Negli Usa sei donne su dieci vivono in Stati che ostacolano il diritto all’Ivg. Ora l'elezione di Biden può cambiare le cose. Ma la Corte Suprema a maggioranza conservatrice potrebbe essere un problema
Colorado e Louisiana hanno votato, ma non solo per eleggere il 46esimo Presidente degli Stati Uniti d’America. I due Paesi, infatti, si sono espressi sul diritto all’aborto, con due esiti opposti.
Nel Centennial State la Proposition 115 è stata respinta con una percentuale del 58,9%: se fosse passata, la misura sostenuta dal gruppo antiabortista Due Date Too Late avrebbe vietato l’interruzione di gravidanza dopo le 22 settimane di gestazione, consentendola solo in caso di imminente rischio di morte della donna. Nessuna eccezione in caso di stupro, incesto o diagnosi fetali letali. È la quarta volta che si tenta di limitare l’aborto in questo Stato: era già successo nel 2008, nel 2010 e sei anni fa, nel 2014. Il Colorado, il primo a depenalizzare l’aborto, è tra gli stati con meno limitazioni per l’accesso alla pratica negli Usa: è tra i sette (insieme a New Hampshire, Alaska, New Jersey, New Mexico, Oregon, e Vermont) che non impongono nessun limite di tempo per l’aborto, a meno che la vita della madre non sia in pericolo. Per questo motivo moltissime donne si spostano dal proprio Stato per interrompere una gravidanza.
Il 62% degli elettori della Louisiana ha invece approvato un emendamento che non prevede alcun diritto statale all’aborto: “Per proteggere la vita umana, nulla in questa Costituzione deve essere interpretato per garantire o proteggere un diritto all'aborto o finanziarlo”, recita la frase che verrà aggiunta alla Carta della Louisiana. Simile modifica è stata già fatta in Tennessee, West Virginia e Alabama. Qui, nel 2019, la governatrice repubblicana Kay Ivey aveva firmato un disegno di legge che puniva con l’ergastolo i medici che praticavano l’aborto e non presentava alcuna eccezione per le vittime di stupro o incesto: un giudice federale ha bloccato la sua entrata in vigore perché l’ha ritenuta incostituzionale. In questo, come in molti altri casi recenti, la tattica degli antiabortisti è arrivare alla Corte Suprema, per tentare di cambiare le leggi federali sull’aborto. L’interruzione di gravidanza è legale in tutti gli Stati Uniti proprio grazie a una sentenza della Corte Suprema, la “Roe v. Wade”, che nel 1973 sancì il diritto delle donne di abortire, superando le legislazioni dei singoli Stati. Ad oggi però non esiste una legge unica che ne regoli le modalità: per questo motivo ognuno ha le proprie norme che stabiliscono criteri e tempistiche per poter interrompere la gravidanza.
Se la Roe venisse rovesciata, nessun tribunale potrebbe dichiarare incostituzionali le restrizioni a livello statale in Louisiana, per esempio. E vista l’attuale composizione dei tribunali e della Corte Suprema, che dopo la nomina di Amy Coney Barrett da parte di Donald Trump presenta 6 giudici conservatori su 9, i gruppi femministi e pro-aborto sono sull’attenti. Barrett, cattolica conservatrice, ha spiegato che non considera la sentenza del 1973 un “super-precedente”, una questione cioè da non mettere in discussione. Nel 2006 l’aveva definita “un esercizio di puro potere giudiziario” in un annuncio firmato insieme a suo marito e pubblicato su un giornale locale. Secondo la Cnn, nel 2013 aveva tenuto una conferenza intitolata “La giurisprudenza sull’aborto della Corte Suprema” alla Notre Dame University, nell’Indiana, ospitata da studenti anti-aborto.
Già dal 2018, quando il Tycoon aveva designato i giudici conservatori Neil Gorsuch e Brett Kavanaugh, i timori che il diritto all’aborto potesse essere messo a rischio erano aumentati. Poi, con la scomparsa della giudice Ruth Bader Ginsburg, icona dei diritti delle donne entrata in carica nel 1993, il clima è diventato sempre più teso. Nel 1992 Ginsburg espresse delle preoccupazioni sulla Roe v. Wade, perché disse che così formulata poteva lasciare troppo spazio di manovra ai singoli Stati, liberi di formulare leggi restrittive sull’aborto. Gli ultimi anni le hanno dato ragione: dal 2020 infatti, la pratica nel Paese è diventata sempre più complicata. Secondo Elizabeth Nash, direttrice associata ad interim per la politica statale al Guttmacher Institute, «Il diritto federale all'aborto è molto precario e il tuo accesso alla pratica dipende da dove vivi»: il gruppo di ricerca sulla salute riproduttiva monitora costantemente le varie normative statali sull’aborto.
Con l’elezione di Biden a 46esimo Presidente degli Stati Uniti d’America, il tema del diritto all’aborto potrebbe essere posto in primo piano nell’agenda della sua amministrazione. Nel 2019 aveva affermato che "I diritti riproduttivi sono un diritto costituzionale. E ogni donna dovrebbe avere quel diritto”. Nel piano per l’assistenza sanitaria Biden ha dichiarato di volersi basare sui progressi compiuti dall’Affordable Care Act, che copre l’accesso alle cure preventive e ai contraccettivi. Ma un emendamento del 1977, l’Hyde, blocca il finanziamento pubblico alle interruzioni di gravidanza sotto Medicaid (lo schema assicurativo sovvenzionato dal governo), eccetto che in caso di stupro, incesto o se la vita della madre è in pericolo: Biden vuole abrogarlo.
Nel corso degli anni il Democratico ha spesso cambiato idea riguardo all’aborto, soprattutto dopo la permanenza in Senato. Nel 1981 diede il suo supporto a un emendamento costituzionale che avrebbe consentito agli stati di ribaltare Roe v. Wade. Ma nel suo libro del 2007, Promises to Keep, ha scritto che nonostante sia personalmente contrario all’aborto non imporrebbe la sua visione all’intera società. Sul suo piano attuale si legge che "In qualità di presidente, Biden lavorerà sulla Roe v. Wade, e il suo Dipartimento di Giustizia farà tutto ciò che è in suo potere per fermare l'ondata di leggi statali che violano così palesemente il diritto costituzionale all'aborto, come le cosiddette leggi TRAP", che impongono restrizioni mirate sulle cliniche che praticano aborti. Biden potrebbe anche rovesciare la “Global Gag Rule”, ripristinata nel 2017 da Trump.
Secondo questo “bavaglio globale” qualsiasi organizzazione internazionale che riceve finanziamenti dagli Usa non può neanche menzionare l’aborto nei suoi programmi di consulenza e formazione. La impose per la prima volta Ronald Reagan e da allora è stata cancellata da tutti i presidenti Democratici e ripristinata da tutti i Repubblicani. L’associazione Planned Parenthood, che si occupa dei servizi sanitari per le donne, ha lodato Biden definendolo “l'unico candidato in questa corsa che difenderà la nostra salute e i nostri diritti”. Durante la diffusione del Covid-19 la salute e i diritti sessuali e riproduttivi sono stati trascurati o, peggio, presi di mira dall'amministrazione Trump. Secondo uno studio dell’Istituto Guttmacher, nel 2020 sei donne su dieci vivono in Stati con politiche ostili ai diritti all’aborto. Tra il 1 gennaio 2011 e il 1 luglio 2019 sono state emanate 483 nuove restrizioni sulle interruzioni di gravidanza, e rappresentano quasi il 40% delle restrizioni all'aborto totali messe in atto dalla Roe v. Wade in avanti.