Era un radicale di sinistra. Oggi si rilancia a capo di un’alleanza europeista e socialdemocratica. E dopo aver incassato l’accordo con la Macedonia e ottenuto le scuse di Juncker, ha otto mesi per superare la destra
Dopo ventotto anni, la disputa sul nome dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia si è conclusa con la ratifica da parte del Parlamento greco dell’accordo con il piccolo Paese balcanico confinante. Skopje vedrà il suo nome cambiato in Macedonia settentrionale per distinguerla dalla regione greca della Macedonia. La decisione, definita “storica” dalla diplomazia occidentale, permetterà alla Macedonia settentrionale di entrare nell’Unione Europea e nella Nato.
Ironia della storia, il giorno in cui è stata votata la ratifica è coinciso con l’anniversario della prima vittoria elettorale nel 2015 di Syriza, il partito della sinistra radicale traghettato dal suo leader Alexis Tsipras dalla estrema periferia del panorama politico al cuore del potere greco.
Ma per arrivare fino a qui il primo ministro Tsipras ha dovuto superare ostacoli inediti e, secondo i suoi detrattori, tradire tutte le promesse elettorali e le istanze di sinistra di cui dichiarava essere il fedele portavoce. Al contempo nessuno può negare che Tsipras abbia dimostrato grande abilità diplomatica e fiuto politico nel risolvere uno dei capitoli più delicati per la Grecia contemporanea in ambito geopolitico, riabilitandosi agli occhi dell’Unione Europea e degli Stati Uniti - spina dorsale della Nato - e allontanandosi dalla Russia, contraria all’accordo che ha sottratto un altro paese balcanico alla sua area di influenza. Anche la Turchia, attore di peso nell’area ne risulta depotenziata, fatto che ha smorzato la retorica nazionalista della estrema destra ed estrema sinistra greca.
Per ottenere questa vittoria internazionale, Tsipras ha rischiato consapevolmente la poltrona in casa. Anel, il piccolo partito sovranista di destra dei Greci Indipendenti, ha abbandonato la coalizione di governo prima del voto di fronte alle proteste nazionaliste. Ma Tsipras già sapeva che alcuni parlamentari e ministri di Anel avrebbero votato a favore per non perdere la loro di poltrona. Non solo. Prima del passaggio in aula, Tsipras ha usato la “questione macedone” per tentare di formare una compagine progressista in vista delle elezioni europee e delle consultazioni legislative calendarizzare a ottobre. E a quanto pare ci sta riuscendo: la maggior parte dei deputati del centrista Potami e di Sinistra Democratica, Dimar, membro di Movimento per il Cambiamento, Kinal, guidato dall’ex partito socialista Pasok contrario all’accordo, hanno contribuito all’approvazione pur sapendo di correre il pericolo di uscire ridimensionati o addirittura scomparire dall’arco parlamentare con la nuova tornata elettorale e ritrovarsi a dover confluire dentro Syriza. Dimar, intanto, è stato espulso da Kinal.
Rischi calcolati, certo, ma non vi è dubbio che il primo ministro sia riuscito nel suo intento di polarizzare il panorama politico. Da una parte il blocco con a capo Syriza, dall’altro Nuova Democrazia, il maggior partito di opposizione, conservatore di destra, guidato dal poco carismatico figlio d’arte Kyriakos Mitzotakis. Dai sondaggi Nea Demokratia è ancora al primo posto ma in calo dopo il voto di fiducia chiesto e ottenuto da Tsipras in seguito alla rottura della coalizione di governo.
Molti greci usano ormai il termine “mago” per definire Tsipras, passato da barricadero no global a figliol prodigo della Ue, nel cui ambito però sceglie di sostenere il regime di Maduro in Venezuela assieme alla destra austriaca e ai grillini.
Sembrano ormai lontani secoli i giorni dell’estate 2015 quando Bruxelles mise sotto lucchetto i bancomat greci assediati da pensionati terrorizzati di non poter riscuotere la pensione. Poco dopo aver portato Syriza alla vittoria, consigliato dall’allora ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, Tsipras aveva tentato una rinegoziazione del piano di austerity attraverso il referendum del 5 luglio, il più sfortunato tentativo della storia fino alla Brexit. La conseguenza della valanga di voti contro la Troika fu l’inabissarsi dell’economia greca con il blocco della liquidità e l’emersione dei neonazi di Alba Dorata dagli inferi fino a diventare il terzo partito greco, posto che dovrebbe essere confermato anche nelle prossime elezioni.
Alla fine Tsipras ignorò il risultato del referendum, che lui stesso aveva organizzato, e dopo la scissione dell’ala più radicale di Syriza si sottomise alle richieste dei creditori internazionali con la firma del terzo piano di salvataggio contenente riforme ancora più draconiane di quelle previste dai memorandum precedenti. Lo ha riconosciuto anche Jean-Claude Juncker, il presidente uscente della Commissione europea durante un intervento in aula a Strasburgo: «Le riforme strutturali restano essenziali ma, durante la crisi del debito l’austerità fu avventata... Non siamo stati sufficientemente solidali con i greci».
Tsipras tuttavia sopravvisse al round elettorale successivo, nel settembre 2015, forse proprio perché aveva di fatto messo da parte le istanze più radicali della sinistra greca che gli aveva concesso il voto. Assicuratosi lo zoccolo duro dell’elettorato, il premier si è concentrato sulla costruzione della propria immagine a livello internazionale trasformandosi nel primo ministro greco più rispettoso degli Stati Uniti e dell’Unione europea da Costas Simitis negli anni ’90. Tsipras, da populista anti austerity, è diventato un esecutore della disciplina finanziaria dell’Ue. La sua “nuova” ricetta per la torta greca con ciliegina macedone in cima gli è valsa il plauso persino dei giornali tedeschi: «Solo Tsipras sfida il vuoto di leadership dell’Occidente», ha titolato ad esempio “Die Welt”.
L’opposizione sperava che l’accordo con la Macedonia avrebbe creato un cataclisma all’interno del governo, invece il pomo della discordia è finito nel suo campo e la leadership di Mitsotakis ne è uscita indebolita creando diatribe interne al partito. Anche il Pasok, vicino a Nea Demokratia per quanto concerne la Macedonia, si è diviso sulla questione e alcuni dei suoi parlamentari si sono schierati con Tsipras.
A questo punto i piccoli partiti sono stati decimati e Syriza sembra aver fatto breccia al centro.
A quattro anni dall’ascesa di Tsipras al governo della Grecia c’è dunque chi vorrebbe dargli il Nobel per la Pace grazie all’accordo con la Macedonia e chi lo ritiene un opportunista o addirittura un bieco traditore che ha svenduto la sovranità e identità greca assieme ai valori della sinistra e all’alleanza con Mosca dovuta anche alla comune radice religiosa.
Ma formulare un giudizio distaccato, se non imparziale, su Alexis Tsipras è difficile poiché nessun primo ministro nella storia dell’Unione aveva finora dovuto provare a ricostruire un intero Paese in seguito al cataclisma sociale prodotto da un’inedita crisi economica nel cuore dell’Europa contemporanea.
L’inesperto e giovane Tsipras si è trovato anche a dover sopportare per anni l’accanimento della potente Germania che ha voluto punire la piccola e povera Grecia per “educare” tutti i Paesi dell’Europa del Sud, Italia compresa, guarda caso definiti con l’acronimo volutamente dispregiativo di Pigs (maiali in inglese) giudicati inaffidabili e scrocconi.
Il “mago” Tsipras da oggi al giorno delle elezioni europee ha assicurato che farà uscire dal suo cilindro altre sorprese a beneficio dei più deboli e di Syriza per farla risalire ancora di più nei sondaggi. Per riuscire a portare la Grecia fuori dal “programma di salvataggio” e far mettere la cravatta al premier, come è avvenuto lo scorso luglio, l’Europa aveva richiesto un ennesimo taglio delle pensioni. Ma ciò pare non accadrà grazie alle recenti performance finanziarie e geopolitiche del governo Tsipras in linea con i desiderata di Bruxelles. Inoltre, grazie al surplus incamerato dallo Stato per tenere fede al memorandum, il governo ha già stanziato i sussidi per i più poveri e nuovi investimenti in ambito sociale.
Di contro la favorita Nea Demokratia potrebbe indietreggiare nei sondaggi quando i giudici a breve dovrebbero rinviare a giudizio per corruzione alcuni dei dieci, tra deputati e funzionari del partito, suoi membri indagati nello scandalo della casa farmaceutica Novartis. In questa “sporca decina” sotto inchiesta c’è anche l’ex primo ministro firmatario del secondo memorandum Antonis Samaras, un altro ex primo ministro, Panagiotis Pikrammenos, il governatore della banca centrale, Yannis Stournars e il commissario europeo per la Migrazione Dimitris Avramopoulos.
Non si conoscono invece i nomi dei tre accusatori le cui testimonianze sono il principale elemento in mano all’accusa. Il sito Politico ha però potuto vedere alcuni dei verbali delle testimonianze. Secondo le accuse questi avrebbero ricevuto tangenti dalla società farmaceutica per impedire la riduzione del prezzo di alcuni farmaci e mantenere così alti i suoi profitti. Le tangenti sarebbero state pagate nel momento peggiore della crisi, quando a causa dei tagli al budget per la Sanità pubblica i servizi ospedalieri erano solo parzialmente garantiti ai contribuenti. Uno degli aspetti più crudeli di questa decade di lacrime e sangue.