Cliniche specializzate, club di pensionati-consumatori e ricerche sugli effetti curativi nelle malattie senili. La nuova frontiera dell’erba negli Stati Uniti sono gli over 65. Che in questo modo combattono dolori di ogni tipo (Foto di Matteo Bastianelli)

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Più di un milione e mezzo di over 65, negli Stati Uniti, hanno fatto uso di marijuana nell’ultimo anno. Ed è un fenomeno in crescita progressiva, come documenta un recente studio della New York University. Non è così strano: gli effetti terapeutici dei cannabinoidi sono ormai evidenti per una grande quantità di patologie tipiche proprie della terza età, dalla lombosciatalgia al glaucoma, dalle alterazioni del sonno all’artrite, dal Parkinson alla demenza - e molto altro.

È quindi ancora meno strano che, con l’invecchiamento della popolazione in Occidente, il rapporto prevalente con la marijuana stia cambiando: non più “droga trasgressiva” dei ragazzi ma strumento di miglioramento della qualità della vita degli anziani, quindi da incentivare o quanto meno accettare. Di qui i cambiamenti anche nelle legislazioni: dagli Stati americani in cui la marijuana è stata legalizzata (ormai una ventina, tra uso ricreativo e terapeutico) fino al nostro Paese, dove prosperano i negozi di erba light e poche settimane fa la Cassazione ha depenalizzato la coltivazione in casa o in giardino per uso personale.

Laguna Woods è una soleggiata località della contea di Orange, in California, dove da decenni si trasferiscono, una volta pensionati, molti anziani americani di ceto medio e medioalto. Non a caso questa è stata la prima città americana - nel 2008 - a offrire marijuana medica e qui è nato anche il Laguna Woods Medical Cannabis Club, un’associazione fondata da Lonnie Painter, 74 anni, pensionato ed esperto del settore “spinelli per anziani”.
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Pizzetto bianco e camicie aperte sul petto, Painter rivendica il suo lungo attivismo a favore della diffusione della marijuana per i “senior citizens”, obiettivo per il quale ha coinvolto anche medici, botanici e biologi. «Come collettivo abbiamo cominciato a offrire ai nostri membri Cbd, la parte più pura della pianta, già sette anni fa. Oggi posso dire di aver lavorato con centinaia e centinaia di anziani», spiega Painter, specificando che «il nostro iscritto più vecchio ha 103 anni» e l’ingresso nel collettivo è riservato a chi ne ha compiuti almeno 55. «Io la uso da quando ne avevo più o meno sessanta e ho cominciato a studiarne scientificamente gli effetti nel 2010», continua. «Quando sei vecchio, la cannabis ti può aiutare in molti modi. Io per esempio soffro di osteoporosi e artrite. Ho avuto anche un’operazione a una mano e grazie alla marijuana medica non ho mai avuto dolori. E, soprattutto, la mia condizione generale è ottima per la mia età».

Ogni mese Lonnie organizza per il suo club una conferenza dove vengono invitati a parlare diversi dottori, scienziati ed esperti del settore che affrontano tematiche specifiche relative ai trattamenti a base di marijuana specifici per gli anziani. Il presidente del Lw Medical Cannabis Collective considera la sua una missione sociale non così diversa da quando tanti anni fa, proprietario di un bar a Laguna Beach, assumeva senzatetto e disperati per insegnare loro un mestiere.

Quello che però Painter dice di temere, adesso, è l’eccessivo successo industriale della cannabis, che sta portando sul mercato «prodotti di varie marche sui cui ingredienti noi non abbiamo alcun controllo», mentre finora i suoi anziani hanno «sempre consumato la marijuana locale, da noi coltivata e testata», insomma roba buona. Dopo l’approvazione della Proposition 64, conosciuta come The Adult Use of Marijuana Act, che in California ha legalizzato l’erba, molte compagnie farmaceutiche ne stanno sperimentando l’utilizzo per prodotti riservati agli anziani, di cui Painter tuttavia diffida.
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Il fatto è che la marijuana può aiutare i vecchi, è vero, ma non è un gioco: «Per chi ha più di 60 anni e vuole consumare cannabinoidi è fondamentale rivolgersi a persone specializzate», ci dice Eloise Theisen, oncologa e cofondatrice di Radical Health, studio medico specializzato nella terapia a base di marijuana con sede a Walnut Creek, sempre in California. «Ci sono sempre tanti fattori di rischio da considerare negli anziani, in particolar modo l’interazione con gli altri farmaci che i senior spesso devono prendere».

Anche la dottoressa Theisen ormai è un’esperta: in sei anni - dal lancio della sua clinica - ha lavorato con circa 6.000 pazienti con un’età media di 75 anni. «Di solito», spiega, «la terapia a base di marijuana è un po’ l’ultima spiaggia a cui i malati si rivolgono. Cercano la cannabis dopo aver sperimentato varie cure contro il dolore, l’insonnia e l’ansia o per alleviare alcuni sintomi legati al Parkinson e all’Alzheimer». In molti casi, assicura la dottoressa, il tremore e la rigidità fisica di chi ha il Parkinson diminuiscono con una buona terapia a base di cannabinoidi mentre «per quanto riguarda l’Alzheimer il problema è il dosaggio: ogni corpo risponde in modo diverso in base ai geni, al genere e all’interazione con altre medicine assunte regolarmente. Gli uomini, per esempio, reagiscono in modo più veloce rispetto alle donne. La buona notizia comunque è che quasi sempre bastano due milligrammi per stare meglio e fra gli effetti più immediati vediamo una migliore gestione dell’ansia, dell’agitazione e il miglioramento della comunicazione con i familiari».

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Intanto i programmi terapeutici per anziani a base di cannabis medica destinati ad anziani si diffondono in diverse città americane e non solo in California, dalla costa est al Colorado. Con le relative statistiche: l’American Academy of Neurology per esempio ha condotto uno studio su 204 pazienti attorno agli 80 anni di età iscritti al programma di cannabis medica di New York e ha riscontrato che dopo 4 mesi di assunzione di gocce di THC e CBD il 69 per cento dei partecipanti ha dichiarato la diminuzione o sparizione dei loro dolori, il 49 per cento ha detto di dormire meglio, il 18 per cento non dava più alcun segno di problemi neurologici e il 15 per cento ha dichiarato di non soffrire più di attacchi d’ansia.
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Un altro recente paradiso della marijuana per anziani è Israele, dove la Ben Gurion University ha appena pubblicato uno studio secondo il quale l’uso terapeutico della cannabis può essere molto più sicuro ed efficace nelle cure per un’ampia gamma di sintomi cronici legati a varie malattie neurologiche nei pazienti più anziani. Inoltre, può ridurre in modo drastico l’uso di altri farmaci, fra cui gli antidolorifici.

Proprio in Israele tre anni fa è stata fondata NiaMedic, una clinica che fornisce terapie basate sulla marijuana per la cura esclusiva di anziani, con un «approccio olistico», come ci dice Alon Blatt, direttore dello sviluppo del business della clinica. Ai vertici della quale c’è la cofondatrice Inbal Sikorin, che si è avvicinata alla cannabis terapia lavorando con gli anziani di un kibbutz dove era a capo del reparto di infermeria, per poi avviare una ricerca sull’effetto della marijuana medica sulla demenza senile e i vari disturbi che affliggono le persone anziane.

Così è nata la prima clinica NiaMedic in Israele e un anno dopo ha fatto seguito l’apertura di due filiali negli Stati Uniti, una in California, a Beverly Hills e una in Orange County, a Laguna Hills. «Il nostro obiettivo è quello di integrare la terapia a base di marijuana all’interno di una cura più completa, che include anche metodi classici», spiegano i responsabili. «Abbiamo anche un team di farmacisti che studiano l’interazione fra le medicine tradizionali e la marijuana. Così la somministrazione varia da paziente a paziente, ma ciò che accomuna ogni programma è il micro-dosaggio, fondamentale per comprendere come rispondono alla cura i ricettori presenti nel sistema endocannabinoide, uno dei più importanti per lo sviluppo e mantenimento dell’omeostasi nel nostro organismo. Noi cominciamo sempre con una dose di dieci milligrammi che poi viene a mano a mano aumentata in base alla risposta dei pazienti».

Più rare ma non dissimili sono le sperimentazioni in Europa: a Ginevra per esempio c’è una casa di riposo che da due anni somministra olio di marijuana agli anziani, sulla base di un programma dell’Ufficio Federale di Sanità Pubblica in collaborazione con gli Ospedali Universitari della città elvetica.

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E in Italia? Per adesso non esiste nulla di simile, anche per la legislazione più severa. Un pugno di farmaci a base di marijuana può essere acquistato in farmacia con ricetta medica, come l’Fm2, basato sull’erba coltivata dallo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze: è consigliata per la terapia del dolore in caso di sclerosi multipla, lesione del midollo spinale o per placare i sintomi dovuti a chemioterapia, radioterapia o terapie per Hiv, come il vomito e la nausea.

Finora tuttavia la diffusione in Italia di questo farmaco e di altri simili è stata ridotta, anche perché pochissimi medici li prescrivono (c’è ancora un forte ostacolo culturale, nel nostro Paese) e non tutte le Regioni li rimborsano. In compenso crescono i clienti over 60 nei negozi di marijuana light (scarsi gli effetti terapeutici, ma aiuta a rilassarsi, a fugare le ansie e a prendere sonno). Ed è presumibile, dopo la sentenza della Cassazione, che sui balconi dei bilocali dei pensionati, accanto ai gerani d’ordinanza, inizino presto a vedersi anche delle belle foglie verdi a punta con inflorescenze appena più chiare, il cui profumo avvolgerà serenamente tutto il cortile.