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Lo shopping center nel quartiere elegante di Punta Carretas a Montevideo è un mall come tanti altri nel mondo, più o meno stesse marche, più o meno stessi prezzi. Molti uruguaiani, soprattutto la bella gioventù che si gode gli ultimi giorni dell’estate australe sulle spiagge in città o correndo lungo la rambla costiera, faticherebbero a riconoscere nel centro commerciale di Punta Carretas un sito di archeologia recente della loro patria. Dove oggi ci sono le vetrine luminose fino al 1991 c’erano i Piombi del più noto penitenziario del paese, quattrocento celle di massima sicurezza destinate per lo più ai prigionieri politici. All’alba del 6 settembre 1971, dopo avere scavato un tunnel fino a un edificio all’esterno della prigione, oltre cento detenuti riuscirono a scappare in una delle evasioni più clamorose della storia, nota come “el abuso”. In maggioranza i fuggitivi appartenevano al movimento di guerriglia marxista dei Tupamaros. Tra loro, c’erano il fondatore Raúl Sendic Antonaccio, il futuro presidente dell’Uruguay (2010-2015) José “Pepe” Mujica Cordano ed Eléuterio “Ñato” Fernández Huidobro, ministro della Difesa fino al 2016 con l’attuale presidente Tabaré Vázquez.
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La vicenda personale e politica di Mujica e Huidobro, di nuovo arrestati nel 1973 all’inizio della dittatura e tenuti in ostaggio dentro carceri diverse fino alla fine della dittatura nel 1985, è raccontata nel film uscito da poco in Italia “Una notte di dodici anni” di Álvaro Brechner tratto da un testo di Mauricio Rosencof, il terzo protagonista della sceneggiatura.
La successione di torture, violenze, omicidi, mostrata dall’opera di Brechner appartiene a un Uruguay molto diverso. Era quello che veniva definito la Svizzera del Sudamerica per il suo segreto bancario a tutta prova, come sapevano per diretta esperienza i nostri piduisti. In Uruguay erano di casa Licio Gelli e soprattutto Umberto Ortolani, per molti il vero capo della loggia segreta, che risiedeva nell’elegante quartiere montevideano di Carrasco, a due passi dall’aeroporto, e gestiva il Banco Financiero (Bafisud), colossale lavatrice di denaro sporco. Il figlio di Umberto, Piero Maria Ortolani, è ancora oggi uno degli uomini più ricchi del paese e l’archivio della loggia massonica, custodito dalla polizia politica del regime, è provvidenzialmente sparito nel 1986 poco dopo il ritorno di una democrazia che ha faticato a fare i conti con i crimini dei militari.
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Anche dopo la democratizzazione il “paisito”, come lo chiamano i locali, rimane strategico per gli equilibri dell’America Latina. Le elezioni presidenziali, fissate alla fine del 2019 in parallelo con quelle della confinante Argentina e della Bolivia di Evo Morales, sono un test fondamentale per capire se la deriva del Sudamerica verso destra, con la vittoria nel 2018 di Iván Duque in Colombia e di Jair Bolsonaro in Brasile, si è fermata. A differenza dell’Argentina, che non si entusiasma per una corsa fra l’uscente di destra Mauricio Macri e l’ex presidentessa Cristina Kirchner, a est del Rio de la Plata la campagna elettorale è già in pieno corso.
L’Uruguay è stato governato negli ultimi quindici anni dal Frente Amplio (Fa), uno schieramento di centrosinistra paragonabile al primo Ulivo in Italia che non conosce derive bolivariano-chaviste.
I dati parlano a favore del governo in carica. Lo Stato platense ha il pil pro capite più alto a sud del confine Usa-Messico (16.245 dollari all’anno secondo la Banca Mondiale). Il pil generale è cresciuto in media del 3,3 per cento all’anno dal 2010. Secondo Forbes, è secondo dopo il Cile fra i paesi più business-friendly dell’area. È primo nella classifica 2018 di Transparency International che piazza l’Uruguay alla casella generale numero 23 (l’Italia è trenta posti più in basso). Ha politiche sui lavoratori stranieri che l’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni) considera esemplari. Ottimi risultati vengono anche dalle elaborazioni dell’Economist sui paesi con maggiore libertà civili e democrazia e dall’indice Gini sulle diseguaglianze retributive.
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Diversamente dall’Argentina e dopo molte resistenze del presidente in carica Vázquez, cinque anni fa l’Uruguay ha approvato una legge sull’aborto, unica nazione sudamericana, e ha legalizzato il matrimonio omosessuale. In centro a Montevideo i cittadini maggiorenni registrati possono acquistare marijuana in un negozio specializzato che, insieme al prodotto di base, vende gadget di ogni tipo inclusa la bandiera nazionale con la foglia di cannabis al posto del sole.
In politica estera il Frente Amplio, con la sola compagnia del Messico di Andrés Manuel López Obrador, si è opposto a riconoscere Juan Guaidó in Venezuela e tenta ancora di trovare una mediazione con il caudillo militare Nicolás Maduro. Ma mentre il Messico è la bestia nera del presidente Usa Donald Trump, il suo terzogenito Eric ha appena visitato Punta del Este a scopo di affari. Nella Miami beach platense sono in corso i lavori per realizzare una Trump Tower di ventisei piani che si doveva inaugurare nel 2017. Il ritardo non è dovuto ai locali ma alle vicende sui conflitti di interesse di Trump.
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Sempre a Punta del Este, nella zona di playa Brava, un’altra famiglia di imprenditori stranieri ha appena annunciato un investimento nell’alberghiero-residenziale di lusso per la cifra di 450 milioni di dollari. Sono italiani, stavolta: Arrigo Cipriani, l’inventore dell’Harry’s bar di Venezia, e il figlio Giuseppe, usciti con ammissione di colpa da un grosso guaio fiscale con la giustizia Usa, poco meno di dieci anni fa, e felicemente installati con la loro holding estera nello stato del Delaware. I Cipriani raderanno al suolo e ricostruiranno l’hotel San Rafael su un disegno dell’architetto fiorentino Michele Bonan. Per completare la struttura sarà aggiunto un casinò modernissimo capace di attirare dal vicino Brasile ancora più turisti dei tanti che già si affollano lungo la costa.
Nell’Uruguay dei diritti, del buon governo, dell’uguaglianza, del boom economico, le elezioni del prossimo novembre dovrebbero essere una passeggiata per il Frente Amplio. Non è così e non soltanto per la tentazione, dopo quindici anni, di cambiare tanto per cambiare. Dopo il 2014 l’economia ha rallentato di molto, con un 2015 a crescita prossima allo zero e un 2018 stimato nell’ordine di un +1,4 per cento. A soffrire di più è stato “el campo”, lo spazio dedicato all’agricoltura e all’allevamento dove circa 1,5 milioni di uruguaiani vivono in un territorio grande più di metà dell’Italia. Anche se la crisi non è così forte come quella che si vive nella pampa argentina, il calo di prezzo delle materie prime e l’aumento dei costi di mantenimento del bestiame ha colpito molte aziende a partire dalla più grande di tutte, l’Uag del giovane rampante Juan Sartori che si è candidato alle primarie del principale schieramento di centrodestra, i Blancos, senza preoccuparsi di pestare i piedi ai maggiorenti del partito.
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La frenata economica è accompagnata dalla sensazione di distacco dalla comunità privilegiata della capitale, delle spiagge, della corniche di Punta del Este. È uno schema simile a quello visto con Brexit e con l’adesione al trumpismo della “rust-belt” negli Stati Uniti. Come in Europa, c’è scontentezza verso l’immobilismo del Mercosur, la copia del vecchio Mercato comune europeo che mette insieme Uruguay, Argentina, Brasile, Paraguay e quanto resta del Venezuela.
Il nome del movimento di protesta (“Un sólo Uruguay”) contiene l’essenziale del programma di gáuchos e campesinos che potrebbero essere una pedina decisiva nelle elezioni per la presidenza e hanno già lanciato i loro comizi su palchi improvvisati, nel fumo delle onnipresenti parrilladas, le grigliate di carne che sono il perno della cucina locale.
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Il Frente Amplio, per parte sua, ha un chiaro problema di ricambio generazionale. Il presidente Vázquez, oncologo socialista e massone con un passato da portiere e dirigente calcistico (uno scudetto all’attivo con l’Atlético Progreso in piena dittatura), è del 1940 come il suo braccio destro, il ministro dell’economia Danilo Astori. Pepe Mujica è a quota 83 anni e sua moglie, l’attuale vicepresidente della Repubblica Lucía Topolansky, ne ha 74.
Un tentativo di Mujica di lanciare la candidatura di Raúl Sendic junior ha avuto un effetto boomerang perché il figlio del fondatore dei Tupamaros era già stato costretto a dimettersi dalla vicepresidenza a causa di un curriculum un po’ abbellito, alla Giuseppe Conte, diciamo. La quaterna che si presenterà alle primarie di giugno del Frente amplio, guidato da Javier Miranda, è composta dall’ex ministro dell’Industria Carolina Cosse, dall’intendente della capitale Daniel Martínez, dall’ex numero uno della Banca centrale Mario Bergara e dall’ex deputato Óscar Andrade. Nessuno di loro ha lontanamente il carisma dei predecessori.
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La destra sta facendo pesare contro il Frente, oltre allo scontento delle campagne e alle buone relazioni con Maduro, l’elemento sicurezza. Non solo in periferia ma anche in alcune zone centrali di Montevideo a iniziare dalla città vecchia la situazione è piuttosto precaria. Intorno al Mercado del Puerto, una sorta di Boquería barcellonese piena di turisti in cerca di asado, si tenta una gentrification che gran parte del quartiere contesta benché sia ancora molto lontana. Lo stesso vale per la zona del Barrio Sur-Palermo, orgogliosamente legata ai suoi murales in giallonero dedicati al club di calcio del Peñarol e alle radici di un quartiere “ciento por ciento negro”.
A eccezione della zona pedonale di Sarandí, piena di bellissime librerie che espongono le glorie nazionali e internazionali come Juan Carlos Onetti, Eduardo Galeano, Mario Benedetti, il centro di Montevideo appare sciatto, bisognoso di restauri.
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Il confronto con la grandiosità monumentale di Buenos Aires, il fratello maggiore a ovest del Rio de la Plata, è impietoso. Ma paradossalmente è proprio Buenos Aires l’argomento migliore per la sinistra al governo. L’inflazione al 40 per cento, contro l’8 per cento dell’Uruguay, e la svalutazione che ha dimezzato il valore del peso argentino nell’ultimo anno della presidenza Macri sono un elemento di forza per il Fa che batte sulle somiglianze fra il candidato del centrodestra Lacalle Pou e l’inquilino della Casa Rosada, peraltro sorprendentemente in rialzo negli ultimi sondaggi sulle presidenziali argentine.
Che il quadro regionale sia decisivo per il piccolo Uruguay è vero quanto è vero l’inverso. Nell’ultimo incontro fra i leader mondiali a Davos, i membri del Mercosur hanno spinto Macri, presidente per il semestre in corso, ad accelerare il negoziato con l’Ue per consentire trattati commerciali bilaterali fra l’Europa e i singoli paesi del Mercosur. Bisogna fare i conti con l’opposizione di Angela Merkel e di Emmanuel Macron, che blocca il nuovo accordo finché Bolsonaro non garantirà di rispettare i patti di Parigi sul clima. Se poi sarà guerra commerciale fra i due giganti Argentina e Brasile, l’Uruguay potrebbe approfittarne. La parziale rottura del fronte comune sudamericano, chiesta a gran voce da Bolsonaro, e una maggiore concorrenza interna sarebbero un vantaggio per Montevideo che ha i migliori fondamentali economici dell’area. Siano investitori, emigrati in cerca di lavoro o turisti internazionali in cerca di lusso a Punta del Este, come l’argentina Belén Rodríguez o l’italiana Nicole Minetti, lungo le frontiere del “paisito” non ci sono muri.