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Secondo le organizzazioni umanitarie che con fatica provano a lavorare in Libia, avendo un accesso limitato ai centri di detenzione, la situazione medica nelle prigioni è catastrofica. In particolare a Zintan e Gharyan, situati a sud di Tripoli e dunque limitrofi al teatro di guerra, almeno 22 persone sono morte per sospetta tubercolosi negli ultimi mesi.
Nel carcere di Zintan, durante l’ultima visita dello staff di MSF c’erano 900 persone, 700 chiuse in un hangar senza una doccia, con accesso sporadico all’acqua. Non potabile. All’inizio di quest’anno, circa 50 dei detenuti di Zintan sono stati trasferiti al centro di detenzione di Gharyan, situato a 100 chilometri a nord-est e in prima linea all’attuale conflitto tra il Governo libico di Accordo nazionale (GNA) e l’Esercito nazionale libico (LNA). Una prigione complicata da raggiungere per le truppe, figuriamoci per gli aiuti umanitari.

In tutto sono almeno seimila le persone bloccate nelle prigioni libiche nella zona della capitale, persone per cui è necessaria «una immediata evacuazione», come sostiene Julien Raickman, capomissione di MSF in Libia. Molti di loro sono registrati con l’Unhcr da mesi, qualcuno da anni, bloccati senza assistenza, senza poter tornare indietro. Senza poter lasciare il paese.

Spostarli da un centro all’altro, ritenuto meno esposto ai bombardamenti, evidentemente non basta. In Libia si combatte. «Il trasferimento di persone da un centro di detenzione a un altro non protegge le persone dai pericoli », dice ancora Raickman. «Ciò di cui i rifugiati hanno bisogno urgente è una via d’uscita dal Paese». Un’evacuazione umanitaria, immediata.
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