I cambiamenti climatici non lasciano scampo a nessuno, tantomeno alla retorica, se falsa. Alla prova settimana prossima ci sarà la strategia verde della Ue. Durante la seduta plenaria del parlamento europeo a Strasburgo il 20 ottobre verrà votata la riforma proposta dalla Commissione europea di un pilastro fondamentale dell'Unione europea: la PAC, ovvero la politica agricola comune. In gioco ci sono non soltanto la sopravvivenza della diversità ambientale ma anche quella dei piccoli agricoltori. «La lobby dell'agrobusiness, Copa-Cogeca, d'accordo con l'industria dei pesticidi e i giganti dell'alimentare stanno da mesi facendo di tutto per non permettere alla Commissione di allineare la la Politica agricola europea agli obiettivi del Green Deal», denuncia, in un rapporto, in uscita oggi, la ong "Corporate Europe Observatory”, che segue i comportamenti delle lobby a Bruxelles, «altrimenti la transizione ecosostenibile tanto voluta da Von der Leyen sarà gravemente minacciata».
Accusata da anni di inefficienza e corruzione, la PAC, il più grande programma di sussidi diretti esistente al mondo, 390 miliardi per il periodo 2021-2027, oltre un terzo del bilancio Ue, è stata oggetto di una proposta di revisione da parte della Commissione nel 2018, in anticipo sull'approvazione del budget europeo 2021- 2027 di cui fa parte e che è in questi giorni in discussione nell’Europarlamento.
Ma negli ultimi due anni molto è cambiato: la politica verde e sostenibile da slogan è diventata strategia economica europea, con obiettivi ambiziosi, dal raggiungimento della neutralità climatica nel 2050 a una concreta solidarietà sociale, resa ancora più necessaria dalla pandemia. La riforma della Pac non teneva in conto in maniera sufficiente dei cambiamenti al punto che la Commissione lo scorso maggio, su pressione dell'Europarlamento, si è trovata a dover pubblicare un documento in cui spiegava come rendere la politica agricola compatibile con le linee rosse del Green Deal, e, in particolare, con la strategia “dalla fattoria alla forchetta”, che mira a costruire un sistema alimentare sostenibile sia sotto il profilo ambientale sia sotto quello sociale, garantendo i mezzi di sostentamento per i produttori primari.
Non tutti però sono d'accordo: non le grandi aziende, non i Paesi che da questa politica hanno tratto enormi ricchezze, a svantaggio dei loro concittadini. «La PAC è sostenuta da una rete di interessi che briga da mesi per bloccare ogni cambiamento», spiega, carte alla mano, Nina Holland, autrice del rapporto “Pagheremo miliardi per distruggere o per aiutare la biodiversità, il clima e i contadini?" (http://corporateeurope.org/): «Si tratta di un gruppo molto vario, tenuto insieme dalla volontà di perpetuare il vecchio, redditizio sistema di produzione e di distribuzione dei sussidi. Ci sono ministri dell'Agricoltura, burocrati della direzione generale dell'Agricoltura, la maggioranza del Comitato agricoltura nel parlamento europeo e poi la potentissima lobby dell'agrobusiness europeo Copa-Cogeca».
Quest'ultima è nata dall'unione di Copa, che rappresenta i contadini ed è stata creata nel 1958, e da Cogeca, che rappresenta le cooperative, ed è sorta nel 1959. Copa-Cogeca è una lobby talmente potente che a Bruxelles che non influenza ormai più la politica della Commissione ma ne è considerata addirittura un “partner” nella definizione delle politiche agricole, come denuncia Juliette Leroux, consigliera per l'agricoltura del gruppo politico dei Verdi europei. L'obiettivo iniziale era proteggere i piccoli agricoltori e le piccole aziende ma ormai queste sono diventate colossi aziendali come l'olandese FrieslandCampina o Rabobank, i cui interessi divergono da quelli degli agricoltori, e vanno più nella direzione del dominio dei mercati che del sostegno alla produzione. Lo ha dimostrato ad esempio la rimozione delle vecchie quote latte nel 2015, promossa dall'ex Commissario all'agricoltura Philip Hogan a beneficio soprattutto dell'Irlanda e della Germania, che ha finito per penalizzare il costo del latte e con questo i piccoli produttori.
Le pressioni per non inserire nella riforma della PAC elementi del Green Deal sono intense. Fino ad oggi il vice presidente Frans Timmermans e la Commissaria alla salute Stella Kyriakides hanno tenuto duro nel portare avanti un progetto che, pur giudicato dalle ong ambientali «il minimo possibile» per rispettare gli obiettivi di neutralità carbonica 2050 e criticato perfino dall'organo europeo di revisione dei Conti perché non ritenuto sufficiente a promuovere la biodiversità, potrebbe comunque cambiare le modalità con cui si fa agricoltura. L'utilizzo dei pesticidi dovrebbe essere ridotto del 50 per cento entro il 2030 così come quello degli antibiotici, mentre quello dei fertilizzanti dovrebbe scendere del 20 per cento per rispettare le direttive verdi per l'agroalimentare. «Le nuove strategie ambientali ci obbligherebbero a reinventarci totalmente», si era così lamentata il 24 luglio la tedesca Bayer con il gabinetto del commissario per l'agricoltura Janusz Wojciechowski.
Anche il dato per cui il 20 per cento delle aziende agricole europee riceve l'80 per cento dei sussidi dovrebbe cambiare per garantire, con la transizione eco-sostenibile e il passaggio a nuove forme di agricoltura, un reddito equo a tutti i contadini. Secondo Eurostat i contadini dell'Unione sono diminuiti tra il 2003 e il 2013 di oltre un quarto mentre gran parte del denaro europeo continua a finire nelle tasche di alcuni dei più grandi latifondisti moderni, dalla regina d'Inghilterra al principe di Monaco, nelle casse di colossi dolciari come la tedesca Haribo o produttori di asfalto (perché costruiscono infrastrutture utili all'agricoltura) o, ancora, ad arricchire politici-imprenditori come il premier ceco Andrej Babiš che da anni utilizza i fondi Ue per arricchirsi tramite le sue aziende agricole riunite nel colosso dell'agrochimica Agrofert. È Babiš il più grande singolo possidente “agricolo” d'Europa -e, secondo il New York Times, riceve poco meno di 40 milioni di euro l'anno: un conflitto d'interessi talmente grande che il Comitato di controllo del budget dell'Europarlamento ha chiesto lo scorso aprile che non fosse ammesso alle negoziazioni del budget settennale dell'Unione.
La Politica agricola comune, nata con la Comunità economica europea del Dopoguerra per garantire la sicurezza alimentare europea, ha fin dall'inizio privilegiato l'agricoltura francese (la Francia è il principale beneficiario con sussidi doppi rispetto alla Germania, secondo beneficiario davanti a Spagna e Italia). Ma negli ultimi anni molti i governi di alcuni Paesi dell'Europa dell'Est, Polonia, quinta beneficiaria, in testa, ma anche l'Ungheria di Victor Orban, hanno preso ad utilizzare il fondo comune per rafforzare il proprio potere politico tramite elargizioni discrezionali di fondi agli imprenditori fedeli. Le vecchie aziende di stato comuniste si sono trasformate in grandi latifondi contemporanei e, in un sistema in cui le elargizioni comunitarie sono basate sull'estensione di terra posseduta, monopolizzano i fondi agricoli destinati al proprio Paese.
Dopo anni di critiche, la nuova proposta della Commissione lascia molta più discrezionalità agli stati sul come impiegare i sussidi di Bruxelles e, nonostante le pressioni dei cittadini, non impone che una soglia massima “volontaria” alla quantità di denaro che ciascun agricoltore o società agricola può ricevere attraverso il proprio governo. Il parlamento europeo ha proposto l'introduzione di uan soglia obbligatoria e ora la battaglia è sulla sua entità. «Centomila euro sono ancora troppi se si consente alle grandi aziende di dedurre da questa cifra gli stipendi dei dipendenti», dice Holland: «Per i grandi latifondi, con più aziende, non cambierà molto. E l'esistenza dei piccoli contadini per i quali il programma è nato sarà a rischio». Per i piccoli agricoltori il legame con i “poteri agricoli” è un abbraccio mortale: da una parte non possono fare a meno dagli aiuti estesi loro per ottenere burocraticamente i sussidi di Bruxelles, dall'altra vedono di anno in anno ridursi sostegni e futuro.
Secondo le linee guida della politica “dalla fattoria alla forchetta” e della “biodiversità, per ottenere una drastica riduzione di agenti chimici in agricoltura, i contadini dovrebbero beneficiare di schemi di aiuto volti ad incoraggiare l’adozione metodi di produzione biologica. «Le grandi lobby tramite accesso diretto alla Commissione, chiedendo continuamente estensione di scadenze e revisione di rapporti e spendendo centinaia di migliaia di euro per diffondere l'idea che gli obiettivi della Commissione sono irrealistici, stanno minando la nuova politica prima ancora che si traduca in direttive e obblighi», dicono dall’Osservatorio. Il voto del 20 ottobre in parlamento e poi l'accordo che la Germania, che in questo campo appoggia le grandi lobby, vorrebbe ottenere in sede di Consiglio europeo prima di Natale saranno decisivi per testare il nuovo cuore verde d'Europa.