«A Roma ho visto diverse persone. Il ministro Minniti? Non ricordo». Parla Abdul Rhaman Milan detto "Bija", l’uomo accusato di essere un trafficante e invitato in italia nel 2017. «Siamo andati anche alla Guardia Costiera italiana, alla Croce Rossa Italiana, al Ministero della Giustizia italiano e poi siamo andati al Viminale stesso»

Aggiornamento 12 aprile 2021: Il trafficante Bija è stato scarcerato dalla Procura generale di Tripoli: «Non ci sono prove» che fosse l'aguzzino dei migranti». Abd al-Rahman Milad era stato arrestato a ottobre 2020  dalla "Forza di dissuasione", quindi dalla milizia "Rada", del Governo di Tripoli.

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Nel maggio del 2017 lei era in Sicilia, cominciamo dal principio. Chi l’ha invitata?

«Ho ricevuto l’invito da Oim (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) tramite la Guardia costiera che fa parte della Marina libica. Il viaggio non riguardava solo l’Italia ma anche Tunisi e la Spagna. È stato un viaggio molto fruttuoso, in Italia abbiamo cambiato posto ogni giorno, in Sicilia, a Roma, nel Lazio. È stato utile perché abbiamo visitato le navi dell’Operazione Sofia e della Guardia costiera italiana, il centro di accoglienza in Sicilia a Mineo».

Sul foglio in possesso de L’Espresso - datato 3 aprile 2017 – l’Oim (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) in veste di ente organizzatore di una visita di studio in Italia “prega la sezione consolare italiana a Tunisi di facilitare le procedure di emissione dei visti” e si parla di tredici persone. Chi erano queste persone? Chi componeva la delegazione libica?
«C’erano dodici membri oltre me, alcuni del ministero dell’Interno libico, specificamente del Dcim cioè l’ente che si occupa dell’Immigrazione illegale, poi membri del ministero degli Esteri, del ministero della Giustizia, un membro dell’ufficio del Procuratore generale e un altro membro della Guardia costiera».
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Quindi lei è partito per l’Italia con un visto regolare?
«Sono partito con un visto regolare, ho fatto un colloquio in una sede dell’Ambasciata italiana in particolare presso l’ufficio di rappresentanza al dodicesimo piano della torre di Tripoli. Sono andato lì, ho fatto richiesta del visto, mi hanno fatto le foto e dunque tutti sapevano che Abdul Rhaman sarebbe arrivato in Italia. Sempre nella lettera di invito di Oim si legge che la proposta di programma “prevede incontri presso diverse autorità italiane e comunitarie”».

Quali membri delle istituzioni italiane avete incontrato?
«Per prima cosa abbiamo visitato il porto di sbarco in Italia, in Sicilia, non ricordo bene la zona precisa e lì ci hanno spiegato come vengono accolti i migranti quando sbarcano, poi li hanno trasferiti da un centro ad un altro e abbiamo visitato i centri per migranti. C’erano anche migranti libici e siriani, ricordo. Solo questo».

Esclusivo
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Lei ha detto all’inizio del nostro incontro che la conferenza italiana è stata molto fruttuosa, perché?
«Ho visitato le motovedette italiane e come trattano i migranti, come noi. Fanno le foto con le registrazioni, abbiamo imparato come la Guardia costiera usa radar e altri mezzi. Abbiamo stretto una cooperazione tra la Guardia costiera libica e quella italiana per riattivare i termini dei Memorandum, come quelli vecchi del 2008».

Due mesi dopo la sua visita in Italia, le partenze dalle coste libiche verso l’Italia improvvisamente si fermano, in modo drastico. Una delle ricostruzioni del suo incontro in Italia è che quella conferenza sia stata occasione per una trattativa segreta tra lei e le istituzioni italiane per bloccare le partenze. È vero?
«È molto complicato da spiegare. E lungo. Noi consideriamo la trattativa in corso da anni non da pochi mesi.
Prima dell’arrivo delle motovedette italiane la Guardia costiera libica era debole, lavoravamo solo con uno Zodiac di sette metri. Dopo gli accordi con l’Italia abbiamo rimesso in mare una motovedetta, la Tallil. E quando abbiamo ricevuto le motovedette eravamo sempre in mare, ne recuperavamo a migliaia. Partivano da tutta la costa, da Sabratha, da Zuwara, ma li prendevamo subito. Se i migranti vengono catturati poi non si fidano più dei trafficanti. Volevamo questo. E poi abbiamo cominciato a prendere i motori e bruciare i gommoni. Era il modo di dire: è finita».

Ma il vero problema erano le Ong. Perché ce l’ha tanto con le Ong?
«Perché erano troppe e troppo vicine, a sei sette miglia dalla costa. È stato un problema, perché le Ong hanno aumentato il numero delle persone che lavoravano nel traffico di uomini. A quel tempo chiunque lavorava nel traffico, donne, bambini, chiunque. Allora cosa abbiamo fatto? Ho chiesto un incontro al colonnello Ayub Qassim (portavoce della Guardia costiera libica, ndr) e gli ho chiesto di spingere le Ong oltre 60 miglia dalla costa. Perché per i gommoni non è possibile arrivare a 60 miglia, solo uno su cento ce la può fare. Era il nostro obiettivo. Mandare via le Ong. E quando ci siamo riusciti, i gommoni arrivavano a venti miglia dalla costa libica e per noi era facile prenderli. Quando abbiamo mandato via le Ong le partenze sono diminuite. Questa era la nostra soluzione».
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Perché hanno scelto proprio lei, Abdul Rhaman Milad, tra tanti, per far parte della delegazione libica?
«L’Oim voleva gente esperta che lavorava sul campo. Quando mi hanno chiamato cercavano i più attivi, quelli che avevano più risultati. E come membro della Guardia costiera e capo della Guardia costiera Ovest, a Zawhia ero la persona giusta. Ora mi chiedo, perché questa guerra su Abdul Rhaman? Cosa vogliono queste Ong? Per sfortuna noi non ci siamo trovati a combattere solo le Ong ma anche i Paesi che le finanziano. Le Ong vogliono che smettiamo di fermare il traffico perché vogliono il caos. Le Ong vogliono mettere a tacere la Guardia costiera libica».

Durante il viaggio ha incontrato qualche membro del governo italiano?
«Abbiamo incontrato membri del Ministero dell’Interno».

Chi?
«Non ricordo i nomi, non chiederli perché non ricordo».

Poi?
«Siamo andati anche alla Guardia Costiera italiana, alla Croce Rossa Italiana, Ministero della Giustizia italiano e poi siamo andati al Palazzo del Ministero dell'Interno stesso».
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Ricorda di aver incontrato anche l’allora Ministro dell’Interno Marco Minniti?
«Non so, forse, non ricordo». (Qui la replica di Minniti: "Non l'ho incontrato")

Qualche mese dopo la sua visita in Italia, l’Onu impone sanzioni contro lei e altre cinque persone, ritenuti boss dei traffici in Libia. Lei è ritenuto un pericoloso trafficante perché secondo le accuse faceva il doppio gioco, “fermando le imbarcazioni dei trafficanti concorrenti per avere il monopolio sulla rotta”.
«Pericoloso trafficante? Ok. Il consiglio di sicurezza i suoi report erano fondati su post su Facebook e social media e altri report maliziosi, falsi. Rispetto la decisione del Consiglio di Sicurezza però non hanno alcuna prova per condannarmi. Vengano qui a interrogarmi. Sono disponibile. Così mi portano le prove. Il video in cui picchio quel migrante? Ve lo spiego perché lo picchio».



A proposito di quel video, durante una intervista con Reuters lei ha detto: “Sì, colpisco i migranti e così si siedono correttamente e non si muovono”, come dire che picchia i migranti che recupera in mare per tenerli calmi.
«Guardate il video per capire perché abbiamo fatto così, nel gommone c’erano donne e bambini e volevano salvarsi saltando velocemente sulla motovedetta. Proviamo a parlare con loro, non ci capiscono. C’erano 140-170 persone e se saltavano tutti insieme non avrei potuto salvarli. Allora ho picchiato uno di loro per fare ordine».

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Dopo la decisione del Consiglio di Sicurezza lei è stato sollevato dal suo incarico come capo della Guardia Costiera di Zawhia.

«Ho smesso di lavorare perché ho ricevuto ordine dall’ammiraglio della Guardia Costiera, e come qualsiasi membro, quando riceve una denuncia deve interrompere il suo lavoro e ho lasciato tutto il carico al mio sottoposto».

Tornerà al suo posto?
«Due settimane fa ho ricevuto una lettera ufficiale per tornare al mio posto, a capo della Guardia Costiera di Zawhia».

AGGIORNAMENTO 25 OTTOBRE ORE 16.
La replica di Minniti: "Non ho incontrato Bija"