Non si fermano le stragi in Afghanistan mentre a Doha le due fazioni, senza la partecipazione del governo locale, sarebbero vicine alla firma del cessate il fuoco. Ma sul tavolo c'è anche lo stravolgimento della Costituzione in senso islamista

In Afghanistan regna il caos. Nessuno sa più a chi credere. Se da un lato, a Doha, i Talebani e gli Stati Uniti sembrano essere molto vicini a un accordo di pace, nelle ultime 24 ore non sembrava nemmeno che ci fossero negoziati in corso.

I talebani hanno lanciato imponenti attacchi in 6 provincie contro postazioni dell’esercito nazionale, senza contare l’esplosione di ieri sera avvenuta nei pressi del lato meridionale del Green Village a Kabul, rifugio blindato a cielo aperto per organizzazioni internazionali e Ong, abitato da stranieri e controllato dalle forze internazionali situato non lontano dall’aeroporto internazionale. L’ordigno ha provocato almeno 16 morti e 100 feriti mentre 5 terroristi si sono infiltrati e nascosti, cercando di irrompere nel campo proprio per eliminare gli stranieri e mettendo a dura prova le forze speciali afghane, impegnate sul campo fino alle 5 di stamattina per neutralizzarli.

Una contraddizione questa, che ha fatto arrabbiare la popolazione civile circostante, vittima sacrificale degli ultimi 4 attacchi in passato alla base straniera. Oggi gli abitanti si sono ribellati, cercando di forzare il passaggio con fare minaccioso e urlando contro gli stranieri, primi ad essere protetti ed evacuati. Frustrati e pieni di rabbia, hanno chiesto a gran voce lo spostamento del Green Village, ma sono stati sedati dalla polizia che non ha esitato ad aprire il fuoco. Ancora a mezzogiorno si sentiva il rumore dei fucili.

Forse è quindi il caso di chiedersi se l’accordo di pace, che dovrebbe essere firmato a giorni a Doha, sia ancora valido. Oppure se è una strategia intavolata dai talebani per far sentire la propria voce al governo afghano, grande assente a Doha.

Ed è proprio una bozza di questo accordo, redatta durante 9 sessioni e tanto attesa, che è apparsa negli ultimi giorni. Una versione (la sesta) non definitiva, rilasciata per mostrare come dovrebbe apparire la pace fra Talebani e Stati Uniti che porrebbe fine, almeno in parte, a un conflitto decennale. Le fonti sono protette, ma voci sostengono provenga dagli uffici di alti ranghi coinvolti in Qatar.

I punti salienti sono 3: cessate il fuoco, ritiro delle truppe straniere e cambiamento (totale o parziale) della costituzione attualmente in vigore e approvata nel 2004. La prima clausola è voluta dagli americani, i quali specificano che nessun tipo di movimento terroristico (specificando Al-Qaeda) dovrà più avere contatti con i Talebani in cambio dell’annullamento di tutte le sanzioni contro il movimento degli studenti.

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La seconda invece è pretesa dagli insorti, che hanno accettato un ritiro progressivo delle truppe straniere in 18 mesi seguendo un preciso percorso di normalizzazione politica. Perciò il ritiro avverrebbe in 3 fasi, garantendo nella prima, di una durata di 6 mesi, la creazione di un governo di transizione (formato da un presidente del consiglio e 4 vice che prenderanno il potere a rotazione) e la formazione di una commissione incaricata di revisionare o abbozzare una nuova costituzione. La seconda fase del ritiro comincerebbe quindi a 12 mesi dalla firma, con la creazione di una “nuova” Loya Jirga (in pashto “grande assemblea” formata da personalità influenti della società che prende decisioni importanti per il popolo afghano), comprensiva di tutte le forze in campo e che dovrà approvare la nuova costituzione creata dal governo di transizione. Infine, la fase finale terminerebbe con elezioni libere a livello sia nazionale che provinciale, che porterebbe a un sistema presidenziale e maggiori poteri alle provincie, ma senza un sistema federalistico, e la riunificazione delle forze armate sotto un unico esercito.

“Lo stato afghano deve e dovrà rimanere islamico e indipendente” recita invece il secondo articolo. La rappresentazione dei principi islamici, richiesta imprescindibile dei talebani e sicuramente non disdegnata da gran parte della popolazione, dovranno rimanere in vigore e dovranno essere rispettati. Per questo motivo verrebbe creato un consiglio islamico di “scolari” (esperti della legge islamica), che controllerebbero la conformità delle leggi varate dal parlamento con la religione islamica e di consigliare il futuro presidente sulle decisioni da prendere in chiave religiosa.

Ciò nonostante, la cosa più preoccupante che richiedendo i Talebani è il cambiamento della costituzione. Una gran fetta della popolazione difatti, vede i propri diritti acquisiti e incisi nell’attuale costituzione in pericolo. Soprattutto le donne (ma che da nessuna parte nell’accordo sono direttamente menzionate, cosa che preoccupa). Nell’accordo è solamente citato che la nuova “charta” dovrà rispettare i diritti fondamentali in modo eguale per tutti i cittadini per quanto riguarda educazione, lavoro e sanità ma dovrà essere conforme “ai principi dell’Islam, dei valori nazionali afghani”.

Altri punti salienti saranno la protezione della proprietà privata, il ritorno dei rifugiati e la liberazione di tutti i prigionieri di guerra, che dovrà avvenire nel giro di due mesi dalla firma da entrambe le parti, il che risulterebbe in un’amnistia generale nei confronti dei talebani che hanno preso parte all’insurrezione per motivi politici o militari. Questa clausola sarebbe già presente nella costituzione afghana.

Infine verrebbe creata una commissione per la riconciliazione nazionale, per una durata di almeno due anni. Un obiettivo fondamentale dell’accordo di pace, che cercherà di imporre le leggi, il rispetto dei diritti umani e la riconciliazione attraverso varie misure che promuoverebbero pace, unità e riconciliazione. Per garantire l’attuazione dell’accordo poi, sarebbe concesso alle Nazioni Unite di creare una squadra, che, attenzione, non più una missione di mantenimento della pace bensì una semplice squadra con un mandato ristretto e con il solo scopo di monitorare.

L’accordo è stato discusso ieri sera tra Zalmay Khalilzad, inviato speciale degli Stati Uniti per la riconciliazione dell’Afghanistan e il presidente Ashraf Ghani, per chiarire i progressi fatti in Qatar, poco prima delle forti esplosioni. Oggi però tutto è a rischio e non si sa ancora se e quale pace ci sarà.