Dal 21 ottobre l'isola di smeraldo è stato il primo paese europeo a riapplicare la chiusura su tutto il territorio nazionale. Ecco che clima si respira e come a Dublino si è detto addio, per ora, al rito della pinta

«C'è un clima da ultima cena stasera a Dublino» ci dice Francesco, 26 anni, che da un anno e mezzo vive e lavora a Dublino. Alla mezzanotte di mercoledì 21 ottobre è scattato in Irlanda il secondo lockdown su scala nazionale, il cosiddetto livello 5 del “Plan for living with covid-19”: una roadmap per affrontare l’emergenza covid nei prossimi 6 mesi.

Smartworking per tutti, chiusura dei negozi e servizi non essenziali, matrimoni e funerali con un massimo di 25 invitati, niente eventi culturali, musei e cinema chiusi, bar, caffè e ristoranti solo a domicilio o take away. L’esercizio fisico è consentito solo nel raggio di 5 km dalla propria abitazione ma scuole e servizi per l’infanzia rimarranno aperti. A renderlo necessario è stato l’aumento dei contagi giornalieri - che viaggiano intorno alle migliaia - per un totale che, da inizio pandemia, ha raggiunto e superato i 50.000 casi.

Nell’ultima sera prima della nuova chiusura (che durerà sei settimane) è come se gli abitanti di Dublino avessero voluto approfittare degli ultimi sprazzi di socialità prima dei giorni magri. Già da mercoledì pomeriggio lunghe file giravano gli angoli dei negozi di O'Connell Street, la strada principale della città, e sfilavano davanti le vetrine colorate di Penneys (l’equivalente irlandese di Primark). «L'atmosfera era quella che si respira prima di un cataclisma. Era come se stesse per arrivare un'alluvione e bisognasse ammassarsi in città, comprare le ultime cose e chiudersi in un bunker» dice Francesco.

«La sera io e alcuni amici siamo andati a cena fuori per salutarci prima del lockdown. I marciapiedi erano tutti occupati dai tavolini per i clienti dei pub e quella sera era pieno di gente. Un artista di strada con chitarra e amplificatore si è messo a cantare all’incrocio tra Grafton e Wicklow Street, davanti al McDonald's. La gente comprava birre da asporto al Mary's, un pub lì vicino, e cantava e ballava per strada al ritmo delle sue canzoni». Grafton Street, la via dello shopping che collega il famoso Trinity College al parco di St.Stephen's Green, ha risuonato per l’ultima volta di musica e risate, prima di scivolare nel torpore che durerà fino al 1 dicembre.

Francia
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«I pub sono più del semplice bere; sono una parte importante del nostro Paese. Quando chiudono i pub le persone iniziano a sentirsi più sole» racconta Caoimhe, 22 anni, originaria di Kilkenny nel sud-est dell'Irlanda, ma trasferitasi a Dublino tre anni fa per studiare illustrazione al Ballyfermot College of Further Education. Per sostenere le spese della vita da fuori sede ha svolto diversi lavori come barista e cameriera.

«Nel pub dove lavoravo abbiamo fatto una riunione a luglio sulla possibilità o meno di riaprire. Allora eravamo solo a livello 2 o 3 (del “Plan for living with covid-19, nda) e abbiamo discusso dell'opportunità o meno di aggiungere altro cibo al menu, visto che il Governo aveva disposto che i pub potessero rimanere aperti solo se servivano anche del cibo. Il proprietario ci disse che avremmo riaperto ad agosto ma sfortunatamente la situazione ha iniziato a peggiorare ed è diventata sempre più rischiosa».

«Per questo» - sottolinea la ragazza - «è molto importante supportare i pub e le attività locali. In Irlanda i pub sono parte della nostra comunità; se è il tuo compleanno: vai al pub, se vuoi fare due chiacchiere: vai al pub. Non è solo alcol, è il fulcro della nostra socialità».

Durante il primo lockdown gli irlandesi hanno trovato metodi creativi per non rinunciare a questo rituale. Per esempio a Belfast, nell'Irlanda del Nord, The Hatfield House, un pub a conduzione familiare, ha creato una nuova istituzione: The Pintman (l'uomo della pinta). Agli abitanti del sud della città bastava dunque ordinare una birra a domicilio per ricevere una pinta di Guinness sull’uscio di casa spillata espressamente dal furgoncino dell’Hatfield House. In attesa di poter tornare a brindare come si fa da secoli nell’isola di smeraldo.