Daniel Luria guida l'organizzazione Ateret Cohanim. Giudica Netanyahu troppo debole e dichiara: "Gli arabi prestino giuramento ai principi dell'ebraismo. Qui eravamo all'inizio e qui rimarremo per sempre"

Daniel Luria sul tetto di una casa a Gerusalemme est, nel 2015
Un detto ebraico recita: «Anche se è kosher, puzza». Tradotto: anche se si tratta di cibo e comportamento in linea con i dettami religiosi, è andato a male. Per la destra ultranazionalista e ortodossa israeliana che dal 2015 fa parte della coalizione di governo, il primo ministro Benjamin Netanyahu è una guida troppo debole per il paese. Ma non a causa delle indagini per corruzione e frode nei suoi confronti, della moglie Sara e di alcuni suoi fedelissimi aperte dalla polizia giudiziaria che ha portato agli arresti un paio di suoi fedelissimi. Bensì per il suo comportamento troppo moderato e laico.

Il partito conservatore Likud, di cui Netanyahu è il leader, viene bollato dal neonazionalismo religioso in crescita di estrema arrendevolezza e il suo segretario di non essere “l’uomo forte” necessario in questo frangente storico turbolento. «La retromarcia di Benjamin Netanyahu sul controllo del Monte del Tempio è stata una vera e propria capitolazione. Togliere i metal detector dopo le proteste violente dei palestinesi musulmani e dei loro sostenitori internazionali ha dimostrato tutta la debolezza del primo ministro. Un vero tradimento nei confronti di chi lo ha votato. Bibi ha sprecato l’ennesima occasione per dimostrare di essere un leader che fa ciò che promette in campagna elettorale». Daniel Luria, direttore esecutivo dell’organizzazione israelo-americana Ateret Cohanim (che ha fondato l’unica colonia ebraica con una Yeshiva a Gerusalemme Est), scandisce il termine capitolazione per enfatizzare in senso negativo la recente decisione di Netanyahu di far rimuovere i metal detector dal Monte del Tempio o Spianata delle Moschee (per i musulmani) dopo averli fatti installare in seguito all’attentato del 14 luglio scorso. Che ha riportato la questione israelo-palestinese sulle prime pagine dei media internazionali.
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Signor Luria, non è un giudizio eccessivo?
«Uso il termine “capitolazione” perché è quello corretto e appropriato. Se Netanyahu avesse sempre detto la verità all’opinione pubblica israeliana e internazionale, non ci troveremmo a questo punto».

Quale per l’esattezza?
«Che gli accordi di Oslo sono morti, che lo Stato palestinese non nascerà mai, che il Monte del Tempio appartiene a Israele essendo il cuore della religione ebraica e che Gerusalemme Est è parte integrante di Gerusalemme e non parte di quelli che l’Onu definisce erroneamente Territori Occupati».

Netanyahu, così come il Parlamento non hanno mai nascosto che Gerusalemme Est, dove sorge la Città Vecchia con il Monte del Tempio-Spianata delle Moschee, facciano parte di Israele. È la comunità internazionale che non ha mai riconosciuto la legge votata dalla Knesset nel 1980 sull’indivisibilità di Gerusalemme, unilateralmente dichiarata capitale dello Stato ebraico.
«Certo, ma Netanyahu nei fatti ha continuato ad agire in modo ambiguo circa l’affermazione dell’ebraicità del Monte del Tempio e sul negoziato di pace. Non ci sarà mai pace in cambio di terra, come hanno dimostrato le reazioni violente dei palestinesi, sostenuti dalla Turchia e dal Qatar, alla logica decisione di installare semplici misure di sicurezza attorno a un luogo cruciale per noi ebrei da dove sono sbucati i terroristi che il 14 luglio hanno ucciso due poliziotti israeliani».

Ma in questo caso erano arabi di nazionalità israeliana e fede islamica che hanno colpito due agenti delle forze dell’ordine e non dei civili.
«Se è per questo anche i poliziotti uccisi erano israeliani non di fede ebraica, ossia drusi. Ciò che voglio dire è che Bibi, essendo una persona intelligente, capace e preparata, dopo aver ottenuto il secondo mandato avrebbe dovuto spiegare senza se e senza ma che siamo al punto in cui non ha più senso parlare di negoziati di pace, di blocco delle colonie perché non vi è alcuna occupazione in corso dato che quelle terre, la Giudea e la Samaria, appartengono al popolo ebraico dalla notte dei tempi e non agli arabi. Se all’opinione pubblica si dice la verità con chiarezza e senza tentennamenti, tutti rispetteranno le decisioni conseguenti».

Questa però non è l’opinione del Consiglio di sicurezza dell’Onu che nella risoluzione approvata lo scorso dicembre ha intimato a Israele di interrompere le attività di espansione e costruzione di nuovi insediamenti nei Territori.
«Ma è l’opinione del governo israeliano che però non ha un leader in grado di tradurla in fatti concreti, pur sapendo che nessuno si opporrà. Cosa potrebbero mai farci? Nulla. Come si è visto nel corso del tempo. Eppure Bibi non ha il coraggio di prendersi le proprie responsabilità».

La sua già scarsa fiducia nei confronti del primo ministro crollerebbe definitivamente se le investigazioni della polizia giudiziaria circa tre casi di sospetta corruzione a suo carico lo portassero davanti al giudice?
«No, e non penso ne rimarrebbe impressionata nemmeno la maggior parte degli israeliani».

Perché?
«Perché l’opinione pubblica, al contrario dei media, non è granché interessata a questa disputa. Economicamente Israele è forte, il governo è riuscito a far crescere il paese ma, per quanto riguarda la questione della sicurezza, primaria per gli israeliani, c’è urgente bisogno di un leader sostenuto da una forte ideologia, determinato a proteggere il nostro diritto di abitare sulla terra che ci è stata data da Dio. Che non può essere considerato un argomento a parte perché l’ebraicità di Israele è parte costitutiva dello Stato stesso».

Se venissero indette elezioni anticipate, il nuovo leader di HaAvoda, l’Unione sionista in cui è confluito anche il vecchio partito laburista, avrebbe delle chance, come suggeriscono i sondaggi?
«Al vertice dei sondaggi per ora rimane ancora Bibi e in seconda posizione, ma con molti punti di distacco Gabbay. Si tratta di un fuoco di paglia dovuto alle recenti primarie che lo hanno visto trionfare. L’opinione pubblica sta virando sempre più a destra, una destra religiosa e combattiva che non può essere insidiata da una persona che proviene dal mondo del business ».

Lei dunque voterebbe per l’attuale ministro dell’Economia e dei Servizi Religiosi Naftali Bennett, leader di HaBayit HaYehudi (la Casa Ebraica), il partito di riferimento dei coloni, che vuole un Grande Israele dal Mediterraneo al Giordano?
«Spero ancora che Bibi si ravveda e mostri il suo vero potenziale approfittando del supporto del presidente Trump, ma non penso accadrà».

I palestinesi secondo lei dove dovrebbero andare se non nascerà mai il loro Stato, se la terra che rivendicano diventerà parte del Grande Israele?
«Ci sono numerose alternative. Se non vogliono andare in Giordania, per esempio, possono rimanere dove si trovano e chiedere la nazionalità israeliana prestando giuramento ai principi dell’ebraismo. Io non ho nulla contro gli arabi e i musulmani purché non pretendano di sottrarci i luoghi dove i nostri antenati sono nati e vissuti molto prima di loro. Qui c’eravamo all’inizio e qui rimarremo per sempre».
colloquio con Daniel Luria di Roberta Zunini