Le minacce di Trump. La strategia di Putin. Le manovre dei turchi. E, in tutto questo, un popolo che abbiamo usato (per combattere l’Isis) e abbandonato subito dopo. Sull’Espresso in edicola da domenica 15 aprile gli interventi-appello di Zerocalcare e Ozlem Tanrikulu, ospiti della nostra redazione

Non sono mai cessati, ma ora venti di guerra spirano ancora più forti in Medioriente. Dopo aver annunciato, solo una settimana fa, il proprio disimpegno nell’area, l’amministrazione Trump, con una conversione a 180 gradi, minaccia un intervento militare in Siria come risposta al sospetto uso di armi chimiche da parte del regime di Bashar Assad a Duma, nella Ghuta orientale, alle porte della capitale Damasco. Dove da ieri le bandiere del governo sono state di nuovo issate sugli edifici pubblici e sono stati dispiegati diversi uomini della polizia russa, dopo che i ribelli, che controllavano l’area, si sono ritirati a nord nelle zona ancora sotto il loro controllo.

Gli americani hanno allo studio varie opzioni che vanno da bombardamenti soft che suonino come monito, a un’offensiva più pesante. Ancora incerti i tempi e il presidente sembra dilatarli quando con un tweet annuncia: “Non ho mai detto quando l’attacco avrà luogo”. Gran Bretagna e Francia sono intenzionate a partecipare ai possibili raid aerei e stanno approntando i piani di attacco. Mentre l’Italia dovrà decidere se concedere l’uso delle proprie basi in una situazione delicata della politica nazionale dopo le elezioni del 4 marzo, con un nuovo governo che non ha ancora visto la luce e con l’esecutivo Gentiloni in carica per gli affari correnti.

Mosca, alleata di Assad, ha già bollato come fake news la notizia dell’uso delle armi chimiche da parte del regime, naturalmente si oppone ai raid e ha già mosso le sue navi dalla base di Tartus, sul litorale siriano. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha precisato che “il canale di comunicazione con Washington resta attivo anche se non è in programma alcun colloquio telefonico tra Trump e Putin”. Il presidente americano si è invece già consultato col presidente turco Erdogan, l’altro attore forte nello scacchiere geopolitico. Sono le grandi potenze che si scontrano per l’egemonia nella regione più calda del pianeta. A farne le spese, al solito, i civili.
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“L’Espresso” dedica la copertina del numero in edicola da domenica 15 aprile proprio a questo tema. I giochi geostrategici “calpestano i popoli”, come recita il sommario. E il concetto è efficacemente illustrato da una vignetta di Zerocalcare (Michele Rech) sopra il titolo “Chi ha tradito i curdi”. Lo stesso Zerocalcare, che tanto si è speso per raccontare la resistenza dei curdi siriani col suo lavoro, ha partecipato a un forum de “l’Espresso”, il cui sunto è ospitato nelle pagine interne, assieme a Ozrem Tanrikulu, presidente dell’ufficio informazione del Kurdistan in Italia, ai nostri giornalisti.
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Il dibattito è stato condotto dal direttore Marco Damilano. I curdi siriani sono stati usati come esercito-taxi dall’occidente per combattere, e sconfiggere, lo Stato islamico di Abu Bakr al-Baghdadi, prima a Kobane e poi a Raqqa, la sedicente capitale del califfato. Poi quando non servivano più sono stati abbandonati al loro destino, alla mercé delle truppe turche, penetrate nelle zone da loro abitate: Erdogan non vuole la nascita di un’entità curda a ridosso dei suoi confini perché teme un effetto emulazione da parte dei curdi che abitano la parte sud-orientale della Turchia.

Di tutto questo si è parlato durante il forum. Ozrem Tanrikulu ha spiegato il progetto di democrazia confederale del Rojava e descritto l’attuale situazione umanitaria nella regione. Ha anche negato che i curdi vogliano costruire un’entità statuale a cavallo dei confini tra Siria, Iraq e Turchia. Zerocalcare ha raccontato i motivi che lo hanno portato a interessarsi della causa curda.

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