso e lo seppellite subito o lo facciamo noi in un cimitero anonimo», aveva intimato loro. Proprio dall’ufficio di Alessandria è stato allontanato per aver oltraggiato la rivoluzione del 25 gennaio in una conferenza pubblica. Tre le altre accuse che gli sono state mosse, anche quella di aver tenuto in prigione un giornalista solo allo scopo di non permettergli di raccontare i fatti che lo vedevano coinvolto.