La nuova legge sullo Stato-Nazione accende la protesta delle minoranze arabe e delle opposizioni. Perfino i drusi, tradizionalmente vicini alla destra, sono furiosi. E parlano apertamente di una “norma razzista”
Quando lo scorso dicembre mi sono presentato al ministero degli Interni israeliano a Tel Aviv per richiedere un visto con permesso di lavoro, oltre ai miei documenti d’identità ho presentato anche una lettera del quotidiano “Haaretz” in cui si confermava che il richiedente avrebbe avuto un impiego in Israele. Immaginavo mi avrebbe aiutato a sveltire la burocrazia. Ma la funzionaria del ministero l’ha subito messa da parte: «Di quella non me ne faccio nulla», ha detto con la classica “hutzpà” (la proverbiale faccia tosta israeliana). «Tu non otterrai il visto di lavoro perché c’è qualcuno che vuole assumerti: lo otterrai perché sei ebreo». Il giorno successivo, di nuovo al ministero per perorare la mia causa e sfidare le lungaggini burocratiche, un suo collega mi ha apostrofato mentre morivo di noia in sala d’attesa: «Di che nazionalità sei?», mi ha chiesto. «Italiana», gli ho detto. «No», mi ha corretto lui, «tu sei di cittadinanza italiana, ma nazionalità ebraica. Sbrigati, vieni da questa parte. E si può sapere perché non chiedi direttamente la cittadinanza di Israele?».
Se il siparietto può risultare sgradevole a un lettore europeo, che magari si è indignato quando i rappresentanti dei paesi del gruppo di Visegrad hanno proposto di accettare solo “migranti cristiani”. Ma qui non ci si deve stupire più di tanto: lo Stato d’Israele fu preconizzato da Theodor Herzl alla fine del XIX secolo con un libro intitolato proprio “Lo Stato ebraico.” Quanto alla “legge del ritorno”, che sancisce il diritto di ogni ebreo nel mondo ad ottenere in tempi brevi la cittadinanza israeliana, fu promulgata negli anni Cinquanta ma era già stata annunciata nella dichiarazione d’Indipendenza del 1948. Nulla di nuovo, insomma, se a garantirmi il visto di residenza (o la cittadinanza israeliana, se l’avessi richiesta), è stato un “certificato d’ebraismo” stampato dalla comunità di Milano e non una lettera del mio datore di lavoro.
Eppure il dibattito sulla natura ebraica dello Stato è al centro della polemica più rovente dell’estate politica 2018 in Israele, settanta anni dopo la fondazione del stato.
A far mettere sul piede di guerra le minoranze, soprattutto quella arabo-israeliana e la compagine drusa che insieme rappresentano oltre il 20 per cento della popolazione, è una legge voluta dal governo di Benjamin “Bibi” Netanyahu in cui si afferma che «il diritto di esercitare l’autodeterminazione nazionale nello stato di Israele appartiene esclusivamente al popolo ebraico». La legge ribadisce inoltre l’importanza del rapporto fra Israele e la diaspora ebraica, definisce l’espansione degli insediamenti ebraici in Israele un «valore nazionale» e sancisce la supremazia dell’ebraico sull’arabo decretandolo unica lingua ufficiale.
«Il problema della legge è ciò che non dice, più che quello che dice», spiega il commentatore politico israeliano Anshel Pfeffer: «Israele è stato uno stato ebraico fin dalla dichiarazione d’indipendenza del 1948, in cui però si specificava anche che il paese sarebbe stato democratico e avrebbe garantito l’uguaglianza assoluta di tutti i cittadini. Nella legge sullo Stato-nazione invece manca questa piccola puntualizzazione», continua con ironia Pfeffer, «ignorando del tutto le minoranze. È come se dicesse: se non sei ebreo vattene a quel paese». Zouheir Bahloul, un raro parlamentare arabo del partito di opposizione Unione sionista, si è dimesso dalla Knesset all’indomani dell’approvazione della legge malgrado il suo partito abbia votato contro. «È una norma razzista, non c’è altro da dire», dice Bahloul dalla sua casa nella città di Akko, nel nord di Israele. «Stanno mettendo la minoranza araba sempre più all’angolo, calpestando i nostri diritti come per volerci cancellare. Gli oltranzisti al governo prima o poi scateneranno una rivolta interna», dice. «Ho aderito a un partito ebraico per diventare un esempio d’integrazione agli occhi degli arabo-israeliani e ho mandato mia figlia a una scuola del gruppo etnico di maggioranza», continua, «ma ora mi sono stufato di rimanere impotente in un parlamento dominato da oltranzisti come Netanyahu, Naftali Bennett o Ayelet Shaked, e sono contento che mio figlio sia andato in una scuola araba, anche se ricevono meno fondi». Ma non si è sempre saputo che Israele è uno stato ebraico? «Sì, ahimé, ma la nuova norma appartiene alla categoria delle cosiddette “leggi di base”, che in Israele in assenza di una Costituzione sono quelle fondamentali. Essere trattati come se non esistessimo in un documento del genere fa da vvero male. Il fatto che l’arabo non venga definito una lingua ufficiale è un’offesa alla nostra specificità culturale ».
Ancora più furibondi sono i rappresentanti della minoranza drusa, che conta circa 140 mila persone in Israele ed è presente anche in Siria, Libano e Giordania. Tradizionalmente fedele alle autorità sovrane ed estranea ad aspirazioni irredentiste, a differenza degli arabo-israeliani i drusi hanno da sempre appoggiato il sionismo e Israele. Il parlamentare Akram Hasson, che appartiene alla maggioranza di governo ma in quanto druso si è opposto alla legge, urla la sua rabbia: «Non accetteremo di essere trattati come cittadini di serie B, i drusi hanno rivestito ruoli di primo piano nell’esercito israeliano fin dalla fondazione dello stato e abbiamo perso 427 soldati per costruire il paese».
Hasson, che si è rivolto alla Corte Suprema per chiedere di cancellare la legge e avrà una risposta il prossimo 27 gennaio, definisce il provvedimento «fanatico oltre che inutile». «Tradisce il pensiero di Theodor Herzl, Ze’ev Jabotinsky, David Ben-Gurion, che hanno concepito lo stato ebraico come rispettoso delle minoranze», aggiunge citando i padri fondatori di Israele.
Diversi militari drusi hanno rassegnato le proprie dimissioni all’indomani dell’approvazione della legge, e decine di migliaia di cittadini comuni appartenenti alla minoranza sono arrivati dalla Galilea e dalle alture del Golan per protestare in piazza Rabin, in centro a Tel Aviv. Al loro fianco c’erano anche i sostenitori della sinistra israeliana, che considerano la legge una forma di “dittatura della maggioranza”: una compagnia scomoda per i drusi, che sono perlopiù di destra e vogliono evidenziare in questa fase la propria diversità rispetto agli arabi che hanno da sempre rifiutato la narrativa sionista. «Vogliamo protestare in quanto drusi, senza confondere la nostra causa con altre istanze», dice l’attivista Eman Safadi, arrivata alla manifestazione dal villaggio druso di Isifya, vicino a Haifa. «Penso che Netanyahu abbia voluto strizzare l’occhio alla sua base in vista delle elezioni del 2019», aggiunge cercando di spiegarsi la tempistica singolare di una legge che definisce le caratteristiche fondamentali di un Paese nato settant’anni fa.
Miki Zohar, un parlamentare del Likud di Netanyahu che ha sostenuto la legge dello Stato-nazione, non si lascia impressionare dalla protesta delle minoranze: «Lo scopo di questa norma era quello di chiarire una volta per tutte che Israele è il paese della nazione ebraica, degli ebrei di tutto il mondo», dice. «Ci sono altre leggi di base in cui si cita l’eguaglianza di tutti i cittadini e il carattere democratico delle istituzioni dello stato: non era necessario ripetersi qui. Quanto alla petizione di Hasson alla Corte Suprema, finirà in un nulla di fatto: il testo non dice che non c’è uguaglianza, semplicemente non si esprime sulla questione», aggiunge Zohar. Per il parlamentare conservatore bisognerebbe usare la nuova legge per rimuovere la segnaletica stradale in arabo, che già oggi maschera talvolta con caratteri arabi nomi topografici ebraici: Gerusalemme, per esempio, viene indicata con lettere arabe ma con il termine ebraico “Yerushalaim” su alcuni cartelli. «L’ebraico è la lingua dello Stato, e l’inglese è per i turisti. Questo è quanto».
In tutto questo, le autorità religiose israeliane stanno cercando di estendere le proprie prerogative sulle comunità della diaspora, stabilendo canoni ortodossi in fatto matrimoni ebraici e conversioni. Una legge attualmente in discussione alla Knesset, per esempio, autorizzerebbe la polizia israeliana ad arrestare cittadini stranieri di religione ebraica di passaggio in Israele qualora si rifiutino di concedere il “ghet”, l’equivalente religioso del divorzio, alla ex moglie nel paese di origine.
Cittadini stranieri privi di passaporto israeliano finirebbero così in manette per un comportamento considerato illegale dai tribunali religiosi.Del resto il Gran Rabbinato d’Israele tre mesi fa aveva scomunicato pure i carciofi alla giudia, suscitando qualche perplessità nella comunità ebraica italiana.