
Ora che il suo personalissimo stile è diventato il marchio di fabbrica del populismo mondiale, Wilders si appresta, nelle elezioni parlamentari del prossimo 15 marzo, a regalare al “Partito delle libertà”, o PVV, da lui fondato, il maggior numero dei 150 seggi disponibili. I sondaggi delle ultime settimane gli assegnano 35 seggi con una percentuale di voti pari al 22 per cento, che forse non basterà a farlo entrare nel governo in un Paese dove si va al potere soltanto in coalizione (occorrono 76 seggi per la maggioranza e tutti i grandi partiti si sono dichiarati contrari a lavorare con lui) ma che probabilmente gli faranno reclamare la “superiorità” del mandato popolare su ogni ordine costituzionale, mandando in tilt la politica olandese.
Tanto più se i sondaggi di oggi sottostimano l’ascesa di un consenso che per alcuni potrebbe risultare addirittura in un terzo di voti a suo favore.
«Per anni la politica tradizionale si è concentrata sull’economia, sul benessere», spiega al telefono da Amsterdam Tom-Jan Meeus, un editorialista del maggior quotidiano nazionale, NRC Handelsblad: «Adesso non basta più. La nostra economia si è completamente ripresa dalla crisi, la disoccupazione è al di sotto del cinque per cento, il deficit di bilancio è pari a zero, i prezzi delle case sono risaliti ai livelli pre-crisi. Eppure Wilders cresce nei sondaggi. Ormai la politica è diventata una questione identitaria». Noi (bianchi e cristiani) contro loro (scuri e musulmani).

Eppure la parola identità suona male nel Paese che alla fine del secolo scorso era un campione di multiculturalismo e tolleranza. Che ospitava una delle quote di immigrati più alte d’Europa. L’Olanda degli anni Ottanta e Novanta, “casa” per i tanti ex-coloni dell’Indonesia, delle Antille e del Suriname e meta ambita per una fetta della popolazione africana in fuga da guerre e carestie, insegnava a noi tutti, ancora troppo omogenei, come integrare i nuovi arrivati con le sue politiche rispettose e generose.
Ma con l’inizio del nuovo millennio qualcosa è cambiato. Una serie di eventi ha ribaltato l’umore del Paese. A partire dalla strage dell’11 settembre, che avendo colpito gli Usa, nazione da sempre considerata “cugina”, ha toccato profondamente l’immaginario collettivo olandese.
Poi è arrivato l’omicidio di Pim Fortuyn, un politico di destra, apertamente critico verso l’Islam, ucciso nel 2002 da un ambientalista di sinistra che, durante il processo, spiegò come con quel gesto intendesse impedire a Fortuyn di sacrificare i più deboli della società - gli immigrati - sull’altare della sua ambizione politica.
Ancora due anni e un altro trauma, finora il più profondo: l’assassinio di Theo Van Gogh, celebre regista e amato intellettuale dalle posizioni dure verso Maometto. Un estremista marocchino, oggi in carcere a vita, lo colpì attraverso il finestrino dell’auto «per conto di Allah». Poi con un coltello spillò sul suo cadavere un biglietto in cui minacciava chiunque avesse osato offendere o prendere in giro l’Islam. Quell’omicidio portò nelle strade milioni di olandesi di ogni credo politico, uniti dall’intento di rivendicare la libertà di espressione, caposaldo dell’Occidente. Era il 2004: dieci anni prima che la crisi immigratoria investisse l’Europa e minacciasse le sue tradizioni.
Come non bastasse, nel 2009, anticipando anche in questo caso di diversi anni i futuri tragici eventi europei, un veicolo lanciato a tutta velocità sulla folla durante la parata del giorno della Regina tentò di raggiungere la famiglia reale. Non ci riuscì. Ma quell’anno, in occasione delle elezioni europee, il PVV divenne il secondo partito, subito dopo quello di destra moderata dell’attuale premier uscente Mark Rutte.
Oggi i 17 milioni di olandesi, di cui un quinto di origine straniera, hanno paura. Su due piani. Quello fisico, innanzitutto: temono per la propria sopravvivenza fisica. E questo nonostante le statistiche dimostrino che la criminalità sia in discesa, addirittura dimezzata dal 2005. Ma è la percezione che conta: secondo i dati del sociologo Vasco Lub, le pattuglie di vigilantes sono salite a 661 l’anno scorso contro le 124 nel 2012.
Poi hanno paura a livello intellettuale: paura di perdere non solo il proprio benessere ma soprattutto la propria cultura tollerante e la propria libertà sociale. E infatti Wilders, a differenza di Trump, difende a gran voce donne e omosessuali contro gli attacchi di un Islam che viene percepito come ogni giorno più aggressivo e pervasivo.
Come, e forse ancor più, del neopresidente americano, Wilders, che nel look ricorda il cattivo di Harry Potter, Drako Malfoy, in versione senior, ha consolidato un’immagine di politico anticonformista, lontano dal pensiero delle élite e vicino al popolo; di uomo coraggioso che dice quello che è necessario dire anche se scomodo o scorretto; di colui che agisce secondo coscienza a qualunque costo personale, rischiando perfino la vita.
Ha definito il profeta Mohammed «un barbaro, assassino di massa e pedofilo». Ha chiamato l’Islam un’«ideologia fascista, violenta, pericolosa e ritardata». Ha eguagliato il “Corano” al “Mein Kampf” di Adolf Hitler. E, in anni meno sospetti, ha indicato il presidente turco Erdogan come «un mostro». Promette di chiudere le moschee, di bandire il burqa e di imporre una tassa ad hoc per le donne che indossano l’hijab.
Nominato più volte “politico dell’anno” in un celebre sondaggio televisivo, Wilders ha collezionato il maggior numero di minacce di morte di tutto il parlamento (il 75 per cento del totale) tanto che gode di protezione 24 ore al giorno dovunque vada e non si presenta mai in pubblico senza un giubbotto anti-proiettili, particolare che ne ha rafforzato l’immagine hollywoodiana di eroe che si sacrifica in nome della libertà.
Perfino le condanne in tribunale hanno finito per lucidarne il mito. Dopo essere astato assolto sei anni fa per un’accusa di incitamento all’odio, lo scorso dicembre è stato formalmente incriminato per un secondo episodio di istigazione alla discriminazione e all’insulto etnico contro i marocchini, la minoranza da lui additata come causa di ogni male. Ma una buona parte della popolazione sta dalla sua parte, contro i giudici. «Credono che abbia detto qualcosa di vero e sono arrabbiati che un politico non lo possa dire in una società dove è in vigore la libertà di parola», ha spiegato il sondaggista Peter Kanne di I&O Research. «Non sono razzista e non lo sono nemmeno i miei elettori», ha infatti ribadito Wilders all’uscita dall’aula. E sono tanti gli olandesi che ricordano bene come lui, all’inizio della sua carriera, ci tenesse a marcare la differenza tra le sue idee e quelle «fasciste» del Front National francese.
All’indomani della rimozione del bando d’ingresso in Gran Bretagna ricevuto nel 2009 a causa delle sue posizioni violente,Wilders ha indetto una conferenza stampa su suolo britannico per ribadire la bontà del suo pensiero: «Il vero significato della libertà è dire alla gente quello che non vuole sentire. Ho un grande problema con l’ideologia islamica perché mi sembra che, col suo diffondersi, le nostre società stiano progressivamente perdendo le loro libertà». Durante una successiva visita in Inghilterra del 2010 in cui presentò il suo film contro il Corano “Fitna”, si premurò di quotare le preoccupate parole di Winston Churchill scritte nella “Guerra del fiume” del 1899: «Quella musulmana è una fede militante, che mira a fare proselitismo. Non esiste una forza retrograda più grande al mondo. Si è già diffusa in Africa centrale, creando guerrieri senza paura ad ogni passo. La civilizzazione dell’Europa moderna potrebbe cadere, così come cadde quella dell’antica Roma».
Nel frattempo però fa di tutto perché a cadere sia la complessa costruzione dell’Unione europea. I Paesi Bassi, che nel 1957 furono tra i sei fondatori della Comunità economica europea, nel 2005 diventarono l’unico Stato a bocciare la Costituzione europea, trascinati sia dall’estrema destra che dall’estrema sinistra. Lui, occhi di ghiaccio sotto la chioma biondo-platino, fu tra i più convinti sostenitori di un “No” che, ben prima del dilagare dello scetticismo europeo odierno, vinse con il 62 per cento dei voti. Si dichiarò «incredibilmente contento che gli olandesi avessero fatto un dispetto alle élite politiche dell’Aja e di Bruxelles». Da quel momento ha cercato di allinearsi con le posizioni di Marine Le Pen pur non riuscendo a formare un gruppo parlamentare a livello europeo che riunisse i partiti di estrema destra di Francia, Italia e Belgio. L’anno scorso ha salutato con entusiasmo prima l’avvento della Brexit e poi quello dell’elezione alla Casa Bianca di Trump a cui ha rubato il suo ultimo slogan di battaglia: «Let’s make Holland great again». Oggi fa campagna in favore della “Nexit”, l’uscita dell’Olanda dalla Ue, su cui ha promesso un referendum in caso di vittoria a marzo.
A differenza di Trump, Wilders, sposato con una donna ungherese, non è una figura nuova sulla scena politica olandese. Ma la sua fortuna è esplosa con l’avvento dei populismi occidentali. Nato ultimo di quattro figli in una famiglia della media borghesia del sud del Paese, non ancora trentenne viaggiò a lungo in Medio Oriente e visse in Israele, dove concepì quell’ideologia anti-islamica che ne avrebbe sancito la carriera politica.
Iniziò come speechwriter del “Partito per la Libertà e la Democrazia” dell’attuale premier Rutte, con cui è entrato in parlamento nel 1998 ma con cui ruppe nel 2004 quando, in aperto contrasto sull’entrata della Turchia in Europa, decise di uscire dal partito, mantenendo il seggio parlamentare sotto l’egida del “Gruppo di Wilders”. Nel 2006 fondò il Partito delle Libertà con cui conquistò il 6 per cento dei voti per arrivare poi al dieci per cento nel 2010, quando offrì l’appoggio esterno al governo Rutte in coalizione con i cristiano-democratici .
Lo sottrasse dopo soli 18 mesi per non sporcarsi le mani con impopolari misure di austerità. Uno sgarbo, quello, che i due partiti di destra e di centro ancora ricordano e per cui hanno giurato di non allearsi mai più con lui. Soprattutto non quest’anno. Sempre che, come il 2016 ci ha ricordato, non arrivi l’imprevisto. E i vecchi piani finiscano a carte quarantotto.